sabato 24 aprile 2010

RAGAZZA SUICIDA, IL PADRE: SO CHI HA UCCISO EVELYN


19enne suicida - Parla il padre della ragazza che si è impiccata lo scorso 27 novembre dopo essere stata violentata due volte
">di Paola Pierdomenico
Viterbo - 24 aprile 2010 - ore 2,15

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“Non vogliamo che ci sia un'altra Evelyn”.

Daniel Moreiro rompe il silenzio sulla morte della figlia di 19 anni che si è impiccata lo scorso novembre in una casa di accoglienza a Viterbo. E' amareggiato. Ha la rabbia di chi si trova un giorno ad aprire la porta a un agente di polizia che gli dice che la figlia è stata trovata morta e non può fare niente per cambiare le cose.

Nel suo racconto traspare, infatti, tanta angoscia per non aver percepito la sofferenza di quella figlia che ora non c’è più. E per l’impotenza che gli ha impedito di intervenire prima che si verificasse la tragedia in cui l’ha persa.

Moreiro ha deciso di parlare perché, anche se niente e nessuno gli restituirà la sua Evelyn, vuole giustizia per la sua morte. Vuole soprattutto che chi abusò di lei per ben due volte non resti libero.

Il volto del presunto stupratore, infatti, ha preso forma dalle pagine del diario della ragazza, misteriosamente recapitato per posta ai suoi genitori.

Che effetto vi ha fatto vedere quei fogli con la scrittura di vostra figlia?
“Devastante – afferma con voce tremante e dopo una lunga pausa, il padre della ragazza -. Un effetto più che devastante. Soprattutto perché abbiamo ricevuto il diario il 27 febbraio e cioè il giorno dopo il compleanno di Evelyn. Per noi è come se fosse stata uccisa di nuovo”.

Secondo lei chi ha in mano il diario?
“Non saprei fare un nome, ma sicuramente è qualcuno che lei frequentava.
Nel diario ci sono foto del compleanno dei suoi diciotto anni e quelle della festa di Halloween. Probabilmente è una persona che lei conosceva bene”.

E che può dire invece del ragazzo che sua figlia descrive come l’autore delle violenze di cui è stata vittima?
“Posso dire che purtroppo lo conosciamo e siamo in grado di identificarlo. E' un ragazzo che aveva conosciuto negli anni in cui abbiamo vissuto a Rignano Flaminio, prima di trasferirci a Montefiascone. L'unica cosa che speriamo è che non resti libero. Non vogliamo un'altra Evelyn.

Crediamo a quello che ha detto nostra figlia in quel diario, anche perché non avrebbe avuto motivo di mentire su una cosa così intima”.

Perché, secondo voi, non ne ha mai parlato?
“Credo per paura, o forse per vergogna. Evelyn mi aveva solo raccontato di ricevere delle telefonate frequenti e continue. Io le avevo consigliato di denunciare il fatto ai carabinieri o, al limite, di cambiare il numero del cellulare”.

Come avete appreso la notizia della sua morte?
“Ricordare quel momento è come mettere il sale su una ferita che non si è mai chiusa. Comunque quel giorno alla nostra porta ha bussato un agente di polizia che ci ha comunicato ciò che era accaduto”.

Vi rimproverate qualcosa in tutta questa vicenda?
“Il fatto di non aver capito la sua sofferenza, perché lei non la lasciava mai trasparire. Anche se ci dicono che non potevamo prevedere un tale gesto, la cosa non ci fa stare meglio.

Non abbiamo capito che stava male. Ci spiegavamo il cambiamento di umore con il fatto che stava crescendo e con i trasferimenti che ci hanno portato da Rignano a Montefiascone.

Dopo i traslochi, infatti, Evelyn ha dovuto rinunciare ad alcuni dei suoi amici. Abbiamo pensato fosse triste per questo”.

Come era vostra figlia?
“Era una figlia allegra e solare. Ha sempre cercato di dare una mano agli altri. Studiava e aveva una grande passione per la lettura. Era una ragazza come tante. Stava finendo l’istituto chimico biologico e voleva iscriversi a medicina. Le sarebbe piaciuto diventare una ricercatrice”.

Perché avete deciso di rendere pubblica la vicenda a distanza di tempo? Il fatto che ora se ne parli tanto, non riporta a galla pensieri tristi e dolorosi…
“Tanto qualsiasi cosa ce la ricorda. Noi vogliamo solo fare chiarezza e soprattutto fermare questa persona. Non vogliamo certo farci pubblicità con un fatto di cronaca, ma se con la nostra storia riusciremo ad aiutare qualcuno, allora ben venga.

Tutta questa situazione potrebbe servire a chiarire i diversi punti della vicenda che sono ancora oscuri. Non c'è al momento una versione ufficiale dei fatti.

Inoltre vogliamo spronare chiunque si trovi nella stessa situazione di nostra figlia a non avere paura di parlarne.Ripeto non può esserci un'altra Evelyn”.

fonte: tuscia web

domenica 18 aprile 2010

MEREDITH: PRESENTATI GLI APPELLI DELLA DIFESA E DELL'ACCUSA

Meredith, appello dei pm contro
sentenza Sollecito-Knox
Critiche a concessione attenuanti generiche ed esclusione dell'aggravante futili motivi. Ricorso anche di Sollecito


PERUGIA (15 aprile) - Ricorso in appello contro la condanna di Raffaele Sollecito per l'omicidio di Meredith Kercher è stato presentato dalla difesa del ragazzo barese. Anche i difensori di Amanda Knox presenteranno appello nei prossimi giorni e i legali di Rudy Guede ricorreranno in Cassazione. Tutti si sono proclamati estranei al delitto.

