domenica 27 gennaio 2008

Erba, il circo dell'odio

27/1/2008 (8:7) - LA STRAGE

I coniugi Romano hanno confessato di essere gli autori della strage. Mesi dopo hanno ritrattato

Martedì comincia il processo a Rosa e Olindo, gli assassini della porta accanto
ANTONIO SCURATI
Lo straniero ci fa paura, ci terrorizza perfino, talora ci seduce, ma il vicino sembra sia oramai l’unico che siamo veramente capaci di odiare. Da queste parti, mentre la vita si fa stretta, l’odio ha la gittata corta. Martedì a Como si aprirà il processo per l’omicidio di Raffaella Castagna, 31 anni, una laurea in psicologia, un figlio piccolo e un matrimonio sbagliato, di Paola Galli, madre di Raffaella, Dama di San Vincenzo e nonna affettuosa, di Valeria Cherubini, vicina di casa solidale e premurosa, entrambe in visita alla casa sbagliata nel momento sbagliato, e del piccolo Yousseff, soltanto due anni e soltanto la sventura di essere venuto al mondo nel mondo sbagliato. Quello di Como sarà il processo per fare giustizia su uno dei delitti più atroci degli ultimi anni, il massacro dei proprio vicini di casa compiuto da Rosa Bazzi e da Olindo Romano, che tutti abbiamo imparato a conoscere con il nome sinistramente bucolico di «strage di Erba». Il processo si celebrerà in una piccola aula di tribunale - solo sessanta i posti riservati al pubblico, assegnati in base a numeri distribuiti per regolare l'ingresso - ma si celebrerà soprattutto sui mass media di ogni genere e sorta. Sono, infatti, più di cento le testate giornalistiche accreditate, alcune perfino straniere. Nessun mezzo, sia nel senso di veicolo informativo sia nel senso di espediente, sarà risparmiato dalla fascinazione per l'evento. Basti pensare che dei truffatori col fiuto dei tempi hanno messo in vendita su Internet, al costo di 85 euro, dei falsi biglietti d'ingresso in aula. Violenza devastante Abbiamo scritto che il processo «si celebrerà» ma, forse, si è già celebrato. L'opinione pubblica ha già guardato a fondo nell'abisso di orrore spalancatosi nella tranquilla cittadina pedemontana, è già inorridita, ha già pronunciato la sua sentenza: fine pena mai. Come sempre, l'attenzione sarà smodata, il circo mediatico eccessivo, ma inutile negare che il caso, sebbene sia un caso risolto, presenta molti elementi di grande interesse, tanto da farne uno di quegli specchi aberranti in cui il Paese riflette il proprio volto guardandosi nelle sue deformazioni. C’è l’efferatezza inaudita di quattro innocenti sgozzati a coltellate - e l'efferatezza ipnotizza gli uomini miti come la fiamma attrae l'ala fin troppo combustibile della falena notturna. C’è lo sbocco di violenza devastante e imprevedibile di due esistenze fino ad allora esemplari di una normalità feroce perché prigioniera della propria grettezza - e la banalità del male suggestiona gli uomini miti perché ricorda loro come il destino apparentemente invariabile sia in verità la posta di un getto di dadi, di una mano del caso. C'è la stupefacente testimonianza cristiana di Carlo Castagna, il padre di Raffaella e nonno del piccolo Yousseff, che ha trovato nella sua fede la forza per perdonare, a cadaveri ancora caldi, gli assassini delle persone amate - e la vera fede abbaglia gli uomini miti di questo nostro Paese che, avendo smarrito ogni altra fede, si riscopre all'improvviso Cristiano come lo sbadato che, battendosi la fronte con la mano, si ricordi di aver lasciato i guanti sul banco del barbiere. Inoltre, a rinfocolare l’interesse, sulla strage di Erba soffia il fiato acido dell’odio tra stranieri, che portò nei primi giorni a sospettare assurdamente Azouz Marzouk, il padre e marito tunisino delle vittime, sebbene si trovasse all'estero - e l'alito marcio dell’odio tra stranieri riguarda molti degli uomini miti che vivono nell’Italia di inizio millennio perché se lo sentono sul collo ma, soprattutto, quel fiato maleodorante se lo sentono salire in gola sempre più spesso; ci soffia, infine, sulla strage di Erba, il fiato ancora più pestilenziale dell’odio tra vicini, la ferocia da pianerottolo, quell’assenza di autentici motivi per vivere e per morire che sempre più spesso ci spinge a uccidere senza moventi, per un lieve ma persistente fastidio, per un sacchetto della spazzatura ancora una volta chiuso male, per un tamponamento al semaforo dopo l’ennesima coda nell'ennesimo ingorgo in calce all’ennesima sciocca giornata di lavoro, ci soffia l'alito mefitico della rabbia verso gli uomini e le donne della porta accanto, verso i parenti, i congiunti, le ex fidanzate, i compagni di banco e di partito, i colleghi d'ufficio e di mestiere, l'odio verso il prossimo tuo, quell'onda omicida che sempre più spesso monta in noi verso i personaggi della nostra vita quotidiana da quando, tramontata all'orizzonte la Storia, smarrita la memoria del passato e l'aspettativa del futuro, l'unica vita che ci rimane è proprio la vita quotidiana. Si fa un gran parlare delle deliziose ristrettezze della vita quotidiana, una retorica oggi smodatamente di moda si ostina a magnificarcene le virtù, a presentarcela come la patria di ogni valore, la dimora di ogni affetto, la nicchia di ogni conforto, e già questa parola, perdendo la sua ultima vocale, perde anche ogni risonanza metafisica, ogni vibrazione profondamente umana: ora si scrive comfort e significa niente più che un tinello pulito, un divano in finta alcantara e un televisore acceso. L’orrore del quotidiano Da tutte le parti, eserciti di propagandisti del dio (si scrive minuscolo) delle piccole cose - pubblicitari, politici e imbonitori televisivi in testa - ci vogliono convincere che la vita quotidiana è una vita meravigliosa, che basta saperla prendere per il verso giusto e ci ritroveremo contenti di dedicarci per 60 anni a lustrare i ninnoli sul comodino, a spettegolare del vicino, ad aspettare le prossime elezioni, il prossimo derby, i prossimi saldi di fine stagione per fare ancora una volta la parte del cretino. Ci vogliamo persuadere che non c'è nessuna necessità di guardare oltre, di uscire dal cono d'ombra in cui la vita quotidiana inghiotte le cose vicine, che in fondo va bene così, comunque vada, che bastano le nostre cazzatine di tutti i giorni a riempire la vita. Poi un giorno l'anonimo spazzino e la sua gentile consorte maniaca dell’ordine ti sgozzano i vicini perché tenevano troppo alto il volume del loro televisore e allora ti ricordi che la vita quotidiana è la tomba di ogni passione ma sa essere anche la culla della passione omicida. Scopri che esiste una maledizione della vita quotidiana. La maledizione di non avere che quella.
La Stampa 27 gennaio 2008

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