Respinto ricorso contro sua sospensione
Dopo essersi vista respingere il ricorso contro la sospensione dall'insegnamento, Anna Ciriani, la 39enne di Pordenone nota come "pornoprof" o "Madameweb", si difende. "Non sono una pornostar - ha detto - , non ho un doppio lavoro e non faccio spettacoli hard. Lo faccio per divertimento e non per clamore e notorietà. Il mio unico lavoro è quello di fare l'insegnante, che ho sempre fatto con molta professionalità, rispetto e preparazione".
La professoressa nell'occhio del ciclone per alcuni suoi video hard finiti su internet, ha rivelato anche di aver rifiutato offerte molto alettanti da Fox Tv e BBC. "Non ho mai portato il sesso a scuola e mai lo farò nella mia vita. Non ho mai fatto avance ad alunni, colleghi o a qualsiasi persona lavori nella scuola. In 14 anni di insegnamento non ho mai ricevuto nessun richiamo né scritto, né verbale da parte di alcuna autorità scolastica su ciò che riguarda il mio lavoro o il mio comportamento scolastico. E per quel che riguarda la mia vita privata, le mie priorità assolute sono la famiglia e il lavoro'', ha ribadito.
La docente non rinnega nulla di quello che ha fatto in questi anni e che, suo malgrado, l'ha portata alla notorieta' internazionale. ''Ho condiviso, di comune accordo con mio marito, alcune, e sottolineo alcune, esperienze lecite, che sono sempre rimaste al di fuori della sfera professionale. Non ho mai inserito o pubblicato niente in internet, anche perché non ho la competenza informatica per farlo, né tanto meno ho mai dato il consenso perché altri lo facessero. Volevo che tutto ciò rimanesse nella mia sfera privata. Quanto successo a Berlino (un suo filmato hard girato alla Fiera dell'eros è stato diffuso sul web) ha avuto dimensioni planetarie ed è stato difficile controllarlo e arginarlo. Tutto è dipeso dai giornali. Mi hanno scritto Indipendent, Herald, El Pais, Figaro, ma ho rifiutato qualsiasi intervista. Alcune persone pensano che ciò che ho fatto sia immorale, vergognoso e dissoluto; altre pensano il contrario. Io rispetto tutti''.
Madameweb vuole fare chiarezza su tutto. ''Se avessi voluto mettermi in mostra e guadagnare cifre esorbitanti avrei potuto accettare le numerose offerte dei media internazionali, ed altre proposte di ogni tipo, che ho sempre rifiutato finora perché a me interessava, e interessa, solamente insegnare e fare bene il mio lavoro''.
L'insegnante precisa di non essere stata licenziata. ''Ho avuto una sospensione cautelare e questo procedimento disciplinare non dura in eterno. Per ora mi corrispondono il 50% dello stipendio, anche se non ho visto ancora nulla. Sinceramente, non capisco come mai sia riuscita a muovere queste folle. Non mi aspettavo nemmeno io questo successo mondiale. Sono d'accordo con mio marito che stiamo vivendo un'ingiustizia: la Franzoni cresce due figli, Scattone va regolarmente ad insegnare, mentre io pago con l'allontanamento da scuola le mie trasgressioni sessuali nella vita privata''.
domenica 30 dicembre 2007
venerdì 28 dicembre 2007
Sei gay? Vieni da noi, ti curiamo
Diario di sei mesi in terapia...
«La strada verso la mia presunta salvezza comincia con un incontro per definire tempi e modi del mio ingresso in un gruppo terapeutico per guarire dall'omosessualità»
Il racconto di un cronista che si è infiltrato per mesi un corso organizzato da un gruppo ultra cattolico
Davide Varì
Mi forzo, e da ateo convinto prego con lui. Finito il momento di raccoglimento Don Giacomo, con la stessa delicatezza, mi invita a continuare il mio racconto. «La tua relazione con Luca - mi dice - è stata passiva o solo attiva?». Don Giacomo vuol sapere se ho «subito» oppure no una penetrazione. Deve essere solo quello il discrimine fondamentale per capire se davanti a sé c'è un vero omosessuale. «Attivo e passivo», dico di botto. «E mi è anche piaciuto», rispondo quasi in senso di sfida, di fronte a quella domanda così volgare. Volgare non per la cosa in sé, quanto, piuttosto perchè per la prima volta inizio a intravedere, o almeno così mi sembra, i veri pensieri di quel prete così giovane e cordiale. Uno squarcio che smaschera il giudizio che ha di me, anzi, di "quelli come me".Don Giacomo annuisce in modo austero e poi mi chiede di parlargli degli altri rapporti. A quel punto tiro fuori una relazione fugace con un altro ragazzo "consumata" dopo il matrimonio. Don Giacomo mi invita a raccontare le sensazioni che avevo provato. Io mi invento un «senso di sporcizia morale» che vivo e mi porto dentro tuttora. Il giovane prete è silenzioso. Mi benedice e mi tranquillizza. «La tua omosessualità - dice - è molto superficiale. Io credo che tu sia pronto per iniziare il percorso di guarigione».A quel punto sono io che faccio qualche domanda e chiedo lumi su quello che lui chiama "percorso". Don Giacomo, grosso modo, mi spiega che quasi tutti gli omosessuali hanno subito un trauma o qualcosa del genere che ha interrotto la "naturale" costruzione della vera identità sessuale. «Per questo - dice - servono terapie riparative. Per riprendere in mano quel vissuto, trovare la frattura e ridefinire la propria identità di genere. Tu sei in uno stato di confusione sessuale, devi farti aiutare per ridefinire la tua sessualità in modo corretto». Perfetto, sono pronto per iniziare il "percorso". Don Giacomo prende un pezzo di carta e scrive telefono e indirizzo del Professor Tonino Cantelmi, «chiamalo tra una settimana, digli che ti mando io, lui saprà già tutto». Mi benedice e mi congeda.***Il primo incontro con il professor Cantelmi Lo studio del professor Tonino Cantelmi - Presidente dell'Istituto di Terapia Cognitivo interpersonale, c'è scritto nella targhetta - è un porto di mare nel quale transitano e approdano le preoccupazioni e le angosce di varia umanità: ragazzini, adolescenti, mamme, nonne. C'è di tutto in quello studio. Io mi accomodo e attendo di essere chiamato. Lui, il professore, ogni tanto esce e saluta il paziente di turno. Con tutti ha un rapporto molto confidenziale, tutti lo chiamano Tonino. Finalmente arriva il mio momento. Raccolgo le idee per evitare di contraddirmi rispetto alla storia che ho raccontato a Don Giacomo qualche settimana prima. Ripasso lo schema, i nomi inventati dei miei falsi amanti e mi infilo nello studio del Professore. Lui mi squadra, mi sorride e mi fa accomodare. «Sono Davide, gli dico, mi manda Don Giacomo». Lui annuisce - «con quel nome mi ha inserito nella categoria omosessuale pentito», penso tra me - e mi invita a raccontare la mia storia. A quel punto riparto con la vicenda del Liceo, della mia relazione col mio compagno di banco e dei timori rispetto al mio matrimonio dopo un'altra relazione avuta con un ragazzo un paio d'anni fa.«Che tipo di rapporti hai avuto?», mi chiede Cantelmi. Io faccio finta di non capire. «Voglio dire - continua il Professore - hai avuto rapporti completi?».Annuisco, ma aspetto che il professore esca dalla sua tana e mi ponga la domanda, la domanda con la D maiuscola, in modo diretto. E lui non mi delude: «Insomma Davide - mi dice schietto - sei stato anche passivo nei tuoi rapporti?». Ci risiamo, penso tra me. «Sì», rispondo. Decido di fare la parte del laconico. Da un lato perchè ho paura di contraddirmi, dall'altro perchè voglio vedere le abilità del professore in azione. Son curioso di capire in che modo si muove. Come lavora. Ma lui mi sorprende e dopo quell'unica risposta, pronto a sbarazzarsi di me, prende carta e penna e scrive il nome di una collega: «Lei è la dottoressa Cacace - mi dice mentre mi porge il bigliettino - è una mia assistente, contattala a mio nome. Lei saprà già tutto». Mi sembra di rivedere un film già visto. Comunque io non voglio perdere l'occasione di ritrovarmi di fronte al "guru" italiano dei guaritori di gay e allora rilancio prima che lui mi liquidi. «Senta dottore - gli dico con il massimo di gentilezza - io vorrei capire di preciso cosa mi aspetta». «Nulla di particolare - fa lui - la dottoressa ti farà un test..»«Un test?», faccio eco io«Sì, un test»«Un test per misurare il mio grado di omosessualità?», incalzo.«Beh! In un certo senso sì», fa lui.«Scusi - gli chiedo - ma cos'è di preciso l'omosessualità?»A quel punto Cantelmi si accomoda, allunga le braccia sul tavolo e comincia: «Io - esordisce - parlerei della tua omosessualità, non di omosessualità in genere. Diciamo che noi siamo un gruppo di psicologi che cercano di aiutare persone in difficoltà. La nostra è una terapia riparativa»***La terapia riparativa: l'omosessualità come il comunismo Si sentiva parlare da tempo di questi taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa, e che segue l'insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi, presidente della Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality. Uno psicologo clinico, questo Joseph Nicolosi, un "santone" che vanta ben 500 casi di «gay trattati» e curati - proprio così, «gay trattati» - e che ha tirato fuori dal cilindro della propria stregoneria psichiatrica la cosiddetta "terapia riparativa" il cui scopo dichiarato è quello di «ricondurre all'orientamento eterosessuale le persone omosessuali». Un messaggio che in Italia è stato ripreso e rilanciato dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana. Insomma, il guru italiano della terapia riparativa, una persona legata a doppio nodo al Vaticano e intorno al quale è nato un gruppo di lavoro formato da cinque, sei giovani psicologi che seguono le terapie individuali dei futuri e "riparati" eterosessuali. Questa della terapia riparativa è storia antica. Già nel 2005, la rivista Gay Pride pubblicò un lungo articolo nel quale ne metteva in dubbio ogni validità e attendibilità scientifica. Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, presentò anche un'interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini professionali, la terapia riparativa. Anche per questo uno come J.M. van den Aardweg, lo psicoterapeuta americano che ha scritto "Omosessualità & speranza", parla di lobby gay all'assalto della scientificità. Tanto per capire cosa si muove dietro questa presunta terapia riparativa, lo stesso van den Aardweg sostiene - lo ha fatto in una recente intervista per "Acquaviva2000, cultura cattolica in rete" - che molti omosessuali «presentano seri disturbi mentali, o hanno sviluppato un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non sarebbe tanto sbagliato chiamarli "malati"». Non solo, van den Aardweg è convinto che per colpa del movimento gay, «le masse non assimileranno mai completamente la concezione antinaturale che viene loro imposta. Andrà come con il comunismo. Molti, probabilmente i più, presteranno all'innaturale "religione" omosessuale un culto formale, dettatogli dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno». Questi sono gli illustri scienziati che sponsorizzano la terapia riparativa. Ancora più esplicite le parole d'ordine del già citato gruppo ultracattolico "Obiettivo Chaire": «Accompagnamento spirituale, psicologico e medico; attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di prevenire l'insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani; ricerca delle cause(spirituali, psicologiche, culturali, storiche) che contribuiscono alla diffusione di atteggiamenti contrari alla legge naturale, riconoscibile dalla ragione rettamente formata».Poi l'immancabile Joseph Nicolosi, lo psicologo-clinico americano che ha inventato la terapia riparativa. A giorni sarà in Italia per aggiornare i suoi seguaci e illustrare loro, verosimilmente, le ultime novità della sua terapia. Queste le idee di fondo: primo, alla luce delle scienze sociali la forma di famiglia ideale per favorire un sano sviluppo del bambino è il modello tradizionale di matrimonio eterosessuale; secondo, l'identità sessuale si forma in un'età precoce sulla base di " fattori biologici, psicologici e sociali"; terzo, esistono numerosi esempi di persone che sono riuscite a cambiare il loro comportamento, identità, stimoli o fantasie sessuali.A sostegno di queste tesi sono nati i movimenti "ex-gay", persone "riparate" e spesso convertite al cattolicesimo che hanno lo scopo dichiarato di dimostrare che dall'omosessualità è possibile "guarire". Il bello della faccenda è che sempre più gruppi di "ex gay" vengono sciolti per il fatto che molti associati hanno ri-trovato un partner dello stesso sesso proprio in quell'organizzazione.***La terapia riparativa di Cantelmi Cantelmi cerca di adattare su di me, sul mio caso, le ragioni di quella terapia. Parla di traumi infantili che generano confusione in un mondo già pieno di contraddizioni e di liquidità nei rapporti interpersonali. Il tutto per spiegare che in un certo senso i comportamenti della persona omosessualità sono indotti da questa schizofrenia esterna. Non solo omosessuali però. Il professor Cantelmi è infatti convinto, e me lo spiega, che la nostra epoca è caratterizzata da una grossa compulsività sessuale: una dipendenza che colpisce migliaia di persone e tra questi tanti, tantissimi giovani. Mi parla di «relazioni malate con il sesso», di «perdita di controllo» e così via.«E in tutto questo, l'omosessualità?», chiedo io.«Beh, il mio studio è pieno. Abbiamo la fila. Ci sono centinaia di ragazzi che chiedono aiuto».«Vede - dico cercando di stanarlo - io non so bene se sono omosessuale. Non capisco se sono vittima di una sorta di disagio psichico o se devo assecondare queste mie pulsioni».«Non preoccuparti Davide - mi dice sereno e sorridente - dal tuo profilo mi sembra di poter parlare di una ansia generalizzata e di una leggera nevrosi che in qualche modo condiziona e devia le tue scelte sessuali. Ora faremo il test e avremo più elementi per poter scegliere la terapia migliore».***Il Test ed i discepoli del professore e la cura La dottoressa Cristina Cacace dell'Istituto di terapia cognitivo interpersonale diretto da Cantelmi mi accoglie sorridente nel suo studio. Mi osserva, anzi mi scruta con insistenza. «Ora mi becca - penso io - scopre che sono un infiltrato e mi caccia». E invece no. Evidentemente la diagnosi del Professor Cantelmi deve avermi suggestionato. Un po' nevrotico, perseguitato, mi ci sento davvero. Fatto sta che lei mi invita con gentilezza nel suo studio targato Ikea, mi fa accomodare e mi interroga: nome, cognome, età, indirizzo, telefono e stato civile. Io rispondo senza esitare e attendo, anche qui, "la" domanda . Ma la dottoressa Cacace già sa e non c'è bisogno di alcuna premessa. Saltiamo direttamente ai particolari più intimi: quante volte, e fino a che punto. «Fino a che punto in che senso?», chiedo io. Lei sorride. Mi chiedo se lei, giovane psicologa, crede davvero alle follie e alla violenza di questa benedetta "terapia riparativa" oppure se è li, in quel piccolo studio solo perchè non trova nulla di meglio. Ma i miei pensieri vengono interrotti dalla domanda della dottoressa:«Davide, i tuoi rapporti omosessuali sono stati solo attivi o anche passivi»? Sento un forte disagio di fronte a quella domanda ricorrente, ossessiva. Mi viene in mente il lato pruriginoso e voyeuristico di chi la pone. Alla fine rispondo come ho già risposto a Don Giacomo e al professor Cantelmi: «Sì, attivo e passivo». Poi racconto anche a lei del mio rapporto conflittuale con mia madre, delle assenze di mio padre e aggiungo che ogni tanto, da piccolo,venivo scambiato per bambina. La giovane assistente di Cantelmi annuisce gravemente e mi fissa l'appuntamento per il test di personalità. «Dopo il test - mi dice prima di accompagnarmi alla porta - sapremo meglio come trattare la tua situazione».Pochi giorni dopo sono di nuovo lì e scopro che il Test dura circa quattro ore ed è nient'altro che il cosiddetto "Test Minnesota" quello che utilizzano le forze armate di mezzo mondo per selezionare il proprio personale. Seicento domande circa che dovrebbero dare risposte su eventuali deviazioni del candidato: ipocondria, depressione, isteria, deviazione psicopatica, mascolinità o femminilità, paranoia, psicastenia, schizofrenia, ipomania e introversione sociale. Un pout-pourri che, tra le altre cose, dovrebbe mettere in luce le mie tendenze omosessuali. Comunque la dottoressa mi dà i fogli, un penna e mi piazza in corridoio. Inizio a scorrere le domande: «Hai avuto esperienze molto strane?»; oppure, «Ti piacerebbe essere un fioraio?». A quest'ultima rispondo di sì spinto dalla banalità della considerazione; Forse chi sceglie di fare il fioraio, secondo loro, ha una predisposizione ha diventare un po'checca.D'un tratto vengo colpito e distratto dalla presenza silenziosa di una signora e di un giovane adolescente. Sono madre e figlio. Lui mi sembra particolarmente timido, a disagio. Non posso saperlo, ma potrebbe benissimo trattarsi di un ragazzino forzato dalla madre per arginare, almeno finché è in tempo, la «propria devianza omosessuale». Di nuovo penso a quanto sia angusta questa pratica e a quanta violenza abbia in sé. Penso alla pressione che può subire un ragazzino di 15-16 anni che sta scoprendo la propria sessualità. La preoccupazione, spesso in buona fede, dei genitori e la scelta di far qualcosa per fermare quella "scoperta" piuttosto che accoglierla e sostenerla. Poi la signora e il ragazzino si infilano in una delle tante stanze dello studio degli allievi di Cantelmi e io torno al mio test infinito: «Hai mai compiuto pratiche sessuali insolite?»; «Ti piaceva giocare con le bambole?»; «Qualcuno controlla la tua mente?»; «Hai spesso il desiderio di essere di sesso opposto al tuo?»; «L'uomo dovrebbe essere il capo famiglia?»...Finite le domande, torno in stanza dalla dottoressa. Lei ripone le mie scartoffie che già contengono il risultato del mio "grado di omosessualità" e tira fuori una decina di cartoncini colorati da figure bizzarre. Sono le macchie del test di Rorschach. Spruzzi indefiniti di colore, che agiscono in modo inconscio attivando reazioni proiettive. Insomma, di fronte a quelle macchie sono invitato a rintracciare e comunicare figure sensate. Io mi lancio sforzandomi di vedere peni, vagine, ani e così via. Individuo anche un paio di feti appesi per il cordone ombelicale. Dò il peggio di me, cercando di convincere la dottoressa Cacace che la mia sessualità è particolarmente deviata, talmente corrotta e omosessuale da meritare le sue cure. Ma lei, di fronte al mio sproloquio genitale non fa una piega: sfila uno dopo l'altro i cartoncini del test e prende diligentemente appunti. Nel frattempo si accosta a me ed io non trattengo un'occhiata fugace alla scollatura. Lei, sorpresa, si ritrae, si copre e mi guarda con imbarazzo. Insomma, dopo tutto quel parlare della mia omosessualità probabilmente sono caduto nella banalità di voler riaffermare la mia "mascolinità" di fronte a una donna. Per la prima volta, in un certo senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento sociale e culturale che vivono i gay. Poi, riprendo con le mie figure...***I risultati del test, quanto sono omosessuale? «Non molto, la tua omosessualità è davvero sfumata», mi dice la dottoressa Cacace mostrandomi una ventina di pagine che contengono la mia "diagnosi". «Omosessualità sfumata», proprio così. A quel punto chiedo maggiori spiegazioni. «Allora, io direi che siamo di fronte ad una nevrosi che ha indotto una deviazione sessuale - continua lei - sarà il professor Cantelmi a spiegarti meglio. Dopo qualche giorno sono di nuovo nella sala d'attesa del professore. La sensazione è la stessa: un porto di mare aperto a tutti i "casi umani". Cantelmi, cortese e accogliente come sempre, sfoglia i risultati del mio test e mi parla di "leggera nevrosi e depressione" che avrebbe indotto la mia deviazione sessuale, l'uscita dai binari di una sessualità sana e consapevole. «Tu non sei propriamente un omosessuale», mi dice. «La tua mi sembra più una preoccupazione determinata da alcuni episodi legati all'infanzia». Poi attacca con il conflitto con mia madre e l'assenza di mio padre, da me del tutto inventata, che mi avrebbe privato di una figura maschile forte, una figura di riferimento su cui avrei dovuto modellare la mia sessualità e definire il mio genere. Dunque non sono del tutto omosessuale. Forse la terapia è già iniziata. Negare la mia omosessualità è il primo passo verso la "guarigione". Probabilmente è una modalità per iniziare a smontare la convinzione del "paziente". Sentirsi dire, «non sei propriamente omosessuale», forse, significa iniziare a destrutturare la personalità dell'individuo, le sue convinzioni e metterlo di fronte al fatto - un fatto certificato da uno psicologo - che la sua omosessualità non è mai esistita. Anzi, che l'omosessualità in sé non esiste se non nei termini di una deviazione dalla norma, dall'unica norma reale: l'eterosessualità.«A questo punto - continua poi il professore - si tratta di andare a ripescare quelle fratture e superarle attraverso una terapia adeguata».«Che tipo di terapia?» chiedo io. «Una terapia individuale. Ti seguirà un mio assistente, ma io - mi tranquillizza - sarò costantemente informato dei tuoi progressi». «Ma io sapevo di gruppi di mutuo-aiuto, pensavo che mi inserisse lì». «I gruppi ci sono - mi dice lui - ma sono gruppi con persone che hanno una forte devianza sessuale. Non credo che sia la terapia migliore per il tuo stato. Non so, vedremo».Io non mollo la presa e cerco di scoprire cosa accade dentro quei gruppi. «Sono gruppi di persone guidate da psicoterapeuti che condividono le propria esperienza verso un percorso riparativo», aggiunge frettolosamente Cantelmi. Poi si alza, mi dà il numero di telefono dell'ennesimo psicologo, ovviamente un altro assistente, e mi regala un libro: "Oltre l'omosessualità" di Joseph Nicolosi. Nicolosi, proprio lui, il guru dei guaritori, il creatore della terapia riparativa, quello che vanta ben 500 casi di «gay trattati», anzi, riparati. «Leggilo - mi dice - troverai situazioni simili alla tua. Persone come te che ce l'hanno fatta».***Il libro di Nicolosi Oltre l'omosessualità" di Joseph Nicolosi è una raccolta di storie di vita. Otto storie di omosessuali corretti, riparati, e un'appendice finale sulle modalità della terapia. Tra loro Albert, un trentenne che «parla con tono leggermente effeminato e la nostalgia - sottolinea Nicolosi - di un bambino perduto». E in effetti il problema di Albert, racconta Nicolosi nel suo libro, è proprio il suo attaccamento al mondo perduto dell'infanzia. Di qui un'illustrazione delle caratteristiche ricorrenti nelle persone omosessuali: attrazione distaccata per il proprio corpo, prime esperienze sessuali con altri bambini, ipermasturbazione, - «gli omosessuali - spiega Nicolosi - si masturbano più spesso degli eterosessuali: è un tentativo di stabilire un contatto rituale con il pene» - e una figura materna opprimente. A quel punto l'obiettivo del dottor Nicolosi è quello di «sviluppare un senso più solido della mascolinità» di Albert. Come? Innanzi tutto affrancandosi dall'opprimente legame materno, coltivando amicizie maschili non sessuali e facendo lunghi giri in bicicletta. Lunghi giri in bicicletta, proprio così. Finalmente arrivano i primi progressi: Albert riesce a controllare la masturbazione, si distacca dalla madre, non salta addosso al suo amico e continua a girare in bici per il quartiere. «Le stanno succedendo proprio delle belle cose», confida il dottore ad Albert. Tre anni dopo Albert ha una voce sicura, ogni inflessione femminile è sparita, si è «staccato emotivamente dagli altri maschi e dalla mascolinità», e si è affrancato dal controllo materno: la colpa originaria, la causa della sua omosessualità; Albert si è anche fidanzato con una ragazza. Insomma è riparato. Ed è riparato perchè «ha afferrato - commenta Nicolosi - il concetto del falso sé»: la falsa identità gay che l'esterno ti impone. «No, non sono gay», è l'ultimo commento di Albert prima di iniziare la sua nuova vita da eterosessuale.Altra vicenda interessante raccontata da Nicolosi è quella di Tom: «Un uomo straordinariamente bello, alto circa 1m e 80, occhi azzurri e ben vestito». (chissà che anche Nicolosi non tradisca una tendenza omosessuale: il guaritore dei gay che scopre di essere gay, un grande classico già visto mille volte). Tom è sposato, ma separato a causa di una relazione con un altro ragazzo: «Andy, un ventiquattrenne irresistibile». Nicolosi è chiaro con Tom: «Se lei vuole divorziare da sua moglie e iniziare la sua nuova vita con il suo amante gay io non la seguo». Il fatto è che Tom si sente vuoto senza la moglie e i figli e non sa come presentarsi in società, come tirare fuori la sua omosessualità. Un paio di buone ragioni per iniziare la terapia riparativa. Il fatto è che, almeno per Nicolosi, Tom è un omosessuale anomalo: «Non ha problemi di affermazione nei confronti degli altri uomini, in affari è deciso e risoluto ed è estroverso. Ma sotto sotto - svela Nicolosi - ha la fragilità emotiva tipica degli omosessuali». A farla breve, Tom ha una paura nera di perdere la moglie e i figli e ritrovarsi solo perché «le relazioni omosessuali sono senza futuro». A quel punto Nicolosi incontra la moglie di Tom che ha tutta l'intenzione di collaborare per riportare il marito sulla retta via. Un lavoro che riesce, ma i segni dell'omosessualità hanno lasciato la loro traccia indelebile: Tom è Hiv positivo e di lì a poco muore. Il messaggio, meglio, l'avvertimento di Nicolosi è fin troppo chiaro: attenzione, di omosessualità si può guarire ma anche morire.***Prove di guarigione Quando torno nello studio del professor Cantelmi scopro che la mia guarigione è nelle mani di un suo giovanissimo assistente. Anche lui sfoglia i risultati del mio test, e inizia a parlare del percorso che abbiamo davanti. «Ripercorreremo il conflitto con tua madre, l'assenza di tuo padre, cercando di ricomporre le fratture che hanno generato la confusione».«Confusione?»«Si, certo, confusione di genere. Ma prima Davide - continua il giovane dottore - parlami della tue esperienze omosessuali». Per la quarta volta mi ritrovo a parlare del mio compagno di Liceo e racconto delle paure del mio matrimonio. Ma la Domanda arriva: «Davide, i tuoi rapporti sono stati completi?». «Vuol sapere se l'ho preso nel di dietro dottore? Sì, due volte», rispondo seccato. Lui sorride imbarazzato. Ma in effetti è proprio quello che voleva sapere. Poi si riprende e attacca. «Vorrei anche sapere le sensazioni che hai provato». Sull'orlo dell'esaurimento per quelle domande così ripetitive e di basso livello, attacco un pilotto infinito. Gli racconto, invento, ogni particolare. Gli parlo dell'eccitazione del rapporto omosessuale maschile, del senso di trasgressione e richiamo alla mente alcuni passaggi particolarmente suggestivi e "scabrosi" descritti da uno dei pazienti del libro di Nicolosi. Lui si beve tutto e prende diligentemente appunti. Finalmente gli ho offerto il "malato" che è in me e mi sembra visibilmente soddisfatto. Io inizio a provare un senso di nausea. Nausea per Don Giacomo, per il professor Cantelmi e per i suoi giovani assistenti. Sono passati sei mesi dal mio primo incontro e a questo punto mi sembra di non riuscire a sopportare oltre. Mi rendo conto che in questo lungo periodo abbiamo solo parlato del mio didietro. Per la prima volta realizzo che nessuno di loro mi ha mai chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali. Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni "subite"? Il giovane psicologo mi fissa un nuovo appuntamento. Io lo saluto e sparisco. Non metterò mai più piede in quello studio. Ormai ne so abbastanza.
Liberazione 23/12/2007
«La strada verso la mia presunta salvezza comincia con un incontro per definire tempi e modi del mio ingresso in un gruppo terapeutico per guarire dall'omosessualità»
Il racconto di un cronista che si è infiltrato per mesi un corso organizzato da un gruppo ultra cattolico
Davide Varì
Mi forzo, e da ateo convinto prego con lui. Finito il momento di raccoglimento Don Giacomo, con la stessa delicatezza, mi invita a continuare il mio racconto. «La tua relazione con Luca - mi dice - è stata passiva o solo attiva?». Don Giacomo vuol sapere se ho «subito» oppure no una penetrazione. Deve essere solo quello il discrimine fondamentale per capire se davanti a sé c'è un vero omosessuale. «Attivo e passivo», dico di botto. «E mi è anche piaciuto», rispondo quasi in senso di sfida, di fronte a quella domanda così volgare. Volgare non per la cosa in sé, quanto, piuttosto perchè per la prima volta inizio a intravedere, o almeno così mi sembra, i veri pensieri di quel prete così giovane e cordiale. Uno squarcio che smaschera il giudizio che ha di me, anzi, di "quelli come me".Don Giacomo annuisce in modo austero e poi mi chiede di parlargli degli altri rapporti. A quel punto tiro fuori una relazione fugace con un altro ragazzo "consumata" dopo il matrimonio. Don Giacomo mi invita a raccontare le sensazioni che avevo provato. Io mi invento un «senso di sporcizia morale» che vivo e mi porto dentro tuttora. Il giovane prete è silenzioso. Mi benedice e mi tranquillizza. «La tua omosessualità - dice - è molto superficiale. Io credo che tu sia pronto per iniziare il percorso di guarigione».A quel punto sono io che faccio qualche domanda e chiedo lumi su quello che lui chiama "percorso". Don Giacomo, grosso modo, mi spiega che quasi tutti gli omosessuali hanno subito un trauma o qualcosa del genere che ha interrotto la "naturale" costruzione della vera identità sessuale. «Per questo - dice - servono terapie riparative. Per riprendere in mano quel vissuto, trovare la frattura e ridefinire la propria identità di genere. Tu sei in uno stato di confusione sessuale, devi farti aiutare per ridefinire la tua sessualità in modo corretto». Perfetto, sono pronto per iniziare il "percorso". Don Giacomo prende un pezzo di carta e scrive telefono e indirizzo del Professor Tonino Cantelmi, «chiamalo tra una settimana, digli che ti mando io, lui saprà già tutto». Mi benedice e mi congeda.***Il primo incontro con il professor Cantelmi Lo studio del professor Tonino Cantelmi - Presidente dell'Istituto di Terapia Cognitivo interpersonale, c'è scritto nella targhetta - è un porto di mare nel quale transitano e approdano le preoccupazioni e le angosce di varia umanità: ragazzini, adolescenti, mamme, nonne. C'è di tutto in quello studio. Io mi accomodo e attendo di essere chiamato. Lui, il professore, ogni tanto esce e saluta il paziente di turno. Con tutti ha un rapporto molto confidenziale, tutti lo chiamano Tonino. Finalmente arriva il mio momento. Raccolgo le idee per evitare di contraddirmi rispetto alla storia che ho raccontato a Don Giacomo qualche settimana prima. Ripasso lo schema, i nomi inventati dei miei falsi amanti e mi infilo nello studio del Professore. Lui mi squadra, mi sorride e mi fa accomodare. «Sono Davide, gli dico, mi manda Don Giacomo». Lui annuisce - «con quel nome mi ha inserito nella categoria omosessuale pentito», penso tra me - e mi invita a raccontare la mia storia. A quel punto riparto con la vicenda del Liceo, della mia relazione col mio compagno di banco e dei timori rispetto al mio matrimonio dopo un'altra relazione avuta con un ragazzo un paio d'anni fa.«Che tipo di rapporti hai avuto?», mi chiede Cantelmi. Io faccio finta di non capire. «Voglio dire - continua il Professore - hai avuto rapporti completi?».Annuisco, ma aspetto che il professore esca dalla sua tana e mi ponga la domanda, la domanda con la D maiuscola, in modo diretto. E lui non mi delude: «Insomma Davide - mi dice schietto - sei stato anche passivo nei tuoi rapporti?». Ci risiamo, penso tra me. «Sì», rispondo. Decido di fare la parte del laconico. Da un lato perchè ho paura di contraddirmi, dall'altro perchè voglio vedere le abilità del professore in azione. Son curioso di capire in che modo si muove. Come lavora. Ma lui mi sorprende e dopo quell'unica risposta, pronto a sbarazzarsi di me, prende carta e penna e scrive il nome di una collega: «Lei è la dottoressa Cacace - mi dice mentre mi porge il bigliettino - è una mia assistente, contattala a mio nome. Lei saprà già tutto». Mi sembra di rivedere un film già visto. Comunque io non voglio perdere l'occasione di ritrovarmi di fronte al "guru" italiano dei guaritori di gay e allora rilancio prima che lui mi liquidi. «Senta dottore - gli dico con il massimo di gentilezza - io vorrei capire di preciso cosa mi aspetta». «Nulla di particolare - fa lui - la dottoressa ti farà un test..»«Un test?», faccio eco io«Sì, un test»«Un test per misurare il mio grado di omosessualità?», incalzo.«Beh! In un certo senso sì», fa lui.«Scusi - gli chiedo - ma cos'è di preciso l'omosessualità?»A quel punto Cantelmi si accomoda, allunga le braccia sul tavolo e comincia: «Io - esordisce - parlerei della tua omosessualità, non di omosessualità in genere. Diciamo che noi siamo un gruppo di psicologi che cercano di aiutare persone in difficoltà. La nostra è una terapia riparativa»***La terapia riparativa: l'omosessualità come il comunismo Si sentiva parlare da tempo di questi taumaturghi del sesso deviato. Una moda che spopola nel Nord America grazie al lavoro di molti gruppi legati alla Chiesa, e che segue l'insegnamento e la pratica di Joseph Nicolosi, presidente della Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality. Uno psicologo clinico, questo Joseph Nicolosi, un "santone" che vanta ben 500 casi di «gay trattati» e curati - proprio così, «gay trattati» - e che ha tirato fuori dal cilindro della propria stregoneria psichiatrica la cosiddetta "terapia riparativa" il cui scopo dichiarato è quello di «ricondurre all'orientamento eterosessuale le persone omosessuali». Un messaggio che in Italia è stato ripreso e rilanciato dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana. Insomma, il guru italiano della terapia riparativa, una persona legata a doppio nodo al Vaticano e intorno al quale è nato un gruppo di lavoro formato da cinque, sei giovani psicologi che seguono le terapie individuali dei futuri e "riparati" eterosessuali. Questa della terapia riparativa è storia antica. Già nel 2005, la rivista Gay Pride pubblicò un lungo articolo nel quale ne metteva in dubbio ogni validità e attendibilità scientifica. Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay, presentò anche un'interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini professionali, la terapia riparativa. Anche per questo uno come J.M. van den Aardweg, lo psicoterapeuta americano che ha scritto "Omosessualità & speranza", parla di lobby gay all'assalto della scientificità. Tanto per capire cosa si muove dietro questa presunta terapia riparativa, lo stesso van den Aardweg sostiene - lo ha fatto in una recente intervista per "Acquaviva2000, cultura cattolica in rete" - che molti omosessuali «presentano seri disturbi mentali, o hanno sviluppato un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non sarebbe tanto sbagliato chiamarli "malati"». Non solo, van den Aardweg è convinto che per colpa del movimento gay, «le masse non assimileranno mai completamente la concezione antinaturale che viene loro imposta. Andrà come con il comunismo. Molti, probabilmente i più, presteranno all'innaturale "religione" omosessuale un culto formale, dettatogli dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno». Questi sono gli illustri scienziati che sponsorizzano la terapia riparativa. Ancora più esplicite le parole d'ordine del già citato gruppo ultracattolico "Obiettivo Chaire": «Accompagnamento spirituale, psicologico e medico; attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di prevenire l'insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani; ricerca delle cause(spirituali, psicologiche, culturali, storiche) che contribuiscono alla diffusione di atteggiamenti contrari alla legge naturale, riconoscibile dalla ragione rettamente formata».Poi l'immancabile Joseph Nicolosi, lo psicologo-clinico americano che ha inventato la terapia riparativa. A giorni sarà in Italia per aggiornare i suoi seguaci e illustrare loro, verosimilmente, le ultime novità della sua terapia. Queste le idee di fondo: primo, alla luce delle scienze sociali la forma di famiglia ideale per favorire un sano sviluppo del bambino è il modello tradizionale di matrimonio eterosessuale; secondo, l'identità sessuale si forma in un'età precoce sulla base di " fattori biologici, psicologici e sociali"; terzo, esistono numerosi esempi di persone che sono riuscite a cambiare il loro comportamento, identità, stimoli o fantasie sessuali.A sostegno di queste tesi sono nati i movimenti "ex-gay", persone "riparate" e spesso convertite al cattolicesimo che hanno lo scopo dichiarato di dimostrare che dall'omosessualità è possibile "guarire". Il bello della faccenda è che sempre più gruppi di "ex gay" vengono sciolti per il fatto che molti associati hanno ri-trovato un partner dello stesso sesso proprio in quell'organizzazione.***La terapia riparativa di Cantelmi Cantelmi cerca di adattare su di me, sul mio caso, le ragioni di quella terapia. Parla di traumi infantili che generano confusione in un mondo già pieno di contraddizioni e di liquidità nei rapporti interpersonali. Il tutto per spiegare che in un certo senso i comportamenti della persona omosessualità sono indotti da questa schizofrenia esterna. Non solo omosessuali però. Il professor Cantelmi è infatti convinto, e me lo spiega, che la nostra epoca è caratterizzata da una grossa compulsività sessuale: una dipendenza che colpisce migliaia di persone e tra questi tanti, tantissimi giovani. Mi parla di «relazioni malate con il sesso», di «perdita di controllo» e così via.«E in tutto questo, l'omosessualità?», chiedo io.«Beh, il mio studio è pieno. Abbiamo la fila. Ci sono centinaia di ragazzi che chiedono aiuto».«Vede - dico cercando di stanarlo - io non so bene se sono omosessuale. Non capisco se sono vittima di una sorta di disagio psichico o se devo assecondare queste mie pulsioni».«Non preoccuparti Davide - mi dice sereno e sorridente - dal tuo profilo mi sembra di poter parlare di una ansia generalizzata e di una leggera nevrosi che in qualche modo condiziona e devia le tue scelte sessuali. Ora faremo il test e avremo più elementi per poter scegliere la terapia migliore».***Il Test ed i discepoli del professore e la cura La dottoressa Cristina Cacace dell'Istituto di terapia cognitivo interpersonale diretto da Cantelmi mi accoglie sorridente nel suo studio. Mi osserva, anzi mi scruta con insistenza. «Ora mi becca - penso io - scopre che sono un infiltrato e mi caccia». E invece no. Evidentemente la diagnosi del Professor Cantelmi deve avermi suggestionato. Un po' nevrotico, perseguitato, mi ci sento davvero. Fatto sta che lei mi invita con gentilezza nel suo studio targato Ikea, mi fa accomodare e mi interroga: nome, cognome, età, indirizzo, telefono e stato civile. Io rispondo senza esitare e attendo, anche qui, "la" domanda . Ma la dottoressa Cacace già sa e non c'è bisogno di alcuna premessa. Saltiamo direttamente ai particolari più intimi: quante volte, e fino a che punto. «Fino a che punto in che senso?», chiedo io. Lei sorride. Mi chiedo se lei, giovane psicologa, crede davvero alle follie e alla violenza di questa benedetta "terapia riparativa" oppure se è li, in quel piccolo studio solo perchè non trova nulla di meglio. Ma i miei pensieri vengono interrotti dalla domanda della dottoressa:«Davide, i tuoi rapporti omosessuali sono stati solo attivi o anche passivi»? Sento un forte disagio di fronte a quella domanda ricorrente, ossessiva. Mi viene in mente il lato pruriginoso e voyeuristico di chi la pone. Alla fine rispondo come ho già risposto a Don Giacomo e al professor Cantelmi: «Sì, attivo e passivo». Poi racconto anche a lei del mio rapporto conflittuale con mia madre, delle assenze di mio padre e aggiungo che ogni tanto, da piccolo,venivo scambiato per bambina. La giovane assistente di Cantelmi annuisce gravemente e mi fissa l'appuntamento per il test di personalità. «Dopo il test - mi dice prima di accompagnarmi alla porta - sapremo meglio come trattare la tua situazione».Pochi giorni dopo sono di nuovo lì e scopro che il Test dura circa quattro ore ed è nient'altro che il cosiddetto "Test Minnesota" quello che utilizzano le forze armate di mezzo mondo per selezionare il proprio personale. Seicento domande circa che dovrebbero dare risposte su eventuali deviazioni del candidato: ipocondria, depressione, isteria, deviazione psicopatica, mascolinità o femminilità, paranoia, psicastenia, schizofrenia, ipomania e introversione sociale. Un pout-pourri che, tra le altre cose, dovrebbe mettere in luce le mie tendenze omosessuali. Comunque la dottoressa mi dà i fogli, un penna e mi piazza in corridoio. Inizio a scorrere le domande: «Hai avuto esperienze molto strane?»; oppure, «Ti piacerebbe essere un fioraio?». A quest'ultima rispondo di sì spinto dalla banalità della considerazione; Forse chi sceglie di fare il fioraio, secondo loro, ha una predisposizione ha diventare un po'checca.D'un tratto vengo colpito e distratto dalla presenza silenziosa di una signora e di un giovane adolescente. Sono madre e figlio. Lui mi sembra particolarmente timido, a disagio. Non posso saperlo, ma potrebbe benissimo trattarsi di un ragazzino forzato dalla madre per arginare, almeno finché è in tempo, la «propria devianza omosessuale». Di nuovo penso a quanto sia angusta questa pratica e a quanta violenza abbia in sé. Penso alla pressione che può subire un ragazzino di 15-16 anni che sta scoprendo la propria sessualità. La preoccupazione, spesso in buona fede, dei genitori e la scelta di far qualcosa per fermare quella "scoperta" piuttosto che accoglierla e sostenerla. Poi la signora e il ragazzino si infilano in una delle tante stanze dello studio degli allievi di Cantelmi e io torno al mio test infinito: «Hai mai compiuto pratiche sessuali insolite?»; «Ti piaceva giocare con le bambole?»; «Qualcuno controlla la tua mente?»; «Hai spesso il desiderio di essere di sesso opposto al tuo?»; «L'uomo dovrebbe essere il capo famiglia?»...Finite le domande, torno in stanza dalla dottoressa. Lei ripone le mie scartoffie che già contengono il risultato del mio "grado di omosessualità" e tira fuori una decina di cartoncini colorati da figure bizzarre. Sono le macchie del test di Rorschach. Spruzzi indefiniti di colore, che agiscono in modo inconscio attivando reazioni proiettive. Insomma, di fronte a quelle macchie sono invitato a rintracciare e comunicare figure sensate. Io mi lancio sforzandomi di vedere peni, vagine, ani e così via. Individuo anche un paio di feti appesi per il cordone ombelicale. Dò il peggio di me, cercando di convincere la dottoressa Cacace che la mia sessualità è particolarmente deviata, talmente corrotta e omosessuale da meritare le sue cure. Ma lei, di fronte al mio sproloquio genitale non fa una piega: sfila uno dopo l'altro i cartoncini del test e prende diligentemente appunti. Nel frattempo si accosta a me ed io non trattengo un'occhiata fugace alla scollatura. Lei, sorpresa, si ritrae, si copre e mi guarda con imbarazzo. Insomma, dopo tutto quel parlare della mia omosessualità probabilmente sono caduto nella banalità di voler riaffermare la mia "mascolinità" di fronte a una donna. Per la prima volta, in un certo senso, vivo sulla mia pelle la forza e la violenza del condizionamento sociale e culturale che vivono i gay. Poi, riprendo con le mie figure...***I risultati del test, quanto sono omosessuale? «Non molto, la tua omosessualità è davvero sfumata», mi dice la dottoressa Cacace mostrandomi una ventina di pagine che contengono la mia "diagnosi". «Omosessualità sfumata», proprio così. A quel punto chiedo maggiori spiegazioni. «Allora, io direi che siamo di fronte ad una nevrosi che ha indotto una deviazione sessuale - continua lei - sarà il professor Cantelmi a spiegarti meglio. Dopo qualche giorno sono di nuovo nella sala d'attesa del professore. La sensazione è la stessa: un porto di mare aperto a tutti i "casi umani". Cantelmi, cortese e accogliente come sempre, sfoglia i risultati del mio test e mi parla di "leggera nevrosi e depressione" che avrebbe indotto la mia deviazione sessuale, l'uscita dai binari di una sessualità sana e consapevole. «Tu non sei propriamente un omosessuale», mi dice. «La tua mi sembra più una preoccupazione determinata da alcuni episodi legati all'infanzia». Poi attacca con il conflitto con mia madre e l'assenza di mio padre, da me del tutto inventata, che mi avrebbe privato di una figura maschile forte, una figura di riferimento su cui avrei dovuto modellare la mia sessualità e definire il mio genere. Dunque non sono del tutto omosessuale. Forse la terapia è già iniziata. Negare la mia omosessualità è il primo passo verso la "guarigione". Probabilmente è una modalità per iniziare a smontare la convinzione del "paziente". Sentirsi dire, «non sei propriamente omosessuale», forse, significa iniziare a destrutturare la personalità dell'individuo, le sue convinzioni e metterlo di fronte al fatto - un fatto certificato da uno psicologo - che la sua omosessualità non è mai esistita. Anzi, che l'omosessualità in sé non esiste se non nei termini di una deviazione dalla norma, dall'unica norma reale: l'eterosessualità.«A questo punto - continua poi il professore - si tratta di andare a ripescare quelle fratture e superarle attraverso una terapia adeguata».«Che tipo di terapia?» chiedo io. «Una terapia individuale. Ti seguirà un mio assistente, ma io - mi tranquillizza - sarò costantemente informato dei tuoi progressi». «Ma io sapevo di gruppi di mutuo-aiuto, pensavo che mi inserisse lì». «I gruppi ci sono - mi dice lui - ma sono gruppi con persone che hanno una forte devianza sessuale. Non credo che sia la terapia migliore per il tuo stato. Non so, vedremo».Io non mollo la presa e cerco di scoprire cosa accade dentro quei gruppi. «Sono gruppi di persone guidate da psicoterapeuti che condividono le propria esperienza verso un percorso riparativo», aggiunge frettolosamente Cantelmi. Poi si alza, mi dà il numero di telefono dell'ennesimo psicologo, ovviamente un altro assistente, e mi regala un libro: "Oltre l'omosessualità" di Joseph Nicolosi. Nicolosi, proprio lui, il guru dei guaritori, il creatore della terapia riparativa, quello che vanta ben 500 casi di «gay trattati», anzi, riparati. «Leggilo - mi dice - troverai situazioni simili alla tua. Persone come te che ce l'hanno fatta».***Il libro di Nicolosi Oltre l'omosessualità" di Joseph Nicolosi è una raccolta di storie di vita. Otto storie di omosessuali corretti, riparati, e un'appendice finale sulle modalità della terapia. Tra loro Albert, un trentenne che «parla con tono leggermente effeminato e la nostalgia - sottolinea Nicolosi - di un bambino perduto». E in effetti il problema di Albert, racconta Nicolosi nel suo libro, è proprio il suo attaccamento al mondo perduto dell'infanzia. Di qui un'illustrazione delle caratteristiche ricorrenti nelle persone omosessuali: attrazione distaccata per il proprio corpo, prime esperienze sessuali con altri bambini, ipermasturbazione, - «gli omosessuali - spiega Nicolosi - si masturbano più spesso degli eterosessuali: è un tentativo di stabilire un contatto rituale con il pene» - e una figura materna opprimente. A quel punto l'obiettivo del dottor Nicolosi è quello di «sviluppare un senso più solido della mascolinità» di Albert. Come? Innanzi tutto affrancandosi dall'opprimente legame materno, coltivando amicizie maschili non sessuali e facendo lunghi giri in bicicletta. Lunghi giri in bicicletta, proprio così. Finalmente arrivano i primi progressi: Albert riesce a controllare la masturbazione, si distacca dalla madre, non salta addosso al suo amico e continua a girare in bici per il quartiere. «Le stanno succedendo proprio delle belle cose», confida il dottore ad Albert. Tre anni dopo Albert ha una voce sicura, ogni inflessione femminile è sparita, si è «staccato emotivamente dagli altri maschi e dalla mascolinità», e si è affrancato dal controllo materno: la colpa originaria, la causa della sua omosessualità; Albert si è anche fidanzato con una ragazza. Insomma è riparato. Ed è riparato perchè «ha afferrato - commenta Nicolosi - il concetto del falso sé»: la falsa identità gay che l'esterno ti impone. «No, non sono gay», è l'ultimo commento di Albert prima di iniziare la sua nuova vita da eterosessuale.Altra vicenda interessante raccontata da Nicolosi è quella di Tom: «Un uomo straordinariamente bello, alto circa 1m e 80, occhi azzurri e ben vestito». (chissà che anche Nicolosi non tradisca una tendenza omosessuale: il guaritore dei gay che scopre di essere gay, un grande classico già visto mille volte). Tom è sposato, ma separato a causa di una relazione con un altro ragazzo: «Andy, un ventiquattrenne irresistibile». Nicolosi è chiaro con Tom: «Se lei vuole divorziare da sua moglie e iniziare la sua nuova vita con il suo amante gay io non la seguo». Il fatto è che Tom si sente vuoto senza la moglie e i figli e non sa come presentarsi in società, come tirare fuori la sua omosessualità. Un paio di buone ragioni per iniziare la terapia riparativa. Il fatto è che, almeno per Nicolosi, Tom è un omosessuale anomalo: «Non ha problemi di affermazione nei confronti degli altri uomini, in affari è deciso e risoluto ed è estroverso. Ma sotto sotto - svela Nicolosi - ha la fragilità emotiva tipica degli omosessuali». A farla breve, Tom ha una paura nera di perdere la moglie e i figli e ritrovarsi solo perché «le relazioni omosessuali sono senza futuro». A quel punto Nicolosi incontra la moglie di Tom che ha tutta l'intenzione di collaborare per riportare il marito sulla retta via. Un lavoro che riesce, ma i segni dell'omosessualità hanno lasciato la loro traccia indelebile: Tom è Hiv positivo e di lì a poco muore. Il messaggio, meglio, l'avvertimento di Nicolosi è fin troppo chiaro: attenzione, di omosessualità si può guarire ma anche morire.***Prove di guarigione Quando torno nello studio del professor Cantelmi scopro che la mia guarigione è nelle mani di un suo giovanissimo assistente. Anche lui sfoglia i risultati del mio test, e inizia a parlare del percorso che abbiamo davanti. «Ripercorreremo il conflitto con tua madre, l'assenza di tuo padre, cercando di ricomporre le fratture che hanno generato la confusione».«Confusione?»«Si, certo, confusione di genere. Ma prima Davide - continua il giovane dottore - parlami della tue esperienze omosessuali». Per la quarta volta mi ritrovo a parlare del mio compagno di Liceo e racconto delle paure del mio matrimonio. Ma la Domanda arriva: «Davide, i tuoi rapporti sono stati completi?». «Vuol sapere se l'ho preso nel di dietro dottore? Sì, due volte», rispondo seccato. Lui sorride imbarazzato. Ma in effetti è proprio quello che voleva sapere. Poi si riprende e attacca. «Vorrei anche sapere le sensazioni che hai provato». Sull'orlo dell'esaurimento per quelle domande così ripetitive e di basso livello, attacco un pilotto infinito. Gli racconto, invento, ogni particolare. Gli parlo dell'eccitazione del rapporto omosessuale maschile, del senso di trasgressione e richiamo alla mente alcuni passaggi particolarmente suggestivi e "scabrosi" descritti da uno dei pazienti del libro di Nicolosi. Lui si beve tutto e prende diligentemente appunti. Finalmente gli ho offerto il "malato" che è in me e mi sembra visibilmente soddisfatto. Io inizio a provare un senso di nausea. Nausea per Don Giacomo, per il professor Cantelmi e per i suoi giovani assistenti. Sono passati sei mesi dal mio primo incontro e a questo punto mi sembra di non riuscire a sopportare oltre. Mi rendo conto che in questo lungo periodo abbiamo solo parlato del mio didietro. Per la prima volta realizzo che nessuno di loro mi ha mai chiesto se mi era capitato di innamorarmi di qualche uomo. Nessuno ha mai voluto sapere le mie emozioni di fronte ai rapporti omosessuali. Possibile che non gli interessi altro che il numero di penetrazioni "subite"? Il giovane psicologo mi fissa un nuovo appuntamento. Io lo saluto e sparisco. Non metterò mai più piede in quello studio. Ormai ne so abbastanza.
Liberazione 23/12/2007
Il racconto di un cronista che ha frequentato per mesi un corso organizzato da un gruppo ultracattolico
Il racconto di un cronista che ha frequentato per mesi un corso organizzato da un gruppo ultracattolico
Gli ho detto: «Sono gay». Mi hanno risposto:«La sua è una malattia leggera, possiamo curarla bene...»»
Davide Varì
L'appuntamento è con Don Giacomo nella sede delle edizioni Paoline poco lontano dalla Garbatella, ex quartiere popolare di Roma. Un incontro per definire tempi e modi del mio ingresso in un gruppo terapeutico per guarire dall'omosessualità. Un appuntamento sudato: i sedicenti guaritori di gay, almeno in Italia, non vogliono troppa pubblicità. Per rintracciare quello italiano ho dovuto chiamare un gruppo omologo svizzero che mi ha girato la sede milanese di "Obiettivo Chaire", un'associazione ultracattolica che organizza, sì, incontri terapeutici, ma soltanto a Milano. Alla fine mi indicano Don Giacomo qui a Roma, un giovane prelato che, dicono loro, può aiutarmi. E ora, dopo quel lungo peregrinare, ci sono: finalmente sono di fronte allo studio di Don Giacomo. La prima tappa del mio percorso di "guarigione". Un percorso durato circa sei mesi nei quali mi sono ritrovato immerso in un mondo parallelo fatto di reticenze, mezze verità, ambiguità e strane alleanze tra ambienti del Vaticano e alcuni gruppi di psicologi guidati dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana.Ma prima c'è don Giacomo, il primo livello di valutazione della "gravità del paziente" spetta infatti a lui, a un rappresentante della Chiesa cattolica. Don Giacomo è gentile. Dopo vari colloqui telefonici nei quali, con molta discrezione e molto tatto, mi chiede i motivi che mi spingono verso questa terapia, arriva il momento dell'incontro. Dopo una breve presentazione, inizia il colloquio vero e proprio.Le domande fondamentali sono due o tre: quanti rapporti omosessuali ho consumato, con quale frequenza e le sensazioni che ho provato. Gli racconto quasi tutta la verità, tutta tranne il fatto che sono un giornalista e che non sono omosessuale. Gli dico che sono sposato, che ho un bambina e butto lì un paio di esperienze omosessuali legate alla mia adolescenza e la preoccupazione che quelle esperienze possano tornare a galla e rovinare il mio matrimonio. Don Giacomo ascolta con partecipazione. Poi inizia il lavoro d'indagine per capire le ragioni della mia omosessualità. Mi chiede dei miei genitori, del rapporto con mia madre - rispetto alla quale tiro fuori un bel conflitto. Fa sempre bene, penso: ai preti e agli psicologi piace - gli racconto del ruolo marginale di mio padre, dei rapporti sessuali con mia moglie, le relazioni interpersonali e così via. Una scannerizzazione superficiale ma completa del mio vissuto.Poi la domanda: «Quando è stata la prima volta, Davide», mi chiede Don Giacomo. Gli racconto di un mio compagno di liceo, di tale Luca, col quale ero molto amico e di come quell'amicizia, col tempo e in modo del tutto inaspettato, si fosse trasformata in relazione sessuale. Don Giacomo ascolta con attenzione e partecipazione. Mi vede provato e cambia discorso: «Credi in Dio?» mi chiede. Io rispondo che provengo da una famiglia molto religiosa ma che no, non ho mai praticato. Ma ultimamente, aggiungo, sento rinascere in me qualcosa di diverso. È il momento più delicato, il momento in cui bisogna scegliere se andare fino in fondo passando sopra le sincere convinzioni religiose di Don Giacomo, oppure finirla lì e andarsene. E' come se mi prendessi gioco della sua fede, e forse nessuno mi da il diritto di arrivare fino a quel punto. Poi mi convinco che nella realtà quotidiana questi "guaritori di omosessuali" fanno solo danni: prendono una persona, nella gran parte dei casi spinta dalla famiglia, gli raccontano che la propria omosessualità è una deviazione dalla norma e la invitano a intraprendere, con loro, un percorso di guarigione, anzi, di "riparazione". Ed allora decido di andare avanti e raccolgo l'appello di Don Giacomo: «Preghiamo insieme?».segue a pagina 323/12/2007
Gli ho detto: «Sono gay». Mi hanno risposto:«La sua è una malattia leggera, possiamo curarla bene...»»