Sollecito dalla Corte d'assise di Perugia è stato condannato a 25 anni, 26 anni per Amanda Knox. Per Rudy Guede, anche lui accusato del delitto, la pena è stata ridotta in secondo grado da 30 a 16 anni di reclusione.

Anche la procura di Perugia ha presentato appello contro la sentenza. In particolare contro la concessione delle attenuanti generiche e l'esclusione dell'aggravante dei futili motivi. La notizia è riportata oggi da alcuni giornali locali. I pm Giuliano Mignini e Manuela Comodi hanno sintetizzato in 13 pagine i loro motivi d'appello. I magistrati hanno definito «non convincenti» gli argomenti con i quali la Corte d'assise ha concesso le attenuanti generiche ai due imputati, mentre si «risolve in una riga» l'esclusione dell'aggravante dei futili motivi dopo avere «ricostruito in modo ineccepibile» l'omicidio Kercher. Al termine della loro requisitoria, i pm avevano chiesto la condanna all'ergastolo di Sollecito e della Knox che invece si sono proclamati innocenti.
il messaggero 18 aprile 2010

mercoledì 14 aprile 2010

ERBA,OLINDO SCRIVE A FRIGERIO:"NON SONO IO IL SUO AGGRESSORE"



La lettera di Olindo a Mario Frigerio

"Ci chiedevamo come facevano a raggirare, manipolare le persone. Sino quando poi è toccato a noi essere manipolati, usati da chi smaschera questi truffatori. Eppure non ha esitato a usare i loro stessi metodi, con noi e con lei Signor Frigerio". A scrivere, dal carcere, è Olindo Romano: in una lettera che News Mediaset ha ottenuto in esclusiva ribadisce di non essere lui il colpevole della strage di Erba.


"Lei sa che non sono io il suo aggressore. Non sono io che ha visto quella sera", prosegue Olindo nella missiva, scritta di suo pugno e indirizzata a Mario Frigerio, unico superstite del massacro e principale accusatore dei coniugi Romano. Continua Olindo: "In quel periodo drammatico della sua vita - in buona fede - senza rendersene conto - contro la sua volontà - il maresciallo Gallorini le ha fatto dire ciò che lui voleva che lei dicesse, il mio nome, Olindo". Il riferimento è al maresciallo dei carabinieri Enrico Gallorini, il primo a fare il nome di Olindo Romano a Mario Frigerio che, ancora ricoverato in ospedale, non riusciva a riconoscere il proprio aggressore. Pochi giorni dopo, iniziata la lenta ripresa, la testimonianza di Frigerio incastrò i coniugi.

"Poi col tempo si capisce - conclude Olindo -. Non è mai troppo tardi. Noi ci siamo rialzati. Lo faccia anche lei - solo così si può arrivare alla verità. Non quella che da tre anni alcuni vogliono far apparire come tale. Si è mai chiesto cosa c’è dietro tanti errori e indagini mal fatte?". Mercoledì i coniugi Romano, in carcere ormai da tre anni, torneranno in aula per l'ennesima udienza del processo. E, ancora una volta, protesteranno la propria innocenza.
fonte tgcom 14 aprile 2010

ERBA, FRIGERIO:"OLINDO E ROSA BESTIE SANGUINARIE"

Frigerio:"Voglio guardarlo negli occhi"

Non ha mezzi termini Mario Frigerio, l'unico sopravvissuto alla strage di Erba, al suo arrivo al palazzo di Giustizia a Milano, dove è in corso il processo a Olindo Romano e Rosa Bazzi. "Sono bestie sanguinarie: in questo modo l'hanno dimostrato - ha detto Frigerio riferendosi alla lettera che i coniugi gli hanno inviato per ribadire la loro innocenza -. Ho sempre detto che è stato Olindo, ho voluto esserci oggi per poterlo guardare negli occhi".


Il fatto che i difensori mettano in dubbio la sua testimonianza gli procura. "E' un dolore che si aggiunge a quello che già abbiamo provato - ha aggiunto Frigerio - Questo non è giusto per noi e per le vittime".

Frigerio nella strage perse la moglie Valeria Cherubini. La coppia era intervenuta nell'appartamento di Raffaella Castagna dove era scoppiato un incendio. Oltre a Valeria Cherubini, nella strage furono uccisi Raffaella Castagna, suo figlio Youssef e la madre di Raffaella, Paola Galli.

Frigerio, nonostante una profonda ferita alla gola, riuscì a sopravvivere e riconobbe Olindo Romano come suo aggressore. I difensori degli imputati hanno più volte cercato di smontare la sua testimonianza, sottolineando come l'uomo non fece subito il nome di Olindo, descrivendo, secondo la difesa, un'altra persona, e chiamò in causa l'ex netturbino solo in un secondo tempo.

Oggi è previsto l'intervento dell'ultimo difensore, il professor Nico D'Ascola. Il sostituto pg di Milano Nunzia Gatto nelle precedenti udienze ha chiesto la conferma della condanna dei coniugi Romano all'ergastolo e a tre anni di isolamento diurno.

Frigerio: "Odio Olindo e Rosa"
"Provo vero odio, non li perdonerò mai". Sono questi i sentimenti che Mario Frigerio dice di avere nei confronti di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Dopo la sua testimonianza nel processo di primo grado, è tornato in aula e li ha rivisti, seduto in gabbia. "Hanno toccato il fondo - dice, rivolgendosi alla difesa - cercano di stravolgere tutto e questo non è giusto, soprattutto per rispetto delle vittime. Continuano a calpestare, a confondere, invece ci vogliono un po' di valori". Nessun dubbio sul suo aggressore, anche se la difesa parla di testimonianza 'indotta'. "Dall'inizio alla fine ho sempre saputo chi è il vero assassino: Olindo Romano. Sono sicurissimo". La sentenza potrebbe già arrivare nell' udienza del 20 aprile: "Ci sarò, sarà - conclude - un giorno importantissimo".

fonte tgcom 14 aprile 2010
Ultimo aggiornamento ore 15:55

Caso Claps, trovata tuta da uomo accanto al cadavere

14/4/2010

Legali della famiglia chiedono perizia
La difesa della famiglia Claps ha chiesto di acquisire una tuta da uomo e di estendere la perizia dell'incidente probatorio. Lo ha detto l'avvocato Giuliana Scarpetta, uscendo dagli uffici della procura di Salerno. "Abbiamo chiesto la perizia di alcuni indumenti trovati in un locale attiguo al campanile", ha detto l'avvocato. Alla domanda se si tratti di indumenti maschili, l'avvocato ha risposto: "Sì, una tuta".


Autopsia secretata per un mese
Resta secretata per 30 giorni la perizia autoptica depositata lunedì da Francesco Introna alla procura di Salerno, sulla salma di Elisa Claps. I periti nell'ambito dell'incidente probatorio disposto dagli inquirenti, sui reperti trovati nel sottotetto della chiesa Santissima Trinità, hanno chiesto invece 60 giorni di tempo. Questi i primi dettagli che emergono dalla prima udienza dell'incidente probatorio.

La Procura generale di Salerno ha deciso di non farla conoscere alle parti, a quella offesa, vale a dire la famiglia Claps, e alla difesa dell'unico indagato per l'omicidio, Danilo Restivo. La decisione è stata presa per consentire l'incidente probatorio che si presenta lungo e articolato. La formula dell'incidente probatorio, con le parti presenti, è necessaria perché alcuni "reperti" possono andare distrutti nell'esame per mappare il dna, ragion per cui sono accertamenti "irripetibili". Gli oggetti da esaminare sono stati repertati nel sottotetto della canonica della chiesa Ss. Trinità dove il 17 marzo èstato trovato il cadavere della ragazza.

Le risultanze dell'incidente probatorio sono importanti perché il formarsi di prove vale poi anche nel successivo dibattimento processuale senza necessità di dover ripetere l'accertamento. Gli esiti dell'autopsia potrebbero quindi rimanere secretati anche per molti giorni. Si è aperta quindi una fase complessa che da un punto di vista tecnico è sia investigativa che processuale.

"Restivo è in Gran Bretagna ed è tranquillo"
L'avvocato di Danilo Restivo, Mario Marinelli sostiene che il suo assistito è tranquillo, a casa sua in Inghilterra, a disposizione per il prelievo del Dna, e poi dice che vorrebbe parlare "a chi ha scritto sulla lavagna nera solo il suo nome: ora servono le prove...". Tutti sono convinti che Danilo Restivo sia l'assassino, gli si fa notare ancora una volta, ma il legale risponde: "E' come la favola del bambino che aveva la marmellata sulla bocca, ma non l'aveva mangiata...".

Marinelli ha confermato che dalla perizia autoptica "non è trapelato nulla". "Ho sentito Danilo Restivo - ha anche detto - è a casa sua, non avrebbe motivo di non essere qua. E' falso che sia chiuso dentro da giorni, esce ma evita il clamore mediatico. Sì, c'è stato qualche episodio nei giorni scorsi anche con la stampa, ma è una cosa finita là, non è foriera di altro".

Polizia inglese in contatto con quella italiana
La polizia del Dorset è in contatto e collabora con gli inquirenti italiani. E' quanto ha dichiarato un alto funzionario che ha chiesto di restare anonimo. "Stiamo proseguendo i nostri normali contatti con la polizia italiana - ha affermato - e con le autorità inquirenti, e continueremo ad assisterli se ce lo chiederanno".
fonte tgcom 14 aprile 2010

LEGIONARI DI CRISTO, INCHIESTA USA: "SODANO PROTEGGEVA MACIEL"

13/4/2010 - La rivista cattolica indipendente Usa National Catholic Report ha pubblicato nei giorni scorsi una sua inchiesta in due puntate che ha messo in evidenza presunti legami tra Maciel e alcuni alti ecclesiastici, tra i quali l'ex segretario di Stato, card.Angelo Sodano.

