lunedì 12 aprile 2010

Delitto di via Poma: il grande imbarazzo del datore di lavoro di Simonetta Cesaroni Salvatore Volponi

fonte:http://oknotizie.virgilio.it/info/51651a31a7bfc01e/delitto_di_via_poma_il_grande_imbarazzo_del_datore_di_lavoro_di_simonetta_cesaroni_salvatore_volponi_-_2_.html


Il processo a Raniero Busco probabilmente è il frutto di pressioni esterne affinchè si facesse un processo che dimostrasse che il caso di Simoneta Cesaroni riguardava soltanto suoi rapporti personali e che solo casualmente il delitto avvenne all’interno di uffici in uso al Sisde, secondo la tesi contenuta nel libro di Salavatore Volponi "Io Simonetta e........", edito dallo stesso Sisde

Senonchè l'inmiziativa si è rivelata un autogol perchè il processo sta evidenziando ancora di più le responsabilità dei funzionari del Sisde in quel delitto.

Tanti erano già prima i tasselli che legavano il delitto al Servizio Segreto Civile molto ben condensati in un'interrogazione parlamentare che presentò il deputato leghista Erminio Boso nel 1996.

Questi vigente il primo governo Prodi in un' interrogazione presentata al Presidente del Consiglio e ai ministri dell' Interno e della Giustizia nel 1996 ripercorreva una serie infinita di vicende legate al delitto del 7 agosto del ' 90, all'austriaco Roland Voller, arrestato per depistaggio, alle attivita' di societa' di copertura del Sisde, allo scandalo dei fondi neri degli stessi servizi segreti culminato con gli arresti di Maurizio Broccoletti Michele Finocchi Riccardo Malpica, Rosa Soprrentino, Antonio Galati, Gerardo De Pascale e di altri funzionari del Servizio. L' interrogazione manifestava il sospetto, che l' inchiesta sull' omicidio di via Poma era stata pesantemente condizionata da manovre e depistaggi. Messi in atto – come confessò il commissario del Falminio Antonio Del Grande - dal capo della Polizia Vincenzo Parisi e da suo genero il vicequestore Sergio Costa.

Secondo il parlamentare tal Rudolf Voller, un pregiudicato austriaco grande accusatore di Federico Valle, uno studente universitario ingiustamente accusato del delitto "aveva in uso un telefono cellulare intestato al ministero dell' Interno". Lo stesso austriaco aveva in uso una cassetta di sicurezza nel caveau della Bnl di via Bissolati "ottenuta grazie a una lettera di raccomandazione su carta intestata della Questura di Roma firmata dal commissario Antonio Del Greco, all' epoca dei fatti dirigente della V sezione della Squadra mobile romana impegnata, su delega del pm Pietro Catalani, nelle indagini sull' omicidio di Simonetta Cesaroni". Il senatore leghista nell' interrogazione sosteneva che Voller "custodiva fra le altre carte nella sua cassetta di sicurezza una fascetta del tipo utilizzato per avvolgere le banconote con un numero di serie non emesso dalla Banca d' Italia e quindi proveniente, probabilmente, da fondi riservati gestiti dal ministero dell' Interno". Insomma, l' austriaco, un noto truffatore, era stipendiato dal Sisde (e secondo il commissario Del Grande era anche socio in affari dell'ex capo della polizia Parisi).

Boso poi accennava a tentativi di Sergio Costa, genero del defunto ex capo della polizia Vincenzo Parisi, di "indirizzare la pista investigativa verso l' ex portiere dello stabile, Pietrino Vanacore". . Il parlamentare sottolineava poi il primo esame, disposto da Catalani, sul computer sul quale stava lavorando Simonetta quando e' stata uccisa e che e' stato eseguito dall' ingegner Stefano Carucci: Boso ricordava che il professionista "faceva parte della societa' Insirio Spa, in cui figurano, tra gli altri, personaggi direttamente collegabili al Sisde e alla societa' Immobiliare Gradoli Spa, la quale ha gestito gran parte degli appartamenti del palazzo di via Gradoli 96 dove, il 18 aprile del 1978, durante il sequestro dell' onorevole Aldo Moro, venne scoperto un covo delle Brigate Rosse". Ancora. il parlamentare voleva sapere per quale motivo Catalani non aveva interrogato il proprietario dell' appartamento nel quale fu ammazzata Simonetta, Manlio Indaco Giammona, secondo lui "abitante nello stesso palazzo in cui si trovavano alcuni appartamenti di proprieta' di una societa' di copertura del Sisde, la Servo Immobiliare".

Ma a tutti questi tasselli questo dibattimento ne aggiunge un altro. Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta Cesaroni il giorno del delito e nel corso dell'indagine, ha detto un mare di bugie.

Non conosceva l’ufficio, non conosceva il numero di telefono, non conosceva cosa Simonetta facesse in quell’ufficio. Dall’esame di tutti gli altri testi è risultato invece esattamente il contrario. Sapeva il numero di telefono tanto vero che varie volte telefonò per parlare con Simonetta. Sapeva dov’era l’ufficio, tanto vero che il primo giorno venne personalmente lui per presentarla agli altri impiegati dell’Ufficio. Invece la sera del delitto sosteneva di non sapere alcunchè col chiaro intento di ritardare i tempi allo scopo di favorire la rimozione del cadavere da parte di altri del suo stesso gruppo o del gruppo del Sisde che egli intendeva tradire.

Ormai è chiaro che Salvatore Volponi strumentalizzò Simonetta Cesaroni, chiedendole di fare escursioni non autorizzate sui computer del Sisde, esponendola a rischi altissimi che l’hanno portata a subire quella tragica fine.

E si è compreso anche che Simonetta Cesaroni fu assunta solo un mese prima il 1° luglio 1990 su iniziativa del presidente Francesco Caracciolo Di Sarno d’intesa con Salvatore Volponi proprio con l’intento specifico di mandarla a lavorare da sola il pomeriggio in quell’Ufficio dei Servizi Segreti quando non c’era più nessuno, per estrapolare questo materiale riservato. Che evidentemente serviva ad una altra fazione del Sisde oppure a terzi estranei al Servizio Segreto.

Si parla in più di un sito della rete che Simonetta Cesaroni era stata incaricata in particolare di individuare una lista di nomi che avrebbe dovuto scaricare e consegnare a una persona che quello stesso pomeriggio doveva passare a ritirarla. Che cosa sia poi successo non si sa. Ma si immagina. Qualcuno di coloro in danno dei quali era stata concepita l’operazione, è arrivato prima.

Molte cose potrebbero essere chiarite da Salvatore Volponi ma questi pare che sia caduto in uno stato depressivo di tale portata da non consentirgli la partecipazione al processo. Questo stato depressivo si è accentuato dopo che ha verificato che coloro contro i quali egli ha tramato nel 1990 sono ancora in grado di ammazzare chi vogliono loro (vedi caso Vanacore) e trovano ancora Magistrati che esaminano il caso come suicidio.

Volponi ha chiesto tramite un avvocato che la sua deposizione sia calendarizzata al termine del dibattimento dopo quella di tutti gli altri.

E’ la prima volta – credo - che un testimone chieda formalmente lui di stabilire l’ordine di escussione dei testimoni autoponendosi in fondo alla lista allo scopo di potersi regolare in base a quanto dicono tutti gli altri. Siamo alla frutta! Peraltro qui c’è poco da regolarsi. Ormai è chiaro che il libro e le deposizioni di Volponi sono l’ennesimo tentativo di depistare le indagini per riversare su un estraneo (Raniero Busco) un delitto ingiustificatamente commesso da qualcuno del Sisde per le lotte intestine che avvennero in seno al Sisde nel 1990 per tutte le illiceità che nel Sisde in quel tempo si andavano consumando o si andavano preparando (stragi comprese). Attività tutte rimaste impunite solo perché targate Sisde.

Che vergogna !

Artemide 2. fine

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