Si allarga ad altre persone l’inchiesta di mobbing ai dipendenti
MASSIMO NUMA
TORINOUn week-end all’insegna del relax. Giuliano Soria, accompagnato da uno dei suoi fedelissimi, avrebbe trascorso il fine settimana, pare, nel Verbano Cusio Ossola. Una corsa in autostrada, uscita Gravellona Toce, e poi la meta, un albergo di lusso, a 30 chilometri dal confine svizzero. Intanto, l’indagine del pm Valerio Longi e della polizia tributaria della Guardia di finanza procede serrata. Soria è poi ritornato lunedì nel bunker di via Montebello 21. Riceverebbe solo alcuni amici, in un’ala dei suoi appartamenti privati.
Da una parte gli interrogatori, dall’altra l’esame delle carte. In tempi brevi saranno convocati, oltre agli ultimi collaboratori o ex, anche gli amministratori pubblici che hanno erogato, in questi anni, ingenti finanziamenti al Premio o che erano presenti alle manifestazioni culturali. Uno dei dirigenti più vicini al professore avrebbe chiarito alcuni punti controversi; in particolare in merito alla presenza, a fianco di personaggi invitati o premiati, comunque con un ruolo preciso, anche altri soggetti: conviventi, suocere, bimbi piccoli, giornalisti, per esempio. Che hanno soggiornato in alberghi, consumato pranzi e cene, viaggiato in aereo o con altri mezzi, tutti pagati dal Grinzane. Uno dei responsabili dell’organizzazione si faceva accompagnare dall’attuale convivente. Su questo ed altri aspetti non secondari ci sarebbero già le prime ammissioni. I pm hanno richiamato i testi, ricordando loro di dire la verità, per non correre il rischio di trasformarsi a loro volta in imputati.
C’è un aspetto, forse decisivo, per mettere a fuoco il reato di malversazione: ricostruire ogni passaggio di un evento particolare, la «Vendemmia Letteraria», la cui organizzazione era personalmente curata in ogni dettaglio, dalle cartoline per gli inviti ai Vip, al catering e alle hostess, dai fratelli Soria, Giuliano e Angelo, alto dirigente della Regione. Alcune edizioni si tennero nella cascina dei Rosso a Diano d’Alba, le ultime dai Ceretto. Ombretta Bonomi, dell’Agenzia Uno, ne curava l’immagine: «Le fatture le pagava il Premio Grinzane, su questo non c’è dubbio. Non ci siamo mai curati di sapere di che tipo di evento si trattasse, se fosse una festa privata o no». Ma tutti i conti sono stati onorati? «No comment».
La parola, adesso, a Marina Ramasso, chef dell’Osteria del Paluch, strada Superga 44: «Sì, sono orgogliosa di aver partecipato per cinque edizioni alla “Vendemmia Letteraria”...Tutte le fatture erano intestate al Premio Grinzane Cavour. Prima eravamo a Diano, poi da Ceretto. L’ultima fattura, di 11 mila euro, è ancora in sofferenza ma non importa. Io ero e sono felice di poter promuovere, a questi livelli, i nostri prodotti. L’idea di coniugare cibo e cultura, per me, era splendida».
Nel mare degli elementi oggetto dell’indagine emergono particolari sempre nuovi: ogni anno Soria trascorreva periodi di cura nel celebre istituto Méssegué. Gli inquirenti vogliono accertare se i conti erano pagati da Soria o dall’amministrazione del Premio.
Altre denunce penali stanno per piovere contro il presidente e due suoi collaboratori, Stefano Bellu, direttore del Premio, e Davide Agnello, il suo factotum. Questa volta per il reato di mobbing. Ieri gli ispettori dell’Ufficio del lavoro hanno sentito per sei ore alcuni testi-chiave dell’inchiesta della procura. Sono stati minuziosamente ricostruiti i rapporti di lavoro tra il Grinzane e gli impiegati, spesso assunti con contratti a termine. Tra le persone che dovranno testimoniare sulle condizioni di lavoro di una decina di uomini e donne, anche i politici che partecipavano assiduamente ai banchetti e ai viaggi organizzati da Soria. Emergono particolari sconcertanti, se veri: la «pagella» mensile per i recalcitranti. In caso di voti negativi, multe in denaro e demansionamenti. Poi le «disposizioni di servizio».
Una serie di ordini molto severi e perentori su ferie, permessi, amicizie, rapporti con parenti, gestione del sito web, i riposi dopo i voli intercontinentali (Frammenti di verbale: «...Dissi a Soria che mia madre, in Veneto, si era gravemente ferita. Gli chiesi di lasciarmi andare. Mi rispose “Non è colpa mia se sua madre s’è rotta la schiena”. Niente permesso»).
La Stampa 26 febbraio 2009
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