L' ipotesi commissariamento grava sul destino dei Legionari di Cristo, congregazione religiosa fondata dal discusso padre Marcial Maciel Degollado, pedofilo e impostore, ma non è «l'unica soluzione possibile»


GIACOMO GALEAZZI

Il filo rosso dei legami tra padre Marcial Maciel e il cardinale ex segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano finisce sotto i riflettori negli Usa: la rivista cattolica indipendente National Catholic Reporter (Ncr) torna a scavare sul controverso fondatore dei Legionari di
Cristo, morto nel 2008 dopo essersi reso colpevole di decine di abusi sessuali su minori e di una doppia vita fatta di donne e figli illegittimi.«Il fulcro del piano di Maciel per assicurare la sua ’legacy’ a Roma era l’università della Legione, Regina Apostolorum.

Il cardinal Sodano, segretario di Stato Vaticano dal 1990 al 2006, fu una figura chiave nella crescita dell’università a Roma», ha scritto la rivista cattolica nella seconda puntata di una inchiesta dedicata ai legami tra Maciel e il Vaticano. «I sospetti del National Catholic Reporter dovrebbero essere supportati da prove», ha commentato il vescovo di Alessandria monsignor Giuseppe Versaldi, uno dei cinque ’visitatorì incaricati da papa Benedetto XVI di indagare sull’ordine di Maciel che a giorni potrebbe essere ’commissariatò. Intanto negli Stati Uniti l’inchiesta del Ncr ha provocato il consueto scossone: «C’è un cardinale la cui testa dovrebbe rotolare: Sodano. Le dimissioni sarebbero il miglior modo per ripudiare la sordida maniera con cui padre Maciel fu protetto per tanti anni a Roma», si legge su America, la rivista dei gesuiti Usa.

L’inchiesta del National Catholic Reporter è firmata da Jason Berry, l’equivalente per lo scandalo della pedofilia negli Usa di quello che Carl Bernstein e Bob Woodward furono per la politica al tempo del Watergate. Nel 1985 un’inchiesta di Berry in Louisiana mise per la prima volta in luce un caso di pedofilia da parte del clero. Stavolta, in due riprese, il giornalista ha portato alla ribalta la rete di contatti dell’impero di Maciel facendo i nomi, oltre che di Sodano, del cardinale Eduardo Martinez Somalo, già prefetto della Congregazione per gli Istituti della Vita Consacrata e di monsignor Stanislaw Dziwisz, il segretario polacco di Papa Giovanni Paolo II, divenuto ora cardinale di Cracovia.«Alla fine degli anni Novanta, quando otto ex Legionari denunciarono Maciel davanti alla Congregazione per la Dottrina della Fede, Sodano fece pressioni sull’allora cardinale Ratzinger per non processarlo», scrive il Ncr che riconduce l’amicizia tra l’allora segretario di Stato e il prete messicano al Cile degli anni di Pinochet.

«Più tardi a Roma come ospite d’onore ai banchetti della Legione, il cardinale divenne il più grande sostenitore di Maciel’, afferma Berry che cita Glen Favreau, un avvocato americano ed ex Legionario a Roma tra 1990 e 1997, secondo cui Sodano sarebbe intervenuto presso le autorità italiane per ottenere varianti al piano edilizio per costruire l’Università.

»Maciel assunse poi il nipote di Sodano, Andrea, come consulente« e a questo punto la vicenda si intreccia con un’altra ben nota alle cronache degli Stati Uniti: Andrea Sodano divenne in seguito il socio in affari di Raffaello Follieri. L’uomo d’affari pugliese ex fidanzato dell’attrice Anna Hathaway fu condannato nel 2008 a New York per aver truffato, millantando credito in Vaticano, alcuni investitori americani tra cui il re dei supermercati - e amico di Bill Clinton - Ron Burkle.

L’inchiesta del Ncr arriva mentre in Vaticano sta per andare in porto il lavoro dei ’visitatorì apostolici sull’ordine dei Legionari: l’ipotesi del commissariamento - ha detto monsignor Versaldi - è una delle opzioni »ma non l’unica possibile«. Secondo John Allen, vaticanista del Ncr, una decisione sarebbe alle porte, probabilmente dopo il rientro del Papa da Malta: come possibile commissario Allen indica il cardinale portoghese Jose Saraiva Martins, 78 anni, che nel 2008 ha lasciato la Congregazione per la Causa dei Santi e che proviene anche lui da un ordine religioso.
LA STAMPA 13 APRILE 2010

martedì 13 aprile 2010

Gran Bretagna: pedofilo lascia eredità ad associazione ragazze scout




Ha suscitato polemiche in Gran Bretagna la notizia di un’eredità di 400.000 sterline lasciata da un uomo condannato per pedofilia all’associazione britannica di giovani esploratrici Girl Guides. Il donatore – l’ex fotografo britannico Reginald Forester-Smith, celebre negli anni ‘70 e morto lo scorso giugno all’età di 77 anni – fu condannato nel 1999 a otto anni di carcere per pedofilia, per aver abusato di tre bambine, tra cui sua figlia Tori.

“Un gesto malato”, secondo un parente di Tori, che lascia l’associazione Girl Guides col dilemma se accettare o meno la donazione. Forester-Smith non ha lasciato nulla in eredità alla figlia che, secondo quanto l’uomo ha sempre sostenuto, mentiva sugli abusi sessuali subiti. Ha però disposto che la sua fortuna andasse a una serie di associazioni di beneficenza. Tra queste Cancer Research UK e Macmillan Cancer Research, che dovrebbero ricevere 312.291 sterline ciascuna. Le due organizzazioni non hanno ancora confermato se accetteranno la donazione. Girl Guides sarebbe stata scelta come beneficiaria in memoria della moglie di Forester-Smith, morta nel 2001, che era una convinta sostenitrice dell’organizzazione. Non è ancora stato confermato se l’associazione accetterà l’eredità.

