martedì 5 febbraio 2008

Processo Erba, il medico legale: usati due coltelli. Il piccolo Youssef è morto dissanguato

COMO (4 febbraio) - Sono due le armi che sono state usate nella strage di Erba, in cui persero la vita Raffaella Castagna, sua madre Paola Galli, suo figlio Youssef e una vicina di casa, Valeria Cherubini. Inoltre, il piccolo Youssef è morto dissanguato, probabilmente aggredito da due persone. Questi ed altri particolari sono emersi oggi nell'udienza al Tribunale di Como, che vede imputati per omicidio i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi e in cui sono chiamati a testimoniare i medici legali che intervennero sul posto e si occuparono delle autopsie delle quattro vittime. Di particolare rilievo è stata la testimonianza di Giovanni Scola, che confermerebbe la compartecipazione di due soggetti nelle aggressioni di tutte le vittime. L'ipotesi è risultata ancora più evidente nell'analisi delle 18 coltellate inferte a Raffaella Castagna, le cui ferite risultano provocate da due coltelli utilizzati con una diversa intensità. Le ferite di Raffaella Castagna. L'anatomopatologo ha parlato di ferite con «margini netti e tagli reiterati. La ferita alla spalla sinistra è stata inferta con margini netti e profondi e vibrata con una forza maggiore. Quella all'addome, invece, è stata procurata con un coltello più piccolo che è andato meno in profondità». Infine la donna è stata poi sgozzata: «Un colpo scagliato con l'intento di finirla». Non solo ferite da taglio sul corpo della donna, a queste vanno aggiunti i colpi sferrati al cranio, che sono risultati fatali, in particolar modo «la frattura frontale è stata inferta con una forza notevole e maggiore rispetto alle altre». La ferita “difensiva” è soltanto una, quella riportata da Raffaella mentre cercava di afferrare l'arma. Youssef è morto dissanguato. Per quanto riguarda il piccolo di due anni, Youssef Marzouk, la testimonianza di Scola ha chiarito che le coltellate sferrate sono state due. Il bambino, che è stato trovato riverso con le braccia aperte sul divano e i piedi poggiati per terra, ha riportato due tipi di ferite: «Una breve e netta e profonda, alla base della gola, l'altra invece mortale. L'arma è stata reiteramente mossa all'interno della ferita per procurare il maggior danno possibile». Il colpo mortale ha infatti «provocato la recisione della carotide e la morte per dissanguamento». Una piccola ferita al secondo dito della mano destra è l'unica lesione da riparo «come quando per istinto ci si mette la mano davanti per proteggersi». Il dissanguamento del piccolo è stato evidente sin dalla prima auutopsia in cui Scola non potè fare l'esame ematico perché non c'era più sangue nel corpo. L'aggressione di Valeria Cherubini. L'aggressione che risulta differente è invece quella subita da Valeria Cherubini che ha riportato «ferite da difesa più numerose, segno che c'è stata una colluttazione prolungata con una persona armata di coltello». L'autopsia ha evidenziato che c'è stata nei confronti della donna «un'aggressione complessa e con due coltelli diversi» e che, diversamente dalle altre vittime fu prima accoltellata e poi colpita alla testa e alla schiena. Il decesso della donna, inoltre, «non fu rapido e veloce, al contrario delle altre due donne. La Cherubini ha avuto modo di inalare molto monossido di carbonio», prodotto dall'incendio che gli assassini hanno innestato prima di fuggire. Il sopravvissuto. Anche l'unico sopravvissuto, Mario Frigerio, marito di Valeria, ha sul corpo ferite compatibili con le armi utilizzate sulle altre vittime. L'uomo sarebbe stato molto fortunato perché, come per gli altri, le lesioni sono «profonde e reiterate scagliate con l'intento di ledere organi importanti». Dalla ricostruzione del medico risulta che «Frigerio iniziava a essere raggiunto dalle fiamme. Ha avuto un arresto cardiaco, c'era un evidente pericolo di vita e presto sarebbe rimasto intossicato. Era sulla soglia della morte ed è stato ripreso solo grazie alla rianimazione». Per quanto riguarda Frigerio, oggi è stato ascoltato anche il medico del 118, Mario Fazzari, che per primo lo ha soccorso. Fazzari ha così descritto quel momento: «Era cosciente. Mi guardava con gli occhi aperti, spalancati. Non risuciva a parlare e mi ha fatto segno, prima con l'indice puntato verso l'alto, poi con la mano ha indicato il numero 3». Poi ha dichiarato che in prima analisi Frigerio presentava «dei graffi sul torace verso l'addome, come graffi di un gatto. Poi un eritema al volto e la bruciatura delle sopraciglia e dei peli del naso»L'incendio. Oggi è stata ascoltata anche la deposizione dell'ingegnere Massimo Bardazza, che ha ricostruito la dinamica dell'incendio. Al contrario di come sostengono i due imputati, ossia di aver appiccato il fuoco con solo due accendini e dei libri trovati in casa di Raffaella, per l'ingegnere per l'incendio è stato usato del liquido infiammabile usato solitamente per accendere i caminetti o nei campeggi. Secondo la ricostruzione di Bardazza, i focolai sono stati accesi: nella camera matrimoniale di Raffaella e Azouz, sul letto e nella cesta dei giocattoli di Youssef, dove è stata utilizzata una miscela a "combustione controllata", realizzata con «un liquido accendifuoco con un innesco più facile e meno violento di quello della benzina, ma che produce una fiamma permanente». La stessa impronta del liquido, è stata trovata anche sui corpi di Raffaella e Paola all'altezza delle gambe. E' un particolare che va ad influire sul livello di premeditazione della strage. Olindo e Rosa hanno dapprima confessato di essere gli autori degli omicidi e in seguito hanno ritrattato. Entrambi hanno sostenuto nella prima confessione di essere gli unici responsabili e di aver fatto quasi tutto da soli per discolpare l'altro. Ha suscitato sentimenti contrastanti l'immagine dei due coniugi che durante il processo si sono rivisti, per la prima volta dopo l'arresto, rinchiusi in aula nella stessa cella. Sorridevano per la gioia di rivedersi, ma Azouz Marzouk, marito di Raffaella e padre di Youssef, ha mostrato tutto il suo sdegno per quei sorrisi in una lettera scritta dal carcere di Vigevano, dove è detenuto per spaccio di droga. La lettera di Azouz. Di Olindo e Rosa scrive: «Mi dà fastidio vedere quelle due persone che ridono senza rispetto dopo quello che hanno fatto. Stanno prendendo in giro tutti: gente, giudici e avvocati, ma non rideranno più, perchè per loro è finita. Non si vedranno per tutta la vita e vivranno nella peggiore delle situazioni, la solitudine». Poi commenta la disposizione di non poter presenziare in aula: «E' meglio non esserci. Mia moglie e il mio piccolo angelo mi mancano troppo per sentire il modo in cui sono stati uccisi. Nemmeno in Turchia uccidono così»
Il Messaggero 4 febbraio 2008

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