Davide Varì
L'appuntamento è con Don Giacomo nella sede delle edizioni Paoline poco lontano dalla Garbatella, ex quartiere popolare di Roma. Un incontro per definire tempi e modi del mio ingresso in un gruppo terapeutico per guarire dall'omosessualità. Un appuntamento sudato: i sedicenti guaritori di gay, almeno in Italia, non vogliono troppa pubblicità. Per rintracciare quello italiano ho dovuto chiamare un gruppo omologo svizzero che mi ha girato la sede milanese di "Obiettivo Chaire", un'associazione ultracattolica che organizza, sì, incontri terapeutici, ma soltanto a Milano. Alla fine mi indicano Don Giacomo qui a Roma, un giovane prelato che, dicono loro, può aiutarmi. E ora, dopo quel lungo peregrinare, ci sono: finalmente sono di fronte allo studio di Don Giacomo. La prima tappa del mio percorso di "guarigione". Un percorso durato circa sei mesi nei quali mi sono ritrovato immerso in un mondo parallelo fatto di reticenze, mezze verità, ambiguità e strane alleanze tra ambienti del Vaticano e alcuni gruppi di psicologi guidati dal Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana.Ma prima c'è don Giacomo, il primo livello di valutazione della "gravità del paziente" spetta infatti a lui, a un rappresentante della Chiesa cattolica. Don Giacomo è gentile. Dopo vari colloqui telefonici nei quali, con molta discrezione e molto tatto, mi chiede i motivi che mi spingono verso questa terapia, arriva il momento dell'incontro. Dopo una breve presentazione, inizia il colloquio vero e proprio.Le domande fondamentali sono due o tre: quanti rapporti omosessuali ho consumato, con quale frequenza e le sensazioni che ho provato. Gli racconto quasi tutta la verità, tutta tranne il fatto che sono un giornalista e che non sono omosessuale. Gli dico che sono sposato, che ho un bambina e butto lì un paio di esperienze omosessuali legate alla mia adolescenza e la preoccupazione che quelle esperienze possano tornare a galla e rovinare il mio matrimonio. Don Giacomo ascolta con partecipazione. Poi inizia il lavoro d'indagine per capire le ragioni della mia omosessualità. Mi chiede dei miei genitori, del rapporto con mia madre - rispetto alla quale tiro fuori un bel conflitto. Fa sempre bene, penso: ai preti e agli psicologi piace - gli racconto del ruolo marginale di mio padre, dei rapporti sessuali con mia moglie, le relazioni interpersonali e così via. Una scannerizzazione superficiale ma completa del mio vissuto.Poi la domanda: «Quando è stata la prima volta, Davide», mi chiede Don Giacomo. Gli racconto di un mio compagno di liceo, di tale Luca, col quale ero molto amico e di come quell'amicizia, col tempo e in modo del tutto inaspettato, si fosse trasformata in relazione sessuale. Don Giacomo ascolta con attenzione e partecipazione. Mi vede provato e cambia discorso: «Credi in Dio?» mi chiede. Io rispondo che provengo da una famiglia molto religiosa ma che no, non ho mai praticato. Ma ultimamente, aggiungo, sento rinascere in me qualcosa di diverso. È il momento più delicato, il momento in cui bisogna scegliere se andare fino in fondo passando sopra le sincere convinzioni religiose di Don Giacomo, oppure finirla lì e andarsene. E' come se mi prendessi gioco della sua fede, e forse nessuno mi da il diritto di arrivare fino a quel punto. Poi mi convinco che nella realtà quotidiana questi "guaritori di omosessuali" fanno solo danni: prendono una persona, nella gran parte dei casi spinta dalla famiglia, gli raccontano che la propria omosessualità è una deviazione dalla norma e la invitano a intraprendere, con loro, un percorso di guarigione, anzi, di "riparazione". Ed allora decido di andare avanti e raccolgo l'appello di Don Giacomo: «Preghiamo insieme?».segue a pagina 323/12/2007
Pseudo guaritori dall'omosessualità
venerdì 28 dicembre 2007
Ha fatto scalpore il reportage di Davide Varì pubblicato sul quotidiano Liberazione del 23/12/2007, nel quale l'autore racconta i sei mesi da infiltrato in studi di psicologi sedicenti "guaritori" da omosessualità.Il giornalista, fingendosi omosessuale, si rivolge in principio al giovane prete Don Giacomo, al quale racconta di essere sposato ma di avere avuto rapporti omosessuali in età adolescenziale ed in qualche occasione in seguito al matrimonio. Il parroco, dopo avere avuto risposte dal giornalista, relativamente alla tipologia di rapporti avuti, lo invita a rivolgersi al dottor Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana. Comincia così il percorso "riparatore", fatto di presunte pratiche psicoterapeutiche, derivanti dalle teorie colme di pregiudizi di tale sedicente dottor Joseph Nicolosi.Tali teorie si basano sul concetto secondo il quale l'omosessualità sarebbe una patologia, nettamente in contrasto con quanto dichiarato già dal 17 maggio 1990 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che invece la definiva una variante naturale della sessualità. D'altronde già prima di quella data, gli Ordini internazionali degli Psicologi e degli Psichiatri, si battevano per l'abolizione della definizione dell'omosessualità come malattia mentale.In quegli studi di psicologi cattolici reazionari descritti dal bravo giornalista, pare venissero condotti forzatamente dai propri genitori, molti minorenni in età adolescenziale, costretti a curarsi da una inesistente patologia.Nonostante le dichiarazioni dell'OMS e in barba a quanto Freud sostenava un secolo fa - che di fatto già non considerava l'omosessualità una malattia - ancora oggi coloro che hanno un diverso orientamento sessuale, subiscono quotidianamente tante discriminazioni. In tale contesto, tali pratiche di condizionamento individuale, non possono fare altro che accrescere un disagio già creato dalle discriminazioni subite. Questo perchè le pseudoterapie riparatorie tendono a fare assumere ai soggetti che vi si sottopongono, un atteggiamento di vergogna per il proprio orientamento sessuale e di autodisprezzo di sè.Ora si parla di interrogazioni parlamentari per mettere in piena luce quanto emerso dalle colonne di Liberazione, mentre l'Ordine degli psicologi, per bocca della dottoressa Marialori Zaccaria, presidente dell'ordine degli psicologi del Lazio e membro del consiglio nazionale, fa sapere che interverrà per accertare eventuali responsabilità.Intanto, il dottor Cantelmi ed il suo staff, farebbero bene ad intraprendere un percorso riabilitativo della propria psiche, affinchè possano essere aiutati a guarire da quella patologia che prende il nome di discriminazione sessuale.
Ha fatto scalpore il reportage di Davide Varì pubblicato sul quotidiano Liberazione del 23/12/2007, nel quale l'autore racconta i sei mesi da infiltrato in studi di psicologi sedicenti "guaritori" da omosessualità.Il giornalista, fingendosi omosessuale, si rivolge in principio al giovane prete Don Giacomo, al quale racconta di essere sposato ma di avere avuto rapporti omosessuali in età adolescenziale ed in qualche occasione in seguito al matrimonio. Il parroco, dopo avere avuto risposte dal giornalista, relativamente alla tipologia di rapporti avuti, lo invita a rivolgersi al dottor Cantelmi, presidente e fondatore dell'Associazione italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all'Università Gregoriana. Comincia così il percorso "riparatore", fatto di presunte pratiche psicoterapeutiche, derivanti dalle teorie colme di pregiudizi di tale sedicente dottor Joseph Nicolosi.Tali teorie si basano sul concetto secondo il quale l'omosessualità sarebbe una patologia, nettamente in contrasto con quanto dichiarato già dal 17 maggio 1990 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che invece la definiva una variante naturale della sessualità. D'altronde già prima di quella data, gli Ordini internazionali degli Psicologi e degli Psichiatri, si battevano per l'abolizione della definizione dell'omosessualità come malattia mentale.In quegli studi di psicologi cattolici reazionari descritti dal bravo giornalista, pare venissero condotti forzatamente dai propri genitori, molti minorenni in età adolescenziale, costretti a curarsi da una inesistente patologia.Nonostante le dichiarazioni dell'OMS e in barba a quanto Freud sostenava un secolo fa - che di fatto già non considerava l'omosessualità una malattia - ancora oggi coloro che hanno un diverso orientamento sessuale, subiscono quotidianamente tante discriminazioni. In tale contesto, tali pratiche di condizionamento individuale, non possono fare altro che accrescere un disagio già creato dalle discriminazioni subite. Questo perchè le pseudoterapie riparatorie tendono a fare assumere ai soggetti che vi si sottopongono, un atteggiamento di vergogna per il proprio orientamento sessuale e di autodisprezzo di sè.Ora si parla di interrogazioni parlamentari per mettere in piena luce quanto emerso dalle colonne di Liberazione, mentre l'Ordine degli psicologi, per bocca della dottoressa Marialori Zaccaria, presidente dell'ordine degli psicologi del Lazio e membro del consiglio nazionale, fa sapere che interverrà per accertare eventuali responsabilità.Intanto, il dottor Cantelmi ed il suo staff, farebbero bene ad intraprendere un percorso riabilitativo della propria psiche, affinchè possano essere aiutati a guarire da quella patologia che prende il nome di discriminazione sessuale.
PRETI PEDOFILI/POLEMICHE IN SPAGNA A 2 GIORNI DAL "FAMILY DAY"
A scatenarle sono le dichiarazioni del vescovo di Tenerife
Madrid, 28 dic. (Apcom) - Continuano a suscitare polemiche le dichiarazioni del vescovo di Tenerife Bernardo Alvarez, che in un'intervista pubblicata ieri su un quotidiano regionale aveva affermato che ci sono minori che provocano atti di pedofilia, equiparando poi gli abusi sui minori all'omosessualità.
A due giorni dalla grande manifestazione "Per la famiglia cristiana", promossa dalla Conferenza episcopale spagnola, che si terrà domenica a Madrid, il 'Difensore civico dei minori' della regione della capitale, Arturo Canalda, ha definito oggi le dichiarazioni del vescovo una "barbarie".
Secondo Canalda, "alla fine questo è il messaggio che giustifica la pedofilia", mentre la legge spagnola "qualifica come delitto le relazioni sessuali con minori di 13 anni", un limite che il Difensore dei minori vorrebbe elevare fino a 14 anni. "Chiederei un po' più di rigore - ha aggiunto Canalda - e molta attenzione con gli esempi che diamo ai bambini". Da parte sua, la Federazione nazionale di lesbiche, gay, transessuali e bisessuali (Felgtb) ha minacciato oggi di ricorrere alla giustizia contro le dichiarazioni del prelato. "Non consentiremo un solo insulto di più: chiediamo che rettifichi pubblicamente oppure dovrà vedersela con la legge", ha detto un portavoce del gruppo, secondo cui la manifestazione di domenica è un "atto integralista e con volontà di escludere". La Conferenza episcopale spagnola per il momento non ha voluto commentare le affermazioni del vescovo Alvarez.
Madrid, 28 dic. (Apcom) - Continuano a suscitare polemiche le dichiarazioni del vescovo di Tenerife Bernardo Alvarez, che in un'intervista pubblicata ieri su un quotidiano regionale aveva affermato che ci sono minori che provocano atti di pedofilia, equiparando poi gli abusi sui minori all'omosessualità.
A due giorni dalla grande manifestazione "Per la famiglia cristiana", promossa dalla Conferenza episcopale spagnola, che si terrà domenica a Madrid, il 'Difensore civico dei minori' della regione della capitale, Arturo Canalda, ha definito oggi le dichiarazioni del vescovo una "barbarie".
Secondo Canalda, "alla fine questo è il messaggio che giustifica la pedofilia", mentre la legge spagnola "qualifica come delitto le relazioni sessuali con minori di 13 anni", un limite che il Difensore dei minori vorrebbe elevare fino a 14 anni. "Chiederei un po' più di rigore - ha aggiunto Canalda - e molta attenzione con gli esempi che diamo ai bambini". Da parte sua, la Federazione nazionale di lesbiche, gay, transessuali e bisessuali (Felgtb) ha minacciato oggi di ricorrere alla giustizia contro le dichiarazioni del prelato. "Non consentiremo un solo insulto di più: chiediamo che rettifichi pubblicamente oppure dovrà vedersela con la legge", ha detto un portavoce del gruppo, secondo cui la manifestazione di domenica è un "atto integralista e con volontà di escludere". La Conferenza episcopale spagnola per il momento non ha voluto commentare le affermazioni del vescovo Alvarez.
PAPA, NESSUNA DISPOSIZIONE SU ESORCISTI
CITTA' DEL VATICANO - Né alla Congregazione per la Dottrina della fede né a quella per il Culto divino "risultano documenti di Benedetto XVI per sollecitare ai vescovi l'istituzione in ogni diocesi di un numero stabile di esorcisti". Lo ha affermato padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, dopo essere stato interpellato dai giornalisti sull'argomento.Il portavoce vaticano smentisce così nella sostanza quanto riferito ieri dal sito cattolico 'Petrus', secondo cui papa Ratzinger starebbe lavorando a una "istruttoria" per obbligare i vescovi, non solo italiani ma di tutto il mondo, a istituire in ogni diocesi un numero stabile di esorcisti per controbattere la presenza di Satana. La testata on-line riferiva anche che tale istruttoria pontificia dovrebbe essere pubblicata nei primi mesi del 2008 e dovrebbe consentire agli 'ammalati nello spirito', ovvero ai posseduti dal maligno, di fare affidamento su uno o più preti "specializzati" della propria Diocesi. Padre Federico Lombardi ha spiegato però oggi che né all'ex Sant'Uffizio né alla Congregazione del Culto divino, cioé i due dicasteri competenti sull'argomento, risulta che sia in cantiere alcuna disposizione di Benedetto XVI in materia di preti esorcisti.