GARLASCO: STASI A MATRIX FA INDIGNARE I GENITORI DI CHIARA

Il giallo di Garlasco
Alberto Stasi è colpevole per i genitori di Chiara Poggi indignati per l’intervista a Matrix

CARLOTTA REBAUDY - 13/04/2010
Il giallo di Garlasco

Chissà se Alberto Stasi, assolto con formula dubitativa dall’accusa di aver ucciso la sua fidanzata Chiara Poggi, avrebbe fatto bene a non andare in Tv, come aveva fatto precedentemente finchè è durato il processo. Se non si fosse lasciato intervistare, la settimana scorsa, a Matrix da Alessio Vinci, non avrebbe scatenato con le sue dichiarazioni di assoluta innocenza le reazioni dei genitori Poggi che senza mezzi termini, con molta durezza, hanno precisato che per loro «Alberto era e resta il colpevole dell’omicidio di Chiara».

La Televisione, infatti, specie nei casi di gialli irrisolti, può aiutare, a volte, nella ricerca del colpevole, come si sta verificando relativamente alla tragica vicenda di Elisa Claps, la sedicenne di Potenza il cui cadavere è stato ritrovato dopo diciassette anni nel sottotetto di una chiesa, (una tragedia, ricordiamolo, riaperta dalla trasmissione «Chi l’ha visto?») o, al contrario,può peggiorare la situazione di un imputato come è accaduto per Anna Maria Franzoni, la mamma di Cogne.

Per i genitori di Chiara Alberto resta colpevole

Forse ad Alberto Stasi, il biondino di Garlasco, apparso in Tv assai freddo e controllato, sarebbe convenuto rinunciare ad un’esposizione simile anche se si può capire che chi ritiene di essere estraneo ad un così feroce delitto (diamogli il credito dell’innocenza fino a prova contraria) avverta la necessità, dopo due anni e otto mesi di travaglio, di proclamare al mondo la propria incolpevolezza ora che è stato assolto in primo grado. Ma doveva aspettarsi la reazione dei Poggi, sapendo del ricorso in appello. Cosa ha pensato? Di poterli riavvicinare attraverso il piccolo schermo? Il padre della povera ragazza, il signor Giuseppe che ha gli stessi occhi celesti della figlia è invece andato giù duro nei suoi confronti, affermando: «Sia chiaro che per noi la sentenza di assoluzione e le motivazioni non hanno cambiato nulla. Noi non abbiamo assolto Alberto anche se c’è chi tenta di far passare un messaggio diverso.

E’ vero che dissi che secondo me quel ragazzo non era il colpevole ma era il 14 agosto del 2007. Mi avevano appena ammazzato una figlia, quel giorno non sapevo nemmeno più da che parte voltarmi. Comunque non vorrei che si creassero equivoci. Lo dico una volta per tutte: su Alberto noi non la pensiamo più così da tempo. È stato un percorso travagliato, difficilissimo, graduale. Fra quelle parole e oggi c’è un abisso e noi ora siamo convinti del contrario. Lui ha detto in Tv che adesso le cose si sono chiarite. Ed invece non si è chiarito niente. Altrimenti perché faremmo appello se non fossimo convinti. Non ci sarà alcun riavvicinamento con lui. Lo escludo nel modo più assoluto. Non si può ricorrere in appello e nel frattempo stringere la mano al ragazzo accusato di aver ucciso tua figlia».

Il signor Giuseppe ribadendo il suo convincimento, ha detto di più nell’intervista che ha rilasciato a Giusi Fasano. Ha puntato il dito sulla freddezza di Stasi ricordando che quando gli è stato chiesto quale fosse stato per lui il momento peggiore «io mi sarei aspettato che parlasse di quando ha trovato sulle scale la mia ragazza ed invece ha parlato si sé. Ha detto che il momento peggiore è stato quando l’hanno portato in carcere. Lui è qui a raccontarci quel momento. Chiara non c’è più. E in nessuna delle tante carte, intercettazioni e via dicendo che abbiamo esaminato, Alberto esprime un pensiero o un ricordo di Chiara, nemmeno quando parla con i suoi amici. Non ho letto una sua frase in difesa di Chiara quando è stato gettato fango su di lei». Gli viene in soccorso la moglie Rita: «Ci hanno fatto molta impressione gli argomenti di quegli articoli che Chiara ha salvato sulla sua chiavetta. Pedofilia.

Perché? E perché salvare quelle cose sui delitti irrisolti? Lei non si interessava di gialli, omicidi, cose di questo genere». «Comunque», conclude Giuseppe «anche il giudice non deve essere convinto dell’innocenza di Alberto altrimenti non lo avrebbe assolto con la formula dubitativa». «Formula dubitativa», cioè assoluzione con il secondo comma: via d’uscita giuridica per assolvere una persona quando la prova è «insufficiente » o «contraddittoria», come nel caso di Alberto.

lunedì 12 aprile 2010

SUICIDIO MAMMA CON BIMBO, UN SMS POCHE ORE PRIMA DI MORIRE:"SONO NEI GUAI, NON SO CHE FARE"

Lo sfogo del padre di Mattia
ma per la procura il caso è chiuso: niente autopsia

Per la Procura di Ivrea, la morte di Federica Forcella e quella del piccolo Mattia di 8 anni, sono un caso chiuso. I motivi che hanno spinto la donna a trascinare con sé il figlio, gettandosi giovedì, poco prima dell'alba, nel canale di una centrale idroelettrica a Quassolo, sono annegati con loro per sempre, cancellati nelle acque fredde e scure, in una notte d'aprile.

