mercoledì 20 febbraio 2008

Erba, Gallorini: "Indagammo anche sulla famiglia Castagna"

Intanto è guerra tra accusa e difesa sulla trascrizione delle parole di Frigerio

La Procura nutre dubbi sulla autenticità della voce dell'unico superstite

Cinque ore inchiodato alla sedia dei testimoni. Cinque ore durante le quali è stato sostanzialmente impossibile trovare una sbavatura, un'incongruenza, una contraddizione. La deposizione fiume del comandante dei carabinieri di Erba, il luogotenente Luciano Gallorini, è stata uno dei tasselli più nitidi inseriti dalla Procura nel complesso mosaico dell'accusa costruita a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi.Protagonista delle indagini sin dalle primissime ore successive alla strage, Gallorini ha disegnato in modo chiarissimo la trama dell'inchiesta. Condotta senza tralasciare alcuna pista ma concentrata immediatamente sui coniugi Romano, che furono sentiti la notte stessa della mattanza.Le parole del sottufficiale, da 25 anni nella città brianzola, sono illuminanti. «Quella notte abbiamo pensato a tutte le possibili ipotesi. Ci siamo riuniti nel mio ufficio, io sapevo della situazione precaria della corte. Abbiamo consultato i fascicoli e verificato le liti tra le famiglie. Chiesi allora al mio vice, il maresciallo Luca Nesti, di dare una controllata all'abitazione dei Romano. Così, alle 3, ho ordinato di andare a casa di Olindo».I carabinieri svegliano i coniugi Romano nel cuore della notte. Si guardano in giro, qualcosa non quadra. Scattano i primi sospetti. Ancora Gallorini: «Mi telefona Nesti e mi dice che qualcosa non lo convince. Mi sono recato sul posto e ho capito che la situazione era interessante. Olindo aveva gli occhi strani, le pupille dilatate, una faccia particolare. Erano le 3 e mezza e la lavatrice andava, ci siamo insospettiti e con la delega del magistrato ho fatto una perquisizione. Sono sensazioni ma quanto raccontato dal maresciallo Nesti, la faccia di Olindo, la lavatrice, lo scontrino: ci hanno insospettito».Lo scontrino a cui fa riferimento Luciano Gallorini è quello ormai stranoto del McDonald's. L'alibi di marito e moglie, che Rosa mostra a Nesti quando questi chiede dove la coppia avesse trascorso la serata. «La Bazzi prese lo scontrino dalla sua borsa e lo esibì spontaneamente, senza che io le chiedessi nulla», ha ripetuto ieri in aula lo stesso Nesti durante la sua deposizione.Sospetti, dunque, che si rafforzano e diventano certezze dopo il riconoscimento di Mario Frigerio. L'unico sopravvissuto della strage esce dal coma dopo 4 giorni dalla tragica notte dell'11 dicembre. Comincia a ricordare, prima in modo confuso poi sempre più chiaramente. Il 20 dicembre Gallorini va in ospedale, al Sant'Anna, per un colloquio investigativo. Deve chiedere a Frigerio di un paio di occhiali, di un accendino e di alcune ciabatte trovate nella casa del ghiaccio. Ma quando il discorso cade sui vicini di casa e, in particolare, su Olindo Romano, l'uomo sdraiato su un letto della rianimazione si mette a piangere.Su questo colloquio investigativo, la difesa tenta una carta a sorpresa. L'avvocato Fabio Schembri chiede alla Corte di acquisire la trascrizione dello stesso colloquio, intercettato con le microspie.Il collegio difensivo sostiene di aver 'ripulito' la bobina dai rumori e fa capire che le parole pronunciate da Frigerio possono essere diverse da quelle ripetute da Gallorini. L'accusa si oppone. «C'è il testimone, chiediamolo a lui quello che ha detto - tuona Astori, che poi, in modo molto duro, lascia intendere che la prova della difesa potrebbe non essere genuina - Ho molti dubbi che la voce sia quella di Frigerio», dice.È chiaro che tutto il processo è ormai proiettato al 26 gennaio, quando il sopravvissuto della strage dirà davanti ai giudici la sua verità.Nella sua lunghissima deposizione, Gallorini ha poi smontato pezzo per pezzo l'ipotesi del 'commando' che avrebbe agito tra le 20 e le 20.15 in via Diaz fuggendo quindi dai tetti della casa del ghiaccio. «Abbiamo controllato tutte le uscite e anche le tegole, non c'era alcuna traccia», ha spiegato il sottufficiale.Infine, le ipotesi investigative. L'indagine non fu, come detto, a senso unico. Furono intercettati persino i familiari di Raffaella Castagna e interrogato anche il prevosto per vagliare la pista religiosa. Si cercò pure nell'ambiente dello spaccio, nel timore che qualcuno volesse farla pagare ad Azouz, implicato in precedenza in fatti di droga. «Valutammo la pista calabrese dato che Azouz aveva avuto problemi in carcere, abbiamo lavorato sull'ipotesi di un pazzo, di un maniaco
Corriere di Como 19 febbraio 2008

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