Vatican denies exorcist move
Pope has 'no plans for garrisons against Devil'
(ANSA) - Vatican City, December 28 - The Vatican on Friday denied plans to set up exorcists across the Catholic world.''Pope Benedict XVI has no intention of ordering local bishops to bring in garrisons of exorcists to fight demonic possession,'' Vatican spokesman Father Federico Lombardi told reporters.On Thursday the Catholic website Petrus said the pope was drawing up plans to install a given number of exorcists in every diocese in the coming months so that 'possessed' people could get prompt treatment.Benedict also meant to reintroduce at the end of Mass a prayer to St Mark the Archangel, believed to be the prime protector against evil, Petrus claimed.The Vatican has responded to a rising demand for exorcists in recent years, setting up courses to fight the most extreme form of modern 'Godlessness'. ''Subcultures of Satanism and the occult have grown as people lose faith in progress,'' an exorcism expert said as he recently opened a course at a Vatican university.''People suffer and think that turning to the Devil can help solve their problems,'' Father Paolo Scarafoni told students who signed up for instruction in the art of recognising and expelling Satan.Father Scarafoni warned that very few - perhaps one in ten - of the people said to be possessed by Satan actually were.But he said devil-worship groups and occult practices were now so common in society that the services of exorcists were being sought more and more frequently.''Priests are being bombarded,'' he said.Eager to spread awareness about the rising threat of Satanism, Rome's Regina Apostolorum university has even opened the course up to anyone with a proven interest in fighting devil worship.Doctors, psychiatrists, lawyers and youth workers are among the students accepted for the course. They will never actually perform exorcisms but they will learn about the phenomenon of Satanism.In Satanism, followers hold pagan and occult rites to worship the Devil. Exorcism frees an individual from the Devil's direct influence, believers think.Apart from offering a 'doorway' to the Devil, Catholic authorities note that Satanism and related trends generally promote anti-social, if not criminal behaviour.Italian newspapers have given ample coverage in recent years to cases such as the killing of a nun in 2000 by three girls involved in Satanic rites. Another high-profile case involved a group of youths in a rock group called the Beasts of Satan who were convicted of a string of killings.The Vatican is particularly concerned that young people are being exposed to the influence of Satanic sects through the media, rock music and the Internet.The new course looks at Satanism from legal, psychological and sociological angles as well as the religious one.''One of the objectives of the course was to stop such a delicate and difficult subject being viewed in a sensationalist way,'' commented Carlo Climati, who lectures on Satanism in youth culture.But the studies also try to train course members to recognise the real presence of the Devil in individuals who are possessed.Three signs that experts look out for are an ability to speak languages that the possessed person does not know, the presence of superhuman strength and an awareness of hidden or distant objects.In theory, all priests can perform exorcisms but, in reality, only a select few are assigned the task.The rite of exorcism involves a series of gestures and prayers to invoke the power of God and stop the 'demon' influencing its possessed victim.
(ANSA) - Vatican City, December 28 - The Vatican on Friday denied plans to set up exorcists across the Catholic world.''Pope Benedict XVI has no intention of ordering local bishops to bring in garrisons of exorcists to fight demonic possession,'' Vatican spokesman Father Federico Lombardi told reporters.On Thursday the Catholic website Petrus said the pope was drawing up plans to install a given number of exorcists in every diocese in the coming months so that 'possessed' people could get prompt treatment.Benedict also meant to reintroduce at the end of Mass a prayer to St Mark the Archangel, believed to be the prime protector against evil, Petrus claimed.The Vatican has responded to a rising demand for exorcists in recent years, setting up courses to fight the most extreme form of modern 'Godlessness'. ''Subcultures of Satanism and the occult have grown as people lose faith in progress,'' an exorcism expert said as he recently opened a course at a Vatican university.''People suffer and think that turning to the Devil can help solve their problems,'' Father Paolo Scarafoni told students who signed up for instruction in the art of recognising and expelling Satan.Father Scarafoni warned that very few - perhaps one in ten - of the people said to be possessed by Satan actually were.But he said devil-worship groups and occult practices were now so common in society that the services of exorcists were being sought more and more frequently.''Priests are being bombarded,'' he said.Eager to spread awareness about the rising threat of Satanism, Rome's Regina Apostolorum university has even opened the course up to anyone with a proven interest in fighting devil worship.Doctors, psychiatrists, lawyers and youth workers are among the students accepted for the course. They will never actually perform exorcisms but they will learn about the phenomenon of Satanism.In Satanism, followers hold pagan and occult rites to worship the Devil. Exorcism frees an individual from the Devil's direct influence, believers think.Apart from offering a 'doorway' to the Devil, Catholic authorities note that Satanism and related trends generally promote anti-social, if not criminal behaviour.Italian newspapers have given ample coverage in recent years to cases such as the killing of a nun in 2000 by three girls involved in Satanic rites. Another high-profile case involved a group of youths in a rock group called the Beasts of Satan who were convicted of a string of killings.The Vatican is particularly concerned that young people are being exposed to the influence of Satanic sects through the media, rock music and the Internet.The new course looks at Satanism from legal, psychological and sociological angles as well as the religious one.''One of the objectives of the course was to stop such a delicate and difficult subject being viewed in a sensationalist way,'' commented Carlo Climati, who lectures on Satanism in youth culture.But the studies also try to train course members to recognise the real presence of the Devil in individuals who are possessed.Three signs that experts look out for are an ability to speak languages that the possessed person does not know, the presence of superhuman strength and an awareness of hidden or distant objects.In theory, all priests can perform exorcisms but, in reality, only a select few are assigned the task.The rite of exorcism involves a series of gestures and prayers to invoke the power of God and stop the 'demon' influencing its possessed victim.
Il Papa dichiara guerra al diavolo
CONTRO SATANA
Papa Benedetto XVI
L'ordine di Ratzinger ai vescovi: almeno un esorcista per diocesi
GIACOMO GALEAZZI
Papa Benedetto XVI
L'ordine di Ratzinger ai vescovi: almeno un esorcista per diocesi
GIACOMO GALEAZZI
CITTA' DEL VATICANO
Decine di vescovi vivono sotto peccato mortale perché non delegano i propri sacerdoti ad effettuare esorcismi». Parola di padre Gabriele Amorth, il decano degli esorcisti italiani. Ora padre Amorth torna alla carica annunciando, attraverso il sito cattolico «Petrus», che Benedetto XVI sta lavorando ad una «istruzione» per obbligare i vescovi, non solo italiani ma di tutto il mondo, ad istituire in ogni diocesi un numero stabile di esorcisti per controbattere la presenza di Satana. Tale istruttoria pontificia dovrebbe essere pubblicata nei primi mesi del 2008 per consentire agli «ammalati nello spirito», cioè ai posseduti dal maligno, di fare affidamento su uno o più preti «specializzati» della propria diocesi, senza necessità di spostarsi da un luogo all’altro. Nella stessa istruttoria, sulla cui applicazione dovranno vigilare le Conferenze episcopali, il Papa incoraggerà anche la diffusione, al termine delle liturgie, della Preghiera a San Michele Arcangelo, sulla stessa scia del suo predecessore, Leone XIII, che «impressionato dall’incalzare del diavolo», pose obbligatoriamente alla fine della messa la supplica a colui che viene venerato come protettore dalle insidie del male. La preghiera, che seguiva la lettura del prologo del Vangelo di Giovanni al termine di ogni messa, venne abolita dal Concilio Vaticano II ancora presieduta da Giovanni XXIII, cioè ancora non sottoposto ai sulfurei teologi di Papa Montini ai quali è ora di moda imputare ogni nequizia liturgica e teologica. «Grazie a Dio abbiamo un Papa che ha deciso di combattere frontalmente il diavolo - commenta padre Amorth - era ora che i vescovi diocesani fossero obbligati a incaricare un numero stabile di esorcisti per liberare le persone possedute dagli spiriti maligni. Per la verità, l’obbligo ce l’hanno già ora, ma non lo rispettano perché proprio loro che sono esorcisti per diritto divino, non credono all’esistenza del diavolo». Benedetto XVI, invece, crede nell’esistenza e nella pericolosità del maligno sin dai tempi in cui era Prefetto dell’ex Sant’Uffizio. «Da allora non perde occasione per mettere in guardia l’umanità dai rischi che derivano dall’azione del diavolo. E ha sempre esortato noi esorcisti ad impegnarci sempre di più nel nostro ministero», aggiunge padre Amorth. Che Benedetto XVI voglia disciplinare l’attività degli esorcisti è una notizia plausibile. L’attuale legislazione canonica, infatti, prevede che l’intervento del sacerdote debba essere preceduto dall’analisi di una commissione di psichiatri. La norma, ampiamente disattesa dagli esorcisti, dovrebbe ricondurre sulla retta via anche quelle pratiche «liberatorie» che, come una recente inchiesta della «Stampa» ha raccontato, preoccupano le autorità ecclesiastiche. Perché con la scusa del diavolo, gli abusi psicologici stanno diventando un problema serio. Sono passati più di venti anni da quando padre Amorth, allora direttore di «Myriam», una rivista dedicata alle suore, annunciò al mondo che il 20% dei romani «aveva contatti con il demonio». L’affermazione suscitò incredulità tra i vescovi di Roma, del Lazio e anche dei dintorni, ma impressionò i mass media. E dette anche, secondo molti studiosi, un vigoroso contributo alla diffusione del satanismo «fai da te», quello rockettaro e metallaro. L’esorcista deve essere un sacerdote che «si distingua per pietà, scienza, prudenza e integrità di vita». All’inizio del pontificato, Benedetto XVI aveva ricevuto in udienza gli esorcisti di tutta Europa esortandoli e incoraggiandoli a continuare nel loro importante ministero, «sostenuti dalla vigile attenzione dei loro vescovi e dalla incessante preghiera della comunità cristiana». Ora il Vaticano intende richiamare i vescovi di tutto il mondo a conferire il mandato di esorcista ad un numero sufficiente di sacerdoti che si impegnino stabilmente in tale ministero. E ogni diocesi deve averne almeno uno.
La Stampa 28/12/2007 (8:17)
Transgender minore suicida,nessuna comunità voleva ospitarlo
A Palma di Montechiaro amata e rispettata, stava bene
Palermo, 19 dic. (Apcom) - Loredana sarebbe dovuta comparire questa mattina davanti al giudice del tribunale dei minori di Catania per l'udienza preliminare. Secondo la denuncia presentata dal padre, avrebbe aggredito e picchiato il genitore provocandogli delle fratture. Ed è stato proprio in seguito a quell'episodio che il tribunale dei minori, in via cautelativa e per tutelarla, aveva deciso di affidarla ad una comunità dando incarico ai servizi sociali del comune di Giarre di individuare una struttura idonea ad ospitarla.
Ieri nel corso di una conferenza stampa convocata a tarda sera nella sede legale della cooperativa sociale 'Sole' che gestisce la struttura che ospita 17 minori a Palma di Montechiaro (Agrigento) è stato anche confermato che Loredana, subito dopo la denuncia del padre aveva presentato a sua volta una denuncia nei confronti del genitore per atti di libidine. Denuncia che poi, però, avrebbe ritirato. Le difficoltà incontrate per trovare una sistemazione idonea a Loredana sono stato raccontate anche dal presidente regionale di Arci-gay Sicilia, Paolo Patanè. "C'è stata una lunga e difficoltosa ricerca - ha detto - ma alla fine si è scoperto che in tutta Italia non esistono comunità di accoglienza per minori con diverso orientamento sessuale o diversa identità di genere".
"Questa di Palma di Montechiaro rispetto ad altre comunità, è una buona comunità, tenendo anche conto che la comunità 'ideale' per un caso come questo, non c'è, non esiste in Italia. Se andiamo in un gradino sotto, cioè quello delle comunità 'adattabili' al caso, alcune hanno detto no e altre che sono state valutate non idonee dai servizi sociali". "Questo - ha proseguito - era un caso molto difficile e abbiamo dovuto prendere atto di un sistema, di un mondo, che non prende in considerazione l'esistenza di queste persone e quindi non prevede l'esistenza di percorsi e di norme e di comunità specifiche. Siamo di fronte ad una tragedia spaventosa in cui tutti quelli che hanno avuto a che fare con Loredana, gli operatori sociali e questa comunità hanno fatto il possibile e l'impossibile dando il più grande affetto".
La comunità Alice ha affidato al suo legale, l'avvocato Santo Lucia il compito di chiarire che "l'idoneità di questa struttura è stata individuata dall'ufficio minorile, servizio sociale minorenni del dipartimento giustizia minorile. La comunità ha ottemperato a quanto prescritto dal Tribunale dei minori che ha individuato in questa struttura tutti gli elementi necessari per poter ricoverare Loredana. Qui si trovava bene e non solo all'interno della comunità ma anche a Palma di Montechiaro - ha aggiunto sottolineando come la ragazza avesse anche allacciato nuove amicizie. "Sulle motivazione che l'hanno condotta a questo gesto estremo - ha concluso il legale - vi sono delle indagini in corso ma nessuno della comunità indagato di alcunché".
Che a Loredana volessero bene, nella comunità di Palma di Montechiaro lo testimoniano anche gli opertori della 'Alice' che la ricordano "allegra, spensierata, socievole e affettuosa". Il tragico gesto di "Lory" come la chiamavano tutti "è inspiegabile, siamo sbigottiti e affranti" dice scosso Carlo Di Miceli, il presidente dell'associazione che gestisce la comunità. "Le volevamo tutti bene e anche gli altri ragazzi nostri ospiti sono rimasti sconvolti. L'hanno sempre rispettata tutti e le hanno voluto bene" riprende l'assistente sociale Linda Lumia.
"Qui a Palma - ricorda Di Miceli - aveva tanti amici anche fuori dalla comunità. Si rendeva sempre utile, alle volte aiutava anche in cucina le quattro ragazze addette a preparare il pranzo o la cena". E poi ricorda la sua voglia di giocare, l'affetto e l'amicizia che provava per gli operatori della comunità: "Comprava sempre delle cioccolate e poi le nascondeva e ci diceva ridendo :'adesso trovatele'".
Intanto Arcigay della provincia di Catania sta valutando di intitolare il proprio comitato etneo a Loredana R.. Lo ha annunciato ieri sera il presidente siciliano, Paolo Patanè. "Noi - ha detto precisando che la decisione dovrà essere assunta dal Congresso dell'associazione - vogliamo assolutamente sottolineare quanto la vita e la morte di questa persona siano una denuncia non nei confronti della cattiva volontà dei singoli, ma nei confronti, purtroppo, di una classe politica che deve al più presto trovare delle soluzioni perché morti come queste sono una conseguenza della solitudine, dell'assenza di leggi e dell'assenza di percorsi".
Palermo, 19 dic. (Apcom) - Loredana sarebbe dovuta comparire questa mattina davanti al giudice del tribunale dei minori di Catania per l'udienza preliminare. Secondo la denuncia presentata dal padre, avrebbe aggredito e picchiato il genitore provocandogli delle fratture. Ed è stato proprio in seguito a quell'episodio che il tribunale dei minori, in via cautelativa e per tutelarla, aveva deciso di affidarla ad una comunità dando incarico ai servizi sociali del comune di Giarre di individuare una struttura idonea ad ospitarla.