Eppure, i dubbi che ora tormentano Roberto Razzano, il papà del piccolo Mattia ed ex marito della donna, restano vivi e forti: «Vorrei capire cos'è successo - si è sfogato ieri con il padre Antonio -, come è stato possibile che un bambino di 8 anni non si sia in qualche modo ribellato e abbia seguito così, senza fiatare la mamma». Forse, questi dubbi, rappresentano semplicemente il tormento di un uomo che non riesce ad avere una risposta certa, davanti ad un dolore devastante. «

E' difficile comprendere, è difficile accettare, nessuna parola ti può rassicurare davanti ad una simile tragedia, Roberto è un uomo distrutto. Tutti siamo distrutti dal dolore» racconta Antonio Razzano, nonno del piccolo Mattia. Il pm che ha in mano l'indagine, Elena Daloiso non ha disposto l'autopsia sui due corpi: essendo morto il reo, di fatto, si estingue il reato. Lunedì, alle 15, 30 a Tavagnasco, ci saranno i funerali. «Però vorrei capire - si era sfogato, ancora ieri mattina con i suoi famigliari, il papà del bambino - vorrei che venisse fatta chiarezza, che si andasse fino in fondo».

A Tavagnasco dove abitavano Federica e il piccolo Mattia, ieri la gente si è risvegliata con l'incubo della tragedia ancora vivo. Chiunque si incontrasse per strada, tra i vicoli, nei pochi negozi e nell'unico bar trattoria di questo paese ai confini con la Valle d'Aosta, dove le case dalla pianura si stringono come un pugno verso le pendici della montagna, mostrava volti ancora segnati e increduli. «Cercare di capire? E come? - dice Simona Franchino, la migliore amica di Federica - i nostri due figli erano nati lo stesso giorno dello stesso anno, erano legatissimi, due fratelli. Come potrò spiegare ad un bambino di 8 anni che il suo amichetto del cuore non c'è più?».

La scuola elementare del paese è chiusa per le vacanze di Pasqua. Lunedì le porte si riapriranno e nell'aula al primo piano uno dei banchi sarà vuoto. «Dovremo cercare di spiegare ai bambini cosa è successo - dice Patrizia Racchio, una delle insegnanti di Mattia -, anche se qualcosa hanno letto sui giornali e hanno sentito in televisione. Non sarà facile». C'è chi pensa ad intitolare la scuola proprio a lui: «Sarebbe un bel gesto, un modo per ricordare quel bambino generoso e solare - dicono le maestre -, quella sua voglia di aiutare sempre gli altri compagni, di non tirarsi indietro mai, anche nelle difficoltà».

Dolore e dubbi, però, si mischiano e a volte si sovrappongono nelle parole di chi abita tra queste case e ha condiviso con Federica tanti momenti: dalle attività nella pro loco del paese, dove lei era vicepresidente, alle iniziative per il Comune. «Chissà cose l'è scattato in testa - si chiede ancora la sua migliore amica, Simona - chissà cosa la turbava». Eppure, Federica poche ore prima di decidere di farla finita per sempre, trascinando con sé il piccolo Mattia nelle acque di quel canale a tre chilometri da casa, aveva cenato con l'ex marito: «Siamo stati bene, abbiamo giocato col bimbo, poi ci siamo salutati e mi sembrava serena» ha raccontato l'uomo ai carabinieri.

Nella vita della donna qualcosa però deve essere successo, qualcosa che l'aveva sconvolta al punto da spingerla a farla finita. C'è chi, in paese, continua a parlare di un rapporto interrotto bruscamente tre mesi fa, con Alberto, un bancario di Ivrea col quale lei raccontava d'aver intrecciato una relazione: «Federica ed io - dice ora l'uomo - non avevamo nessuna storia, ci si scambiava solo qualche messaggio, io ho solo fatto l'errore d'essere gentile con lei». L'unico suo momento di sconforto lo aveva concesso poche ore prima di morire a Marco, un uomo, dicono i carabinieri, vicino alla famiglia. Un breve sms, diceva: «Sono nei guai, non so che fare».


http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/184252/
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Delitto di via Poma: il grande imbarazzo del datore di lavoro di Simonetta Cesaroni Salvatore Volponi

fonte:http://oknotizie.virgilio.it/info/51651a31a7bfc01e/delitto_di_via_poma_il_grande_imbarazzo_del_datore_di_lavoro_di_simonetta_cesaroni_salvatore_volponi_-_2_.html


Il processo a Raniero Busco probabilmente è il frutto di pressioni esterne affinchè si facesse un processo che dimostrasse che il caso di Simoneta Cesaroni riguardava soltanto suoi rapporti personali e che solo casualmente il delitto avvenne all’interno di uffici in uso al Sisde, secondo la tesi contenuta nel libro di Salavatore Volponi "Io Simonetta e........", edito dallo stesso Sisde

Senonchè l'inmiziativa si è rivelata un autogol perchè il processo sta evidenziando ancora di più le responsabilità dei funzionari del Sisde in quel delitto.

