mercoledì 27 febbraio 2008

"Non possono essere scivolati tutti e due"

La madre: voglio soltanto la verità
E la morte cancella la guerra degli affetti


Li hanno trovati rannicchiati in posizione fetale i due fratelli. Salvatore, il più piccolo, undici anni, con il pollice in bocca, Francesco, pochi metri più in là, con le mani giunte chiuse tra le gambe, gesto istintivo di quando si vuole trovare conforto dal freddo. Forse è stato lui il primo a morire sotto gli occhi del fratellino. Salvatore si è tolto le scarpe e le ha messe su un muretto vicino a quelle di Ciccio. Poi si è tolto la maglietta. Piccoli gesti in una lunga agonia, a cui oggi è impossibile dare un significato. «E’ stata una morte orribile», ha detto il procuratore Lucio Marzano.

Freddo e fame che hanno avvolto nel buio Ciccio e Tore dopo la caduta in quel pozzo fondo 25 metri dentro le mura di una masseria del Settecento ormai diroccata.

Delitto o incidente? Gli inquirenti sospendono il giudizio e lasciano spazio alle lacrime delle famiglie, di tutto un paese in lutto. Applaudono quando le bare bianche escono dalla casa delle cento stanze, come i ragazzi chiamano questa vecchia costruzione sinistra. Le anziane avvolte nei loro abiti neri sgranano il rosario, i ragazzini si tolgono il berretto e recitano una Ave Maria. Rosa non c’è. Non le hanno permesso di venire. Ha girato per il paese, in un pellegrinaggio dolente, nei luoghi in cui era stata tante volte con i figli e dove per tanto tempo ha continuato a cercarli.

Avrebbero chiesto aiuto
«Oggi sono morta anche io, tutte le mie speranze se ne sono andate», ha ripetuto come in una litania. «Sono convinta dalle fotografie che ho visto per tutta la notte che questi corpicini in fondo al pozzo sono quelli dei miei figli». E’ difficile, però, credere all’incidente: «Io capisco che uno dei due possa essere scivolato. Ma l’altro? Sicuramente avrebbe chiesto aiuto, non gli sarebbe andato dietro».

Una giornata scandita dalla disperazione ma anche dai dubbi, da quel «forse» sempre più forte, messo davanti alla colpevolezza dell’ex marito che dal carcere la accusa: «Mi hai rovinato». «Lascio che sia la polizia scientifica a dire quello è successo», dice Rosa consigliata dall’avvocato. Non è più il tempo dello scontro. Racconta di un sogno fatto più volte nei primi giorni dopo la scomparsa dei suoi figli: «Vedevo Tore che giocava con gli amichetti sui tetti, saltando da una parte all’altra e poi scompariva in un buco nero. Era solo, però, senza il fratello». Una visione ripetutasi un anno fa: «Mio figlio Salvatore era giù in fondo a un pozzo».

Quando le portano il foglio che la invita al riconoscimento dei corpi all’obitorio di Bari, Rosa sembra in trance. Abbassa gli occhi - «finalmente potrò vederli» - e non pensa ad altro. Le hanno spiegato che ormai Ciccio e Tore sono leggeri come «carta velina», «si girano con una mano», spiega il questore Enzo Speranza, mummificati dalla lunga permanenza in quel luogo umido ma aerato.

Da me stavano bene
Lei non ascolta. Li vuole rivedere e sfogare il suo dolore. «Niente potrà essere peggio di quello che ho vissuto fino ad ora. Solo io, la loro mamma, posso capirlo». E nel rivendicare il suo ruolo, il suo amore, Rosa risponde a Maria Ricupero, la nuova compagna di Filippo Pappalardi, che ha detto ieri agli investigatori: «Sono io la vera madre di quei bambini». Una guerra di affetti che ha portato Ciccio e Tore a scappare più volte da casa e alla fine, forse, anche alla morte. «Nella nostra casa stavano bene, non gli mancava niente», continua a spiegare con orgoglio questa donna bionda e minuta così diversa da Rosa.

Arrivano davanti a quella che è stata per quasi due anni la tomba di Salvatore e Francesco i compagni di classe, le maestre, gli amici di piazza Quattro Fontane dove si riunivano tutti in comitiva, e dove un bambino dice di averli visti salire sull’auto del padre la sera della scomparsa. Le lacrime solcano i visi di questi adolescenti con il bomber e il gel nei capelli. Qualcuno porta un fiore e cerca di oltrepassare il muro degli agenti e dei carabinieri che sbarrano il passo a chiunque.

Quando esce il medico legale, Vito Romano, ha gli occhi lucidi. Abbassa gli occhi e non parla, come l’avvocatessa di Filippo Pappalardi, Angela Aliani. Dopo alcune ore passate in quella stanza segreta alla base del pozzo dove sono finiti i due bambini, ha il viso stravolto: «Chi non lo avrebbe?».

Una piazza per loro
«Non dimenticherò mai questa storia», dice il sindaco Rino Vendola che era andato anche in Romania per pregare il capo della polizia di aiutarli nelle ricerche.

«Era già terribile prima, ma adesso che si sa che hanno fatto una fine terribile, è veramente insopportabile». Sarà lui a occuparsi del funerale, appena il magistrato darà il permesso, e di far costruire una tomba a Ciccio e Tore, «che sono diventati degli angeli». «E proprio pensando a loro - continua Vendola - ho inaugurato la «piazza dei ragazzi Santi» nel cuore di Gravina. La piazza di Ciccio e Tore.

La Stampa 28 febbraio 2008

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