Ieri nel corso di una conferenza stampa convocata a tarda sera nella sede legale della cooperativa sociale 'Sole' che gestisce la struttura che ospita 17 minori a Palma di Montechiaro (Agrigento) è stato anche confermato che Loredana, subito dopo la denuncia del padre aveva presentato a sua volta una denuncia nei confronti del genitore per atti di libidine. Denuncia che poi, però, avrebbe ritirato. Le difficoltà incontrate per trovare una sistemazione idonea a Loredana sono stato raccontate anche dal presidente regionale di Arci-gay Sicilia, Paolo Patanè. "C'è stata una lunga e difficoltosa ricerca - ha detto - ma alla fine si è scoperto che in tutta Italia non esistono comunità di accoglienza per minori con diverso orientamento sessuale o diversa identità di genere".
"Questa di Palma di Montechiaro rispetto ad altre comunità, è una buona comunità, tenendo anche conto che la comunità 'ideale' per un caso come questo, non c'è, non esiste in Italia. Se andiamo in un gradino sotto, cioè quello delle comunità 'adattabili' al caso, alcune hanno detto no e altre che sono state valutate non idonee dai servizi sociali". "Questo - ha proseguito - era un caso molto difficile e abbiamo dovuto prendere atto di un sistema, di un mondo, che non prende in considerazione l'esistenza di queste persone e quindi non prevede l'esistenza di percorsi e di norme e di comunità specifiche. Siamo di fronte ad una tragedia spaventosa in cui tutti quelli che hanno avuto a che fare con Loredana, gli operatori sociali e questa comunità hanno fatto il possibile e l'impossibile dando il più grande affetto".
La comunità Alice ha affidato al suo legale, l'avvocato Santo Lucia il compito di chiarire che "l'idoneità di questa struttura è stata individuata dall'ufficio minorile, servizio sociale minorenni del dipartimento giustizia minorile. La comunità ha ottemperato a quanto prescritto dal Tribunale dei minori che ha individuato in questa struttura tutti gli elementi necessari per poter ricoverare Loredana. Qui si trovava bene e non solo all'interno della comunità ma anche a Palma di Montechiaro - ha aggiunto sottolineando come la ragazza avesse anche allacciato nuove amicizie. "Sulle motivazione che l'hanno condotta a questo gesto estremo - ha concluso il legale - vi sono delle indagini in corso ma nessuno della comunità indagato di alcunché".
Che a Loredana volessero bene, nella comunità di Palma di Montechiaro lo testimoniano anche gli opertori della 'Alice' che la ricordano "allegra, spensierata, socievole e affettuosa". Il tragico gesto di "Lory" come la chiamavano tutti "è inspiegabile, siamo sbigottiti e affranti" dice scosso Carlo Di Miceli, il presidente dell'associazione che gestisce la comunità. "Le volevamo tutti bene e anche gli altri ragazzi nostri ospiti sono rimasti sconvolti. L'hanno sempre rispettata tutti e le hanno voluto bene" riprende l'assistente sociale Linda Lumia.
"Qui a Palma - ricorda Di Miceli - aveva tanti amici anche fuori dalla comunità. Si rendeva sempre utile, alle volte aiutava anche in cucina le quattro ragazze addette a preparare il pranzo o la cena". E poi ricorda la sua voglia di giocare, l'affetto e l'amicizia che provava per gli operatori della comunità: "Comprava sempre delle cioccolate e poi le nascondeva e ci diceva ridendo :'adesso trovatele'".
Intanto Arcigay della provincia di Catania sta valutando di intitolare il proprio comitato etneo a Loredana R.. Lo ha annunciato ieri sera il presidente siciliano, Paolo Patanè. "Noi - ha detto precisando che la decisione dovrà essere assunta dal Congresso dell'associazione - vogliamo assolutamente sottolineare quanto la vita e la morte di questa persona siano una denuncia non nei confronti della cattiva volontà dei singoli, ma nei confronti, purtroppo, di una classe politica che deve al più presto trovare delle soluzioni perché morti come queste sono una conseguenza della solitudine, dell'assenza di leggi e dell'assenza di percorsi".
PRETI PEDOFILI/ VESCOVO TENERIFE: ALCUNI MINORI PROVOCANO
Alvarez: l'omosessualità è un "danno per la società"
2007-12-27
Roma, 27 dic. (Apcom) - "Ci sono minori che sono consenzienti, che desiderano avere rapporti sessuali e che se non stai attento ti provocano persino": a parlare è il vescovo di Tenerife, Bernardo Alvarez, in un'intervista concessa al quotidiano locale "La Opinion".
Alvarez ha poi paragonato l'omosessualità agli abusi sui minori, chiedendo perché "chi abusa dei minori è un malato" mentre "non è politicamente corretto dire che l'omosessualità è una malattia, una carenza, una deformazione della natura propria dell'essere umano: quel che fino a dieci anni fa diceva qualsiasi dizionario di psicologia, oggi non si può dire".
"Il fenomeno dell'omosessualità danneggia le persone e la società: alla lunga ne pagheremo le conseguenze come è successo ad altre civiltà", ha continuato il vescovo, secondo il quale è invece necesario "promuovere l'educazione e e inculcare i valori della femminilità e della mascolinità".
Il vescovado di Tenerife da parte sua ha subito affermato che Alvarez, con le sue dichiarazioni, non intendeva "in nessun caso giustificare un atto condannabile come gli abusi sessuali sui minori".
2007-12-27
Roma, 27 dic. (Apcom) - "Ci sono minori che sono consenzienti, che desiderano avere rapporti sessuali e che se non stai attento ti provocano persino": a parlare è il vescovo di Tenerife, Bernardo Alvarez, in un'intervista concessa al quotidiano locale "La Opinion".
Alvarez ha poi paragonato l'omosessualità agli abusi sui minori, chiedendo perché "chi abusa dei minori è un malato" mentre "non è politicamente corretto dire che l'omosessualità è una malattia, una carenza, una deformazione della natura propria dell'essere umano: quel che fino a dieci anni fa diceva qualsiasi dizionario di psicologia, oggi non si può dire".
"Il fenomeno dell'omosessualità danneggia le persone e la società: alla lunga ne pagheremo le conseguenze come è successo ad altre civiltà", ha continuato il vescovo, secondo il quale è invece necesario "promuovere l'educazione e e inculcare i valori della femminilità e della mascolinità".
Il vescovado di Tenerife da parte sua ha subito affermato che Alvarez, con le sue dichiarazioni, non intendeva "in nessun caso giustificare un atto condannabile come gli abusi sessuali sui minori".
STRAGE ERBA: TRIBUNALE,NO A SEQUESTRO LIBRO ‘VICINI DA MORIRE’
(AGI) - Milano, 27 dic. - Il libro ‘Vicini da morire’, nel quale il giornalista Pino Corrias racconta i retroscena della strage di Erba, non sara’ tolto dal mercato. Lo ha deciso il Tribunale di Milano che ha respinto la richiesta di sequestrare il volume, avanzata dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, imputati davanti alla Corte d’Assise di Como per l’omicidio di Raffaella Castagna, del piccolo Youssef, di Paola Galli e Valeria Cherubini. Romano e Bazzi sostenevano la violazione sia del diritto di cronaca sia del segreto istruttorio. Il volume, secondo i due imputati, riprodurrebbe in maniera subdola il contenuto degli atti di indagine, prospettando un’immagine negativa e falsata della vita e della personalita’ dei due ricorrenti che avrebbe potuto influenzare la giuria popolare della Corte d’Assise. I legali dello Studio Martinez&Novebaci, per conto della Arnoldo Mondadori che edita il testo, hanno ribattuto che l’opera pubblicata e’ rivolta ad approfondire ed esaminare non tanto le vicende processuali, quanto piuttosto i comportamenti di tutti i protagonisti del fatto e le dinamiche sociali proprie di un contesto di apparente benessere e normalita’. (AGI)
sabato 22 dicembre 2007
Alberto tradito anche dagli amici:"si sapeva che era gay"
22/12/2007 (8:27) -
REAZIONI DI UNA COMUNITA' SOTTO SHOCK
Alberto tradito anche dagli amici
Chiara Poggi nel fotomontaggio con le due cugine
Tutti contro di lui: «Si sapeva che era gay»
MARCO NEIROTTI
GARLASCOMa se lo sapevate davvero tutti, era così difficile dirlo a Chiara, quando, a quanto sembra, cercava di buttare messaggi a un’amica: «C’è qualcosa non va, qualcosa di grave»? E’ questo il giorno dopo, in questa cittadina di novemila abitanti, benessere di commercio e artigianato e piccola industria e, soprattutto, memoria che va e che viene. Il giorno dopo la notizia dei bimbi nel computer è quando rispolveri tre parole di un amico, o qualcosa di simile a un amico o un conoscente, che racconta con entusiasmo - sembra stato d’estasi - di Alberto immerso con la fronte e il pensiero nello schermo. Immagini del peggio del peggio, pedofilia. Adesso, qui a Garlasco, scopri che lo sospettavano tutti o quasi, che comunque era strambo, proprio lui così perfetto. «Gli si leggeva in faccia», Cesare Lombroso ripescato con qualche pagina perduta al mercatino dell’usato. Alberto stava con Chiara Poggi, l’altro ieri era un gay notoriamente riconosciuto da tutti, oggi è un pedofilo, magari virtuale, sul quale nessuno aveva dubbi. In queste strade di un paese che negli anni ha perso la sua identità di pianura della quiete e ne ha riacquistata una anomala come è accaduto a Novi Ligure, a Cogne, Alberto è uno «visto qualche volta», «sì mi ricordo, forse». E’ evaporato fisicamente e pesa come una piramide costruita senza badare se il villaggio è stato evacuato. Hanno pianto con lui, dentro e fuori la chiesa, e adesso ricordano di avere intuito subito che «c’era qualcosa di strano». Si bisbiglia. E’ il contrasto più incredibile. Da una parte ci sono persone gentili e partecipi - «mi raccomando, un accenno al nostro locale nell’articolo, vi stiamo aiutando» - dall’altra ci sono stupori e incredulità. Nel mezzo ci sta non soltanto una sentenza, ma anche una motivazione («ecco perché l’ha fatto») che agli atti giudiziari non guarda più. Tra questi novemila abitanti quelli che incontri hanno idee che corrono oltre a una magistratura che scivola con serpentine da sciatore in discesa e salita lungo un’inchiesta diretta in modo disperante, tra Ris che vanno e vengono e conferenza stampa senza un porto dove arrivare. E’ l’unico indagato che decide quando sorridere, quando piangere, quando nascondersi e quando apparire. Ammesso che Stasi sia colpevole, Scattone e Ferraro - quelli processati e condannati a pene irrisorie per la morte di Marta Russo all’Università La Sapienza di Roma - descritti dai giornali come i teorici del delitto perfetto, gli gironzolano intorno come dilettanti. Il delitto perfetto esiste se non ti incastrano. E’ questa Garlasco che ha pianto. E’ una corte popolare che non ascolta accusa e difesa per orientarsi. Garlasco dei bar, dei ristoranti, degli incroci, degli alberghi, delle pizzerie e della discoteca che accoglie mezza provincia di Pavia ha deciso, riscopre un movente che la magistratura non ha ancora accertato. Alberto per mano a una ragazza davanti alle vetrine? La maschera. Che vuol dire, signora la maschera? «Che uno che se la fa con i pedofili deve fare finta di amare le donne». Non uno che ti dica: che ci faceva a consolarsi con lei morta da poco? Ma l’inquietudine vera sono i ragazzi. Sfogliano come per caso aneddoti, attimi, incontri, anche datati, che trascinano Stasi e un suo amico carissimo, compagno di viaggio, in un dipinto con i contorni già fatti, basta colorare. E’ facile adesso dire «sapevamo tutti che era gay». E’ più difficile quello che racconta un’amica di Chiara: «Era inquieta, era triste, era incerta. Non sapeva bene che cosa e come dirlo. Ma voleva sfogarsi. Parlava di lui senza spiegare il problema, non ne poteva più di una ossessione del suo uomo». Pornografia, dicono gli atti. Questo Chiara aveva scoperto. Ma qual era davvero la pornografia è quel che fa la differenza. Ce n’è una che puoi condividere, dice apertamente Fabio nel bar, con la tua compagna e ce n’è una che non confesserai mai a nessuno. «Agli amici sì». Agli amici, appunto. E’ così che nasce l’indagine parallela, tanto teorica quanto a ritroso, di una cittadina. C’è un amico di Alberto Stasi che vive qui, che è stato in giro con lui, che quella mattina, guarda caso, era al mare. Dopo la notizia del materiale pornografico e pedofilo con cui Alberto giocava cliccando, Garlasco vede un altro viso nell’altro ragazzo, cerca e scruta, legge anche al buio. Chiara morta ha segnato anche lui al di là di qualsiasi cammino processuale. In un bar in piena Garlasco, alle 9 di sera, un ragazzo giura di avere visto in quel computer immagini dove c’era anche Alberto: «Le ho viste, sì, ma era con l’amico, roba fra loro». Si parla di bambini, li hai visti almeno una volta? «Mai. Avrei vomitato o l’avrei massacrato d’istinto di botte». E Chiara? «Non la conoscevo, ma una sua amica ha detto una parola che capisco solo adesso: incredula». Incredula perché? Lei ha detto: «Chiara mi chiedeva: che senso ha? Era precipitata in un altro mondo».