Tanti erano già prima i tasselli che legavano il delitto al Servizio Segreto Civile molto ben condensati in un'interrogazione parlamentare che presentò il deputato leghista Erminio Boso nel 1996.

Questi vigente il primo governo Prodi in un' interrogazione presentata al Presidente del Consiglio e ai ministri dell' Interno e della Giustizia nel 1996 ripercorreva una serie infinita di vicende legate al delitto del 7 agosto del ' 90, all'austriaco Roland Voller, arrestato per depistaggio, alle attivita' di societa' di copertura del Sisde, allo scandalo dei fondi neri degli stessi servizi segreti culminato con gli arresti di Maurizio Broccoletti Michele Finocchi Riccardo Malpica, Rosa Soprrentino, Antonio Galati, Gerardo De Pascale e di altri funzionari del Servizio. L' interrogazione manifestava il sospetto, che l' inchiesta sull' omicidio di via Poma era stata pesantemente condizionata da manovre e depistaggi. Messi in atto – come confessò il commissario del Falminio Antonio Del Grande - dal capo della Polizia Vincenzo Parisi e da suo genero il vicequestore Sergio Costa.

Secondo il parlamentare tal Rudolf Voller, un pregiudicato austriaco grande accusatore di Federico Valle, uno studente universitario ingiustamente accusato del delitto "aveva in uso un telefono cellulare intestato al ministero dell' Interno". Lo stesso austriaco aveva in uso una cassetta di sicurezza nel caveau della Bnl di via Bissolati "ottenuta grazie a una lettera di raccomandazione su carta intestata della Questura di Roma firmata dal commissario Antonio Del Greco, all' epoca dei fatti dirigente della V sezione della Squadra mobile romana impegnata, su delega del pm Pietro Catalani, nelle indagini sull' omicidio di Simonetta Cesaroni". Il senatore leghista nell' interrogazione sosteneva che Voller "custodiva fra le altre carte nella sua cassetta di sicurezza una fascetta del tipo utilizzato per avvolgere le banconote con un numero di serie non emesso dalla Banca d' Italia e quindi proveniente, probabilmente, da fondi riservati gestiti dal ministero dell' Interno". Insomma, l' austriaco, un noto truffatore, era stipendiato dal Sisde (e secondo il commissario Del Grande era anche socio in affari dell'ex capo della polizia Parisi).

Boso poi accennava a tentativi di Sergio Costa, genero del defunto ex capo della polizia Vincenzo Parisi, di "indirizzare la pista investigativa verso l' ex portiere dello stabile, Pietrino Vanacore". . Il parlamentare sottolineava poi il primo esame, disposto da Catalani, sul computer sul quale stava lavorando Simonetta quando e' stata uccisa e che e' stato eseguito dall' ingegner Stefano Carucci: Boso ricordava che il professionista "faceva parte della societa' Insirio Spa, in cui figurano, tra gli altri, personaggi direttamente collegabili al Sisde e alla societa' Immobiliare Gradoli Spa, la quale ha gestito gran parte degli appartamenti del palazzo di via Gradoli 96 dove, il 18 aprile del 1978, durante il sequestro dell' onorevole Aldo Moro, venne scoperto un covo delle Brigate Rosse". Ancora. il parlamentare voleva sapere per quale motivo Catalani non aveva interrogato il proprietario dell' appartamento nel quale fu ammazzata Simonetta, Manlio Indaco Giammona, secondo lui "abitante nello stesso palazzo in cui si trovavano alcuni appartamenti di proprieta' di una societa' di copertura del Sisde, la Servo Immobiliare".

Ma a tutti questi tasselli questo dibattimento ne aggiunge un altro. Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta Cesaroni il giorno del delito e nel corso dell'indagine, ha detto un mare di bugie.

Non conosceva l’ufficio, non conosceva il numero di telefono, non conosceva cosa Simonetta facesse in quell’ufficio. Dall’esame di tutti gli altri testi è risultato invece esattamente il contrario. Sapeva il numero di telefono tanto vero che varie volte telefonò per parlare con Simonetta. Sapeva dov’era l’ufficio, tanto vero che il primo giorno venne personalmente lui per presentarla agli altri impiegati dell’Ufficio. Invece la sera del delitto sosteneva di non sapere alcunchè col chiaro intento di ritardare i tempi allo scopo di favorire la rimozione del cadavere da parte di altri del suo stesso gruppo o del gruppo del Sisde che egli intendeva tradire.

Ormai è chiaro che Salvatore Volponi strumentalizzò Simonetta Cesaroni, chiedendole di fare escursioni non autorizzate sui computer del Sisde, esponendola a rischi altissimi che l’hanno portata a subire quella tragica fine.

E si è compreso anche che Simonetta Cesaroni fu assunta solo un mese prima il 1° luglio 1990 su iniziativa del presidente Francesco Caracciolo Di Sarno d’intesa con Salvatore Volponi proprio con l’intento specifico di mandarla a lavorare da sola il pomeriggio in quell’Ufficio dei Servizi Segreti quando non c’era più nessuno, per estrapolare questo materiale riservato. Che evidentemente serviva ad una altra fazione del Sisde oppure a terzi estranei al Servizio Segreto.

