sabato 8 marzo 2008

Gravina, il padre: non sono un assassino. Quel bambino non dice la verità

Davanti al giudice per oltre due ore ancora tante contraddizioni

ENZO CIACCIO Bari. «La sera della scomparsa dei miei figli non ero in piazza Quattro Fontane. Il minore che racconta di avermi visto in quel luogo alle 21.30 in auto con Ciccio, Tore e la mia figliastra non ricorda bene. Comunque, non dice la verità». E poi aggiunge, fra le lacrime che compaiono sul volto scavato: «Magari fossi stato lì, quella maledetta sera. Magari li avessi trovati in tempo. Oggi i miei bambini sarebbero ancora vivi». Si è protratto per più di due ore l’interrogatorio di Filippo Pappalardi, il papà dei fratellini di Gravina ritrovati morti dopo venti mesi di ricerche sul fondo della cisterna della casa «delle cento stanze» nel centro antico del paese. Papà Filippo è in carcere dal 27 novembre con l’accusa di duplice omicidio volontario aggravato. Su sua richiesta. Assistito dall’avvocato Angela Aliani, alle 13 di ieri è stato ascoltato al primo piano, aula L, della procura di Bari, dal giudice per le indagini preliminari, Giulia Romanazzi, che nelle prossime ore dovrà esprimersi sulla sua scarcerazione. All’interrogatorio era presente anche il sostituto procuratore Antonino Lupo, che conduce l’inchiesta e che ha già espresso parere negativo alla liberazione. Papà Filippo è giunto al palazzo della procura di Bari proveniente dal carcere di Velletri. Ha viaggiato a bordo di un cellulare della polizia penitenziaria, scortato da un’auto dei vigili urbani. Senza manette, visibilmente provato dopo gli ultimi, terribili sviluppi della vicenda. Ingresso vietato ai giornalisti. Polemici all’ingresso i familiari, che se la prendono con i mass media. «Se hanno la coscienza pulita, lo libereranno», dicono a voce alta. E il nonno dei Pappalardi, presente in procura: «Abbiamo molta fede, a noi ci salva la fede». Tra loro, anche la convivente di Filippo, Maria Ricupero. Che cosa ha detto papà Filippo al magistrato? Secondo il suo difensore, avrebbe di nuovo negato ogni capo di accusa, dicendosi completamente estraneo ai fatti e ribadendo le precedenti dichiarazioni. O almeno, alcune delle tante versioni finora fornite agli inquirenti nel corso delle sue precedenti dichiarazioni. Contro di lui, solo indizi. Però è vero che molte sue spiegazioni sono apparse tardive e contraddittorie. E proprio su tali contraddizioni avrebbe insistito il giudice. Per esempio, perché per giorni e giorni ripete agli inquirenti che la zona dove cercare Ciccio e Tore è quella intorno al Municipio, cioè lontano da piazza Quattro Fontane che invece indica solo dopo aver compreso che chi stava indagando lo aveva ormai appurato? E ancora: come spiega i suoi ripetuti e chiari tentativi di condizionare le deposizioni della convivente e della figliastra, come si evince dalle intercettazioni? E perché sembra mentire sul fatto che quella sera fosse in possesso di una seconda scheda telefonica? Perché non usa il suo telefonino? E perché racconta di aver chiesto spiccioli (per telefonare) al bar Roxy quando i titolari lo smentiscono? Contro di lui solo indizi. Però troppi punti restano al buio. Lui, per esempio, di sicuro sapeva che Ciccio e Tore avevano l’abitudine di andarsene a giocare in piazza Quattro Fontane: non è strano che non lo riferisca nè subito nè più tardi agli inquirenti? E poi, quelle due ore tra la scomparsa dei figli e la denuncia al commissariato: perché si contraddice tante volte su quel che ha fatto in quel lasso di tempo? Prima racconta di averli cercati da solo, poi con la convivente, poi per un po’ da solo e per un po’ con la convivente. È generico, perdipiù la credibilità dei tempi dei suoi giri per il paese è a dir poco discutibile. Ciò, senza contare le frasi inquietanti con cui al telefono accenna alla sorte dei fratellini. Solo un tragico equivoco? Può darsi. Però, prove a parte, resta un brivido addosso. Che non trova quiete.
Il mattino 7 marzo 2008

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