La Stampa 22 dicembre 2007
Alberto tradito anche dagli amici
Chiara Poggi nel fotomontaggio con le due cugine
Tutti contro di lui: «Si sapeva che era gay»
MARCO NEIROTTI
GARLASCOMa se lo sapevate davvero tutti, era così difficile dirlo a Chiara, quando, a quanto sembra, cercava di buttare messaggi a un’amica: «C’è qualcosa non va, qualcosa di grave»? E’ questo il giorno dopo, in questa cittadina di novemila abitanti, benessere di commercio e artigianato e piccola industria e, soprattutto, memoria che va e che viene. Il giorno dopo la notizia dei bimbi nel computer è quando rispolveri tre parole di un amico, o qualcosa di simile a un amico o un conoscente, che racconta con entusiasmo - sembra stato d’estasi - di Alberto immerso con la fronte e il pensiero nello schermo. Immagini del peggio del peggio, pedofilia. Adesso, qui a Garlasco, scopri che lo sospettavano tutti o quasi, che comunque era strambo, proprio lui così perfetto. «Gli si leggeva in faccia», Cesare Lombroso ripescato con qualche pagina perduta al mercatino dell’usato. Alberto stava con Chiara Poggi, l’altro ieri era un gay notoriamente riconosciuto da tutti, oggi è un pedofilo, magari virtuale, sul quale nessuno aveva dubbi. In queste strade di un paese che negli anni ha perso la sua identità di pianura della quiete e ne ha riacquistata una anomala come è accaduto a Novi Ligure, a Cogne, Alberto è uno «visto qualche volta», «sì mi ricordo, forse». E’ evaporato fisicamente e pesa come una piramide costruita senza badare se il villaggio è stato evacuato. Hanno pianto con lui, dentro e fuori la chiesa, e adesso ricordano di avere intuito subito che «c’era qualcosa di strano». Si bisbiglia. E’ il contrasto più incredibile. Da una parte ci sono persone gentili e partecipi - «mi raccomando, un accenno al nostro locale nell’articolo, vi stiamo aiutando» - dall’altra ci sono stupori e incredulità. Nel mezzo ci sta non soltanto una sentenza, ma anche una motivazione («ecco perché l’ha fatto») che agli atti giudiziari non guarda più. Tra questi novemila abitanti quelli che incontri hanno idee che corrono oltre a una magistratura che scivola con serpentine da sciatore in discesa e salita lungo un’inchiesta diretta in modo disperante, tra Ris che vanno e vengono e conferenza stampa senza un porto dove arrivare. E’ l’unico indagato che decide quando sorridere, quando piangere, quando nascondersi e quando apparire. Ammesso che Stasi sia colpevole, Scattone e Ferraro - quelli processati e condannati a pene irrisorie per la morte di Marta Russo all’Università La Sapienza di Roma - descritti dai giornali come i teorici del delitto perfetto, gli gironzolano intorno come dilettanti. Il delitto perfetto esiste se non ti incastrano. E’ questa Garlasco che ha pianto. E’ una corte popolare che non ascolta accusa e difesa per orientarsi. Garlasco dei bar, dei ristoranti, degli incroci, degli alberghi, delle pizzerie e della discoteca che accoglie mezza provincia di Pavia ha deciso, riscopre un movente che la magistratura non ha ancora accertato. Alberto per mano a una ragazza davanti alle vetrine? La maschera. Che vuol dire, signora la maschera? «Che uno che se la fa con i pedofili deve fare finta di amare le donne». Non uno che ti dica: che ci faceva a consolarsi con lei morta da poco? Ma l’inquietudine vera sono i ragazzi. Sfogliano come per caso aneddoti, attimi, incontri, anche datati, che trascinano Stasi e un suo amico carissimo, compagno di viaggio, in un dipinto con i contorni già fatti, basta colorare. E’ facile adesso dire «sapevamo tutti che era gay». E’ più difficile quello che racconta un’amica di Chiara: «Era inquieta, era triste, era incerta. Non sapeva bene che cosa e come dirlo. Ma voleva sfogarsi. Parlava di lui senza spiegare il problema, non ne poteva più di una ossessione del suo uomo». Pornografia, dicono gli atti. Questo Chiara aveva scoperto. Ma qual era davvero la pornografia è quel che fa la differenza. Ce n’è una che puoi condividere, dice apertamente Fabio nel bar, con la tua compagna e ce n’è una che non confesserai mai a nessuno. «Agli amici sì». Agli amici, appunto. E’ così che nasce l’indagine parallela, tanto teorica quanto a ritroso, di una cittadina. C’è un amico di Alberto Stasi che vive qui, che è stato in giro con lui, che quella mattina, guarda caso, era al mare. Dopo la notizia del materiale pornografico e pedofilo con cui Alberto giocava cliccando, Garlasco vede un altro viso nell’altro ragazzo, cerca e scruta, legge anche al buio. Chiara morta ha segnato anche lui al di là di qualsiasi cammino processuale. In un bar in piena Garlasco, alle 9 di sera, un ragazzo giura di avere visto in quel computer immagini dove c’era anche Alberto: «Le ho viste, sì, ma era con l’amico, roba fra loro». Si parla di bambini, li hai visti almeno una volta? «Mai. Avrei vomitato o l’avrei massacrato d’istinto di botte». E Chiara? «Non la conoscevo, ma una sua amica ha detto una parola che capisco solo adesso: incredula». Incredula perché? Lei ha detto: «Chiara mi chiedeva: che senso ha? Era precipitata in un altro mondo».
La Stampa 22 dicembre 2007
Cantante Usa R. Kelly resta libero in processo pedopornografia
Reuters - Sab 22 Dic - 10.08
CHICAGO (Reuters) - Un giudice statunitense ha deciso di lasciare a piede libero il noto cantante di R&B R. Kelly, sotto processo per una vicenda di pornografia infantile, nonostante l'artista non si sia presentato nei giorni scorsi in tribunale per un'udienza.
I pubblici ministeri avevano chiesto che a Kelly fosse revocata la libertà su cauzione per aver disertato l'udienza, caduta nel mezzo di un tour di concerti di nove settimane per promuovere il suo nuovo disco, "Double Up".
Ma il giudice Vincent Gaughan della corte distrettuale di Cook County ha deciso che Kelly - doppia nomination per i Grammy 2008, e autore di album di cui si sono venduti milioni di copie - resti in libertà mentre le audizioni preliminari continuano.
L'avvocato del cantante ha spiegato che l'assenza - l'unica finora - è stata dovuta a un ritardo per neve in California e allo stop forzato imposto dalla polizia nello Utah per eccesso di velocità.
Kelly è stato accusato di pornografia infantile nel 2002, perché avrebbe realizzato un video di un rapporto sessuale avuto con una minorenne. L'artista ha sempre negato l'addebito.
Il processo è stato ripetutamente rinviato sulla scelta dei testimoni. Il giudice ha deciso ieri che l'inizio sia fissato ufficialmente per il 9 maggio 2008.
Il magistrato ha però anche ordinato a Kelly di cancellare l'ultima data del suo tour - il 13 gennaio, in Virgina - per poter essere all'udienza preliminare del 14.
CHICAGO (Reuters) - Un giudice statunitense ha deciso di lasciare a piede libero il noto cantante di R&B R. Kelly, sotto processo per una vicenda di pornografia infantile, nonostante l'artista non si sia presentato nei giorni scorsi in tribunale per un'udienza.
I pubblici ministeri avevano chiesto che a Kelly fosse revocata la libertà su cauzione per aver disertato l'udienza, caduta nel mezzo di un tour di concerti di nove settimane per promuovere il suo nuovo disco, "Double Up".
Ma il giudice Vincent Gaughan della corte distrettuale di Cook County ha deciso che Kelly - doppia nomination per i Grammy 2008, e autore di album di cui si sono venduti milioni di copie - resti in libertà mentre le audizioni preliminari continuano.
L'avvocato del cantante ha spiegato che l'assenza - l'unica finora - è stata dovuta a un ritardo per neve in California e allo stop forzato imposto dalla polizia nello Utah per eccesso di velocità.
Kelly è stato accusato di pornografia infantile nel 2002, perché avrebbe realizzato un video di un rapporto sessuale avuto con una minorenne. L'artista ha sempre negato l'addebito.
Il processo è stato ripetutamente rinviato sulla scelta dei testimoni. Il giudice ha deciso ieri che l'inizio sia fissato ufficialmente per il 9 maggio 2008.
Il magistrato ha però anche ordinato a Kelly di cancellare l'ultima data del suo tour - il 13 gennaio, in Virgina - per poter essere all'udienza preliminare del 14.
giovedì 20 dicembre 2007
Parte la petizione online per Madameweb. E lei si difende: non faccio niente di male
Giovedí 20.12.2007 09:55
Anna Ciriani alias Madameweb, la pornoprof sospesa dal servizio a causa di un suo video hard finito in Rete, si confessa. Lo fa svelando un lato cattolico insospettabile: figli dai salesiani, Bibbia sul comodino e la libertà per ognuno di fare "quello che vuole se non commette atti illeciti".
E commenta il suo video berlinese costatole il posto: "Mi sono divertita, ma non ho fatto male a nessuno". E si chiude nel silenzio, lei che è autrice di volumi su Napoleone e sulla seconda Guerra mondiale. Lei che al marito ha detto: "Se voglio trasgredire sono affari miei, non ammazzo nessuno". E il marito, Paolo, la difende: "Giovanni Scattone, condannato per omicidio, è supplente al liceo; la Franzoni cresce due bimbi. Mia moglie che male ha fatto per essere trattata così?".
LA PETIZIONE- "In Italia la sessualità è ancora un tabù. Però la "gente" sembra molto più avanti delle istituzioni in questo: in parecchi si stanno adoperando contro la decisione di sospendere "a divinis" Madameweb, solo per i suoi atteggiamenti osé fuori dal lavoro, e addirittura fuori dei confini nazionali".
Comincia così, su un noto sito della Rete, la richiesta di aderire alla petizione lanciata per Anna. Ecco come continua il testo: "La cappa che stanno facendo cadere sull' eros nelle sue manifestazioni più trasgressive preannuncia tempi bui, un puritanesimo di ritorno, patente o strisciante a seconda delle situazioni, che vuole mettere il cappio a chi alza la testa vivendo in prima persona con coraggio tutte le proprie azioni. Diciamo no a queste persecuzioni!"
Questo perché, scrive l'autore della petizione, "La docente in questione non insegnava a ragazzi ma a persone adulte, era già stata ghettizzata in un corso serale, non c'erano bambini da traumatizzare. Il diritto alla vita privata del cittadino è sacrosanto! Anche qui si raccolgono le firme contro la sospensione, che verranno inviate al ministero della pubblica istruzione".
Una richiesta online "contro la violazione del diritto alla vita privata di qualsiasi cittadino italiano". Ed esplode la polemica. Non è mancata una difesa a spada tratta della docente da parte dell'autore della petizione.
Che su un altro forum ha così scritto: "Ha ragione Madameweb. La sua filosofia è chiara: se vuoi unirti alla sua Weltanshaung ti aggreghi (ho visto quanti coraggiosi sono venuti a Berlino) altrimenti non rompi le palle criticando il tacco di una gnocca nuda in metro'..."
"E adesso - continua - i giornalisti aguzzini sono tutti lì che cercano un contatto con la bava alla bocca, dopo paginate di stronzate che hanno buttato giù per riempire le righe, tra un refuso e un errore da matita blu!". Ma lei? Lei reagisce e ci tiene a precisare: non sono una pornoprof, ma una donna che ama fare sesso. E la provocazione continua...
IN RETE- Madameweb si presenta così : “Sono una bella donna, alta 173 cm, capelli lunghi lisci ramati, occhi verdi, denti perfetti. Ho le gambe molto lunghe e un bel culo alto e sodo. Di seno ho una 6a molto soda”. Ora (per i suoi filmini a luci rosse e mostrati alla Fiera dell'Eros di Berlino), è stata sospesa dal servizio su disposizione del Direttore regionale scolastico.
"Il direttore scolastico regionale del Friuli Veneziaì Giulia Ugo Panetta - si legge in una nota - ha dato disposizione al dirigente scolastico competente, affinchè provveda a sospendere dal servizio l'insegnante del Centro territoriale di San Vito al Tagliamento, i cui comportamenti tenuti fuori dalla sede scolastica, sono risultati gravi ed in contrasto con l'azione educativa"
Affari libero cronaca
Anna Ciriani alias Madameweb, la pornoprof sospesa dal servizio a causa di un suo video hard finito in Rete, si confessa. Lo fa svelando un lato cattolico insospettabile: figli dai salesiani, Bibbia sul comodino e la libertà per ognuno di fare "quello che vuole se non commette atti illeciti".
E commenta il suo video berlinese costatole il posto: "Mi sono divertita, ma non ho fatto male a nessuno". E si chiude nel silenzio, lei che è autrice di volumi su Napoleone e sulla seconda Guerra mondiale. Lei che al marito ha detto: "Se voglio trasgredire sono affari miei, non ammazzo nessuno". E il marito, Paolo, la difende: "Giovanni Scattone, condannato per omicidio, è supplente al liceo; la Franzoni cresce due bimbi. Mia moglie che male ha fatto per essere trattata così?".
LA PETIZIONE- "In Italia la sessualità è ancora un tabù. Però la "gente" sembra molto più avanti delle istituzioni in questo: in parecchi si stanno adoperando contro la decisione di sospendere "a divinis" Madameweb, solo per i suoi atteggiamenti osé fuori dal lavoro, e addirittura fuori dei confini nazionali".
Comincia così, su un noto sito della Rete, la richiesta di aderire alla petizione lanciata per Anna. Ecco come continua il testo: "La cappa che stanno facendo cadere sull' eros nelle sue manifestazioni più trasgressive preannuncia tempi bui, un puritanesimo di ritorno, patente o strisciante a seconda delle situazioni, che vuole mettere il cappio a chi alza la testa vivendo in prima persona con coraggio tutte le proprie azioni. Diciamo no a queste persecuzioni!"
Questo perché, scrive l'autore della petizione, "La docente in questione non insegnava a ragazzi ma a persone adulte, era già stata ghettizzata in un corso serale, non c'erano bambini da traumatizzare. Il diritto alla vita privata del cittadino è sacrosanto! Anche qui si raccolgono le firme contro la sospensione, che verranno inviate al ministero della pubblica istruzione".
Una richiesta online "contro la violazione del diritto alla vita privata di qualsiasi cittadino italiano". Ed esplode la polemica. Non è mancata una difesa a spada tratta della docente da parte dell'autore della petizione.
Che su un altro forum ha così scritto: "Ha ragione Madameweb. La sua filosofia è chiara: se vuoi unirti alla sua Weltanshaung ti aggreghi (ho visto quanti coraggiosi sono venuti a Berlino) altrimenti non rompi le palle criticando il tacco di una gnocca nuda in metro'..."
"E adesso - continua - i giornalisti aguzzini sono tutti lì che cercano un contatto con la bava alla bocca, dopo paginate di stronzate che hanno buttato giù per riempire le righe, tra un refuso e un errore da matita blu!". Ma lei? Lei reagisce e ci tiene a precisare: non sono una pornoprof, ma una donna che ama fare