Si parla in più di un sito della rete che Simonetta Cesaroni era stata incaricata in particolare di individuare una lista di nomi che avrebbe dovuto scaricare e consegnare a una persona che quello stesso pomeriggio doveva passare a ritirarla. Che cosa sia poi successo non si sa. Ma si immagina. Qualcuno di coloro in danno dei quali era stata concepita l’operazione, è arrivato prima.

Molte cose potrebbero essere chiarite da Salvatore Volponi ma questi pare che sia caduto in uno stato depressivo di tale portata da non consentirgli la partecipazione al processo. Questo stato depressivo si è accentuato dopo che ha verificato che coloro contro i quali egli ha tramato nel 1990 sono ancora in grado di ammazzare chi vogliono loro (vedi caso Vanacore) e trovano ancora Magistrati che esaminano il caso come suicidio.

Volponi ha chiesto tramite un avvocato che la sua deposizione sia calendarizzata al termine del dibattimento dopo quella di tutti gli altri.

E’ la prima volta – credo - che un testimone chieda formalmente lui di stabilire l’ordine di escussione dei testimoni autoponendosi in fondo alla lista allo scopo di potersi regolare in base a quanto dicono tutti gli altri. Siamo alla frutta! Peraltro qui c’è poco da regolarsi. Ormai è chiaro che il libro e le deposizioni di Volponi sono l’ennesimo tentativo di depistare le indagini per riversare su un estraneo (Raniero Busco) un delitto ingiustificatamente commesso da qualcuno del Sisde per le lotte intestine che avvennero in seno al Sisde nel 1990 per tutte le illiceità che nel Sisde in quel tempo si andavano consumando o si andavano preparando (stragi comprese). Attività tutte rimaste impunite solo perché targate Sisde.

Che vergogna !

Artemide 2. fine

domenica 11 aprile 2010

MUORE A ROMA IL FIGLIO DI DONATELLA PAPI, MOGLIE DEL MOSTRO DEL CIRCEO


Incidenti, muore il figlio di Donatella Papi la donna che ha sposato il 'mostro del Cicero'

Incidenti, muore il figlio di Donatella Papi
la donna che ha sposato il 'mostro del Cicero'
Solo ieri aveva consegnato alla polizia una denuncia per le minacce a lei e alla famiglia
Chiede l'autopsia sul cadavere del giovane: "Da anni eravamo sotto ricatti e pressioni"


Jacopo Fanfani, 17 anni - nipote di Amintore Fanfani e figlio di Donatella Papi, la donna che recentemente ha sposato in carcere Angelo Izzo, uno dei mostri del Circeo - è morto la scorsa notte in un incidente stradale avvenuto nella Capitale.

Stando alle prime informazioni, il giovane si trovava a bordo di una minicar sulla tangenziale di Roma, all'altezza del Foro Italico, quando improvvisamente la piccola auto si è ribaltata ed è uscita di strada. Il giovane è morto durante il trasporto in ospedale.

Donatella Papi ha chiesto che sia fatta l'autopsia sul cadavere del figlio. "La morte di mio figlio - ha detto la donna - è un sacrificio per la patria. Da anni eravamo sotto ricatti e pressioni. Proprio ieri ho consegnato alla polizia postale una denuncia per gravi minacce e rischi per la mia persona, per mio marito e per i miei familiari. Ho chiesto, in relazione alla morte di mio figlio, che siano eseguite l'autopsia ed indagini rigorose".



(11 aprile 2010)

lunedì 5 aprile 2010

Amanda Knox sta diventando cieca. Il fidanzato: "Colpa della depressione"


La condanna e la prigione di Perugia stanno portando Amanda Knox in un stato di depressione che aggrava il suo stato di salute tanto da far temere che possa addirittura perdere la vista. A lanciare l'allarme è David, un ragazzo di Seattle che si definisce il fidanzato di Amanda, la giovane condannata per l'omicidio di Meredith Kerchner. I due ragazzi erano fidanzati a Seattle e hanno riallacciato il loro rapporto proprio durante il processo.


A raccogliere la testimonianza del 23enne David Johnsrud è il quotidiano britannico Mirror. "La vita in prigione la sta distruggendo, ogni tanto ha dei black out, forti mal di testa ma soprattutto teme di perdere la vista". Secondo David, la vista di Amanda era già debole prima della condanna. Ma la prigionia starebbe accelerando un processo degenerativo del nerco oculare. "Vede solo le cose vicine, ha difficoltà con quelle in lontananza. Ogni giorno guarda fuori dalla sua cella e fa esercizi per allenare l'occhio ma è preoccupata, ha paura di diventare cieca".

I due anni già trascorsi in cella hanno lasciato il segno sul suo corpo, dice ancora David. "E' dimagrita tanto e la sua pelle sta prendendo un colore strano".

La vita in cella di Amanda
"Vive in una cella con una compagna più grande di lei", dice ancora Davide che comunica con la sua fidanzata attraverso le lettere e alcune sporadiche telefonate. "Lavora all'interno del carcere, consegna i generi alimentari e per questa sua attività ha un piccolo compenso che spende quasi tutto nell'acquisto di frutta e verdura". "Il resto della giornata - racconta David - lo trascorre studiando, sta facendo un corso di laurea di poesia per corrispondenza e di traduzione per l'università di Washington a Seattle. Infine ascolta musica classica e fa yoga".

http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo478247.shtml?refresh_cens&fontsize=medium

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