venerdì 7 dicembre 2007

Erba: la storia Azouz, Rosa e Olindo

È passato quasi un anno e tutto ci appare in modo completamente diverso, o comunque non “distorto”, da come giornali e tv ostentavano in quei giorni. Era subito caccia al convivente tunisino di Raffaella Castagna, 30anni, e padre del piccolo Youssef di soli 2 anni: addirittura si ipotizzava la fuga dell’uomo a bordo di un furgone poco prima di mezzanotte, nei pressi di Merone, paesino tra Como e Lecco.
Ma oggi si può affermare con ogni certezza che non c’è mai stato un furgone con cui fuggire, un paesino dal quale allontanarsi in fretta. Oggi si può affermare senza dubbio che non c’è mai stato nemmeno un uomo, dietro questo orrore. Azouz Marzouk, 27enne tunisino e con precedenti per spaccio e traffico di stupefacenti uscito dal carcere per mezzo dell’indulto, non era in Italia quel giorno, ma a Tunisi. Poco dopo l’annuncio della strage, è il padre di Raffaella a confermare l’impossibilità del genero di aver commesso un gesto tale, anche perché fuori dal Paese.
Il ribrezzo e il raccapriccio arrivano con la confessione dei vicini di casa: i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, avevano pianificato tutto, “premeditato”. È agghiacciante il loro racconto, incomprensibile il loro minuzioso lavoro di programmazione, superficiale e squallido il loro movente. Come altrettanto orribile è il loro atteggiamento e comportamento prima e dopo la vicenda: si erano divisi i “compiti”, quasi come a voler significare una sorta di ritorsione, di castigo che ognuno dei due riservava verso uno specifico componente di quella famiglia, la cui unica e malaugurante “colpa” era rappresentata da toni di voce forse troppo alti per le “loro sensibili orecchie” nelle occasioni di confronto e perché no, anche di discussioni o litigi; per non parlare poi del piccolino: un bimbo che a soli due anni, proprio quando un piccino ha la voglia, il desiderio, l’entusiasmo, il fervore e soprattutto la meraviglia la manifesta giocando, magari correndo quà e là in giro per la Sua casa, con il Suo triciclo, e con la Sua Voce, proprio come può essere l’esuberante suono della voce di un bambino di due anni.
Davanti ai magistrati i due cominciano a raccontare il loro “piano”: «Avevamo la chiave del portoncino dei Castagna. Abbiamo raggiunto il posto in silenzio, approfittando del fatto che il marito di Raffaella era all'estero. Era meglio presentarsi davanti alla loro porta in questa maniera, perché se citofonavamo non ci avrebbero aperti. Io avevo con me un coltello (probabilmente un taglia patate), Olindo un coltello e un martello. Indossavamo i guanti per non lasciare impronte e ai piedi delle pantofole di stoffa e vestiti vecchi. Roba che non ci serviva più e che potevamo buttare via. Siamo saliti fino al primo piano, poi abbiamo suonato al campanello». Ad aprire la porta è Raffaella, convinta che a suonare fosse l'amica del secondo piano Valeria Cherubini.
Gli autori di questo “film horror” seguivano i movimenti della famiglia da giorni. Olindo la colpisce al volto con il martelletto, poi la moglie affonda il coltello per dodici volte nel corpo della giovane. Alla fine un fendente alla gola. Paola Galli, la mamma di Raffaella, ha sentito i rumori e corre nella stanza. Anche lei finisce sotto le lame dei due coniugi assassini. Sulla scena dell’efferato delitto arriva anche la Cherubini e il marito Mario Refrigerio, attirati dalle urla. I due corrono al piano inferiore. Anche Valeria cade sotto i colpi di Olindo e Rosa. Le tagliano la gola. Poi tocca a Mario. Ma stavolta la lama del netturbino finisce contro un osso del collo della vittima. I due assassini credono di averlo ammazzato. Invece Frigerio è gravemente ferito: dopo due settimane di coma, riuscirà a fornire una sorta d'identikit che aiuterà non poco gli investigatori.
Nel piano della Bazzi e del Romano c'è l'idea di far sparire i corpi bruciandoli. Ma qualcosa di terrificante, come se non bastasse per completare il loro “tripudio”, sta per accadere. La donna prende per i capelli Youssef, lo solleva e gli recide la gola. Poi trascinano i corpi straziati dalle coltellate, uno sopra l'altro. Prendono giornali, carta, materassi e con un accendino danno fuoco a tutto. Ora è tempo di cercarsi un alibi e nascondere le armi, fare sparire ogni indizio che porterebbe a loro. Buttano i vestiti inzuppati di sangue, le scarpe e i guanti. I coltelli e il martello finiscono in una busta, di quelle usate per la spesa, che poi in un secondo tempo verrà abbandonata dentro un cassonetto della nettezza urbana.
Escono dal retro e salgono sulla macchina che avevano nascosto fuori dal cortile, per non fare capire che si trovavano in casa. Raggiungono Como e vanno a cenare in un McDonald's. Infine mettono in tasca lo scontrino per utilizzarlo come prova della loro assenza al momento del crimine. Tornano a casa, in via Diaz, proprio mentre ci sono vigili del fuoco e carabinieri. Proprio mentre viene scoperto il pluriomicidio, il massacro. Sono i primi a sembrare dispiaciuti, indignati per quello che i “poveretti” hanno subito.
Vicenda che ancora oggi, al solo pensiero, sembra solo un brutto sogno, un incubo, soprattutto se si considera che quella carneficina era servita solo per “ritrovare un po’ di silenzio e riposare meglio”. Ridicolo, assurdo, insensato, meschino. Non esisterebbero aggettivi migliore per delineare questi inutili “effetti”. Torniamo al 1 dicembre 2007: non è passato nemmeno il primo anniversario della morte dei loro familiari che Azouz, ufficialmente e formalmente distrutto e demolito da qualcosa che inevitabilmente avrebbe potuto segnare e cambiare tutta la sua vita, viene arrestato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale e spaccio di sostanze stupefacenti.
Sembra proprio che il giovane non abbia mai interrotto il suo giro. Anzi forse solo una volta. Per non dare nell’occhio. Nell’occhio di tutti coloro che stavano lì a guardarlo, intervistarlo o magari a fargli forza. In occasione del massacro Azouz ha bloccato tutto, avrebbe rischiato troppo. Ma in carcere ci è tornato comunque. E forse, “forse”, non potrà più nemmeno “continuare il suo sogno”: stare in tv, fare l’attore, il modello magari… e poi aprirsi pure un bel disco pub. Alla faccia della morale.
Angela Fiore

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