Cristina.bassi Martedì 8 Gennaio 2008 alle 15:39
Molte analogie: una città universitaria, il giro degli studenti stranieri che frequentano un ateneo italiano, soprattutto il giallo di un giovane ucciso a coltellate e di un assassino ancora da trovare. Alcune differenze: un’arma del delitto certa, nessun nome sul registro degli indagati, niente che faccia pensare al sesso. Ma il caso della morte di Stefano Gonella, 26 anni, ucciso nel suo appartamento di Bologna il 24 settembre 2006, non ha avuto neppure una parte dell’attenzione attirata da quello di Meredith Kercher a Perugia. Anche se rimane un mistero da oltre un anno.
Da Piario, in provincia di Bergamo, Stefano si era trasferito a Bologna dal 2003, con un diploma di perito turistico, una passione per percussioni tribali e arte africana, e il sogno di viaggiare. Era stato assunto come portiere di notte in un hotel. Viveva al quarto piano di un palazzo della prima periferia, in un appartamento che condivideva con alcuni studenti. Progettava però di raggiungere in Inghilterra la sua fidanzata Verity, conosciuta quando lei studiava in Italia.
Il 23 settembre 2006 è un sabato. Stefano passa la serata con gli amici in giro per locali. Con una delle persone incontrate è probabile che rientri a casa a tarda notte. Un ragazzo spagnolo di 24 anni, che abita con lui da qualche giorno e che dorme nella stanza accanto, dice di aver sentito i due litigare e di essersi svegliato. Sono da poco passate le 7 di domenica mattina. Lo studente straniero vede un giovane alto e magro, coi capelli lunghi e scuri, uscire dalla camera di Stefano: si affaccia e scopre il corpo steso ai piedi del letto. C’è molto sangue. L’autopsia dirà che il ragazzo è stato accoltellato alla schiena e, mortalmente, alla gola.
È proprio il coinquilino spagnolo a dare l’allarme. E lui sarà uno dei testimoni chiave, grazie alla sua ricostruzione la polizia ha anche elaborato un identikit dell’assassino (qui sotto) che però non è stato abbinato a un nome. Le indagini cercano una direzione attraverso le testimonianze. Oltre a quella del ragazzo spagnolo, quelle di alcuni vicini e quella della fidanzata, degli amici e dei parenti di Stefano.
Quando viene scoperto il suo corpo senza vita ha addosso le chiavi e il telefonino, ma non il portafogli. La polizia recupera da un cassonetto vicino a casa della vittima una borsa, rubata e poi gettata via dall’assassino. E si concentra sulle ultime ore di Stefano, sulle persone che ha visto quella notte, in cui ha di certo bevuto qualcosa, ma non ha usato droghe, come hanno rivelato gli esami tossicologici. “La difficoltà più grande sta nel fatto che la vittima aveva una cerchia di frequentazioni larghissima, i possibili responsabili sono molti”, spiega Lorenzo Bucossi, vicedirigente della Squadra mobile di Bologna, alle prese con l’unico omicidio insoluto in città negli ultimi cinque anni.
L’arma che ha ucciso il 26enne è il coltello da cucina ripulito, trovato sul lavandino nell’appartamento del delitto. Le tracce biologiche sembravano dover dare una svolta: sangue, capelli e non solo. “I reperti trovati sotto le unghie della vittima non sono purtroppo utili”, ammette Bucossi. “Non sappiamo ancora se l’assassino ha lasciato il proprio Dna. Nella camera dell’omicidio ce ne sono tracce di varie persone, molti sono di frequentatori abituali della casa, altri no. Ma non è detto che in mezzo ci sia quello del colpevole”. Sarà utile per confrontarlo con quello di eventuali sospetti, ma finora non ha permesso di scoprire l’identità dell’assassino. La polizia, che ha in mano anche un dettagliato profilo criminale elaborato dall’Uacv (unità analisi crimine violento) tenuto finora segreto, non esclude nemmeno che quella sera nella stanza ci fosse una donna, nei panni del killer o di un complice/testimone. Così, a distanza di 15 mesi, il fascicolo aperto dalla Procura è ancora contro ignoti.
Stefano aveva parlato con i genitori la sera prima di morire, aveva telefonato a casa per il compleanno della madre. Una famiglia semplice la sua - con il padre, un piccolo imprenditore edile, e altri tre figli di 29, 20 e 13 anni - che ha sempre preferito affrontare in silenzio e privatamente la tragedia. Il fratello Gabriele è l’unico che, poco dopo l’omicidio, si è sfogato: “Chi conosceva bene Stefano non può nemmeno immaginare perché lo abbiano ucciso. Era un ragazzo tranquillo, che evitava risse e litigi. Aveva appena avuto anche una promozione al lavoro. L’unica cosa che desidero è che il responsabile della morte di mio fratello possa pagarla cara”.Stefano sapeva bene cosa voleva. I progetti, i viaggi, le cose da imparare, la musica: aveva scritto tutto nel suo blog, in inglese e pieno di fotografie sue e dei suoi amici più cari. Ma il perché della sua morte resta un mistero e forse è proprio la chiave del giallo. “Chi ha ucciso Stefano Gonella lo conosceva”, ha detto il procuratore aggiunto di Bologna Silverio Piro, titolare dell’inchiesta insieme al pm Maria Gabriella Tavano, “e aveva un motivo chiaro per farlo”. Chiaro solo per l’assassino o anche per chi indaga?
Molte analogie: una città universitaria, il giro degli studenti stranieri che frequentano un ateneo italiano, soprattutto il giallo di un giovane ucciso a coltellate e di un assassino ancora da trovare. Alcune differenze: un’arma del delitto certa, nessun nome sul registro degli indagati, niente che faccia pensare al sesso. Ma il caso della morte di Stefano Gonella, 26 anni, ucciso nel suo appartamento di Bologna il 24 settembre 2006, non ha avuto neppure una parte dell’attenzione attirata da quello di Meredith Kercher a Perugia. Anche se rimane un mistero da oltre un anno.
Da Piario, in provincia di Bergamo, Stefano si era trasferito a Bologna dal 2003, con un diploma di perito turistico, una passione per percussioni tribali e arte africana, e il sogno di viaggiare. Era stato assunto come portiere di notte in un hotel. Viveva al quarto piano di un palazzo della prima periferia, in un appartamento che condivideva con alcuni studenti. Progettava però di raggiungere in Inghilterra la sua fidanzata Verity, conosciuta quando lei studiava in Italia.
Il 23 settembre 2006 è un sabato. Stefano passa la serata con gli amici in giro per locali. Con una delle persone incontrate è probabile che rientri a casa a tarda notte. Un ragazzo spagnolo di 24 anni, che abita con lui da qualche giorno e che dorme nella stanza accanto, dice di aver sentito i due litigare e di essersi svegliato. Sono da poco passate le 7 di domenica mattina. Lo studente straniero vede un giovane alto e magro, coi capelli lunghi e scuri, uscire dalla camera di Stefano: si affaccia e scopre il corpo steso ai piedi del letto. C’è molto sangue. L’autopsia dirà che il ragazzo è stato accoltellato alla schiena e, mortalmente, alla gola.
È proprio il coinquilino spagnolo a dare l’allarme. E lui sarà uno dei testimoni chiave, grazie alla sua ricostruzione la polizia ha anche elaborato un identikit dell’assassino (qui sotto) che però non è stato abbinato a un nome. Le indagini cercano una direzione attraverso le testimonianze. Oltre a quella del ragazzo spagnolo, quelle di alcuni vicini e quella della fidanzata, degli amici e dei parenti di Stefano.
Quando viene scoperto il suo corpo senza vita ha addosso le chiavi e il telefonino, ma non il portafogli. La polizia recupera da un cassonetto vicino a casa della vittima una borsa, rubata e poi gettata via dall’assassino. E si concentra sulle ultime ore di Stefano, sulle persone che ha visto quella notte, in cui ha di certo bevuto qualcosa, ma non ha usato droghe, come hanno rivelato gli esami tossicologici. “La difficoltà più grande sta nel fatto che la vittima aveva una cerchia di frequentazioni larghissima, i possibili responsabili sono molti”, spiega Lorenzo Bucossi, vicedirigente della Squadra mobile di Bologna, alle prese con l’unico omicidio insoluto in città negli ultimi cinque anni.
L’arma che ha ucciso il 26enne è il coltello da cucina ripulito, trovato sul lavandino nell’appartamento del delitto. Le tracce biologiche sembravano dover dare una svolta: sangue, capelli e non solo. “I reperti trovati sotto le unghie della vittima non sono purtroppo utili”, ammette Bucossi. “Non sappiamo ancora se l’assassino ha lasciato il proprio Dna. Nella camera dell’omicidio ce ne sono tracce di varie persone, molti sono di frequentatori abituali della casa, altri no. Ma non è detto che in mezzo ci sia quello del colpevole”. Sarà utile per confrontarlo con quello di eventuali sospetti, ma finora non ha permesso di scoprire l’identità dell’assassino. La polizia, che ha in mano anche un dettagliato profilo criminale elaborato dall’Uacv (unità analisi crimine violento) tenuto finora segreto, non esclude nemmeno che quella sera nella stanza ci fosse una donna, nei panni del killer o di un complice/testimone. Così, a distanza di 15 mesi, il fascicolo aperto dalla Procura è ancora contro ignoti.
Stefano aveva parlato con i genitori la sera prima di morire, aveva telefonato a casa per il compleanno della madre. Una famiglia semplice la sua - con il padre, un piccolo imprenditore edile, e altri tre figli di 29, 20 e 13 anni - che ha sempre preferito affrontare in silenzio e privatamente la tragedia. Il fratello Gabriele è l’unico che, poco dopo l’omicidio, si è sfogato: “Chi conosceva bene Stefano non può nemmeno immaginare perché lo abbiano ucciso. Era un ragazzo tranquillo, che evitava risse e litigi. Aveva appena avuto anche una promozione al lavoro. L’unica cosa che desidero è che il responsabile della morte di mio fratello possa pagarla cara”.Stefano sapeva bene cosa voleva. I progetti, i viaggi, le cose da imparare, la musica: aveva scritto tutto nel suo blog, in inglese e pieno di fotografie sue e dei suoi amici più cari. Ma il perché della sua morte resta un mistero e forse è proprio la chiave del giallo. “Chi ha ucciso Stefano Gonella lo conosceva”, ha detto il procuratore aggiunto di Bologna Silverio Piro, titolare dell’inchiesta insieme al pm Maria Gabriella Tavano, “e aveva un motivo chiaro per farlo”. Chiaro solo per l’assassino o anche per chi indaga?
Fonte: Panorama
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