mercoledì 27 febbraio 2008

Frigerio non vacilla e accusa: «Era Olindo»

Processo per la strage di Erba: Depone anche il genetista incaricato dalla Procura di esaminare la macchia di sangue trovata sull'auto dei Romano

Il sopravvissuto: «Mi guardava fisso con due occhi da assassino». Proiettato un drammatico video di Rosa Bazzi




Il dito indice puntato verso la gabbia, la voce che si fa più forte. Le parole come pietre. «Quando si è aperta la porta è apparsa una persona che ho riconosciuto e mi sono chiesto cosa ci facesse lì. Anche mia moglie lo ha visto. Era il mio vicino di casa, Olindo Romano. Mi guardava fisso, con due occhi da assassino. Uno sguardo che non riuscirò mai a dimenticare nella mia vita».
Mario Frigerio rivive il momento più tragico della sua esistenza seduto al banco dei testimoni della Corte d'Assise. «Qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadermi», ripete spesso.
In un'aula piombata improvvisamente in un silenzio irreale e davanti ai giudici che lo ascoltano senza fiatare, Frigerio è come un martello. Pianta uno per uno i chiodi che imbullonano i coniugi Romano alle loro responsabilità. Lo fa con una forza inaspettata. I figli, pochi giorni prima, avevano parlato di un uomo spento, senza voglia di vivere. La realtà sembra invece diversa. Mario Frigerio è determinato, ostinato perfino nel ripetere la sua verità sulla strage.
E quando la difesa, nel controesame, tenta di farlo cadere in contraddizione o quantomeno di evidenziarne alcune incongruenze del racconto, sfodera anche rabbia. E indignazione. «Dovreste avere vergogna», dice agli avvocati di Olindo e Rosa. «Vergognatevi».
La testimonianza
È ovvio come la testimonianza dell'unico sopravvissuto alla strage dell'11 dicembre 2006 sia il punto fermo che ancora mancava alla strategia dell'accusa. Una sorta di muro di cemento armato contro il quale sono probabilmente destinati a sfracellarsi tutti i tentativi della difesa di provare l'innocenza di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Ma quanto raccontato ieri da Frigerio ha aggiunto anche qualche elemento alla ricostruzione della sera della carneficina. «L'11 dicembre con mia moglie eravamo andati a fare la spesa all'Esselunga di Lipomo - ha raccontato - Siamo tornati all'incirca tra le 17.30 e le 17.45. Verso le 19 abbiamo cenato come d'abitudine, dopo mi sono messo a guardare la tv e alle 20 mia moglie si è preparata per accompagnare fuori il cagnolino, come faceva sempre. Mentre stava per uscire abbiamo sentito un urlo. Forse Raffaella stava litigando con il marito, ho detto a mia moglie di aspettare un po' prima di uscire». Ma l'urlo udito dai coniugi Frigerio era strano, diverso dal solito.
«Era un grido di sofferenza, che ci ha colpito. Non saprei spiegare, sembrava il gemito di una donna adulta, un urlo che non avevo mai sentito prima».
Incontro alla morte
Le grida sono seguite da un silenzio assoluto. Quasi irreale. Valeria Cherubini attende qualche minuto, poi porta il cane fuori. «Dopo un quarto d'ora mia moglie rientra e mi dice spaventata che sulle scale c'è fumo - continua ancora Frigerio - Mi sono messo le scarpe e siamo scesi. Dal pianerottolo a metà delle scale ho visto aprirsi la porta di casa di Raffaella e mi è apparsa questa persona».
La tensione del racconto è paragonabile a una sceneggiatura thriller. Con la differenza, sostanziale, che il testimone parla di qualcosa accaduto realmente. «Sinceramente in quel frangente non ho pensato nulla, soltanto che Olindo fosse stato richiamato anche lui dal fumo. Ho fatto ancora metà scalinata e mi sono avvicinato. Mi fissava dritto negli occhi ma quando ero a un metro mi ha chiuso la porta in faccia. A quel punto mi stavo accostando per chiedergli cosa fosse successo quando la porta si è aperta all'improvviso. Mi sono sentito trascinare dentro. Non ho saputo reagire perché non ero preparato». Sono «attimi». In cui Frigerio sprofonda, insieme con la moglie, nel baratro della morte. «Olindo mi ha preso per il collo e mi ha picchiato sullo zigomo, ho sentito un dolore fortissimo, un male terribile. In quel momento ho avuto anche la sensazione che qualcuno passasse di fianco e andasse di sopra. Olindo mi teneva giù con la forza e con il peso del suo corpo. Avevo la faccia a terra e lui era a cavalcioni su di me. Ho visto che tirava fuori un coltello, mentre sentivo mia moglie gridare 'no, no', e poi subito dopo 'aiuto, aiuto'». La furia dell'aggressore, che Frigerio definisce una «belva», è devastante. «Mi ha tagliato la gola, non riuscivo più a reagire, non ho sentito più niente. Volevo chiamare aiuto, ma non ero in grado di muovermi, sentivo il sangue che usciva, volevo andare da mia moglie ma ero paralizzato. A un certo punto il fuoco si è fatto più forte, in quel momento ho pensato: 'O muoio dissanguato o muoio bruciato'. Poi è giunto Bartesaghi, insieme con l'altro vigile del fuoco. Ho cercato di fargli capire che di sopra c'era mia moglie, speravo di sentirgli dire 'qua ce n'è un'altra viva. Ma nessuno disse nulla».
Il controesame
Anche durante il controesame della difesa, quando non sono mancati momenti di tensione, Frigerio ha ripetuto le accuse contro il vicino di casa.
«Sempre dirò che è lui, tutte le volte che me lo chiederanno e per tutta la vita, perché è la sacrosanta verità: è stato Olindo che mi ha aggredito», ha detto. Lasciando agli avvocati dei coniugi Romano un'unica carta: evidenziare le contraddizioni tra i diversi interrogatori sostenuti dal sopravvissuto alla strage subito dopo il risveglio e, in questo modo, convincere la giuria che il riconoscimento sia stato in qualche modo indotto dai magistrati e dagli investigatori.
Un compito che non appare semplice, soprattutto perché Mario Frigerio, in aula, non ha mai avuto alcun tentennamento. E ha indicato in Olindo il suo aggressore e il carnefice della moglie Valeria.


Dario Campione Correire di Como 27 febbraio 2008

Nessun commento:

VIAGGI

Partenza:
Camere:
Adulti:
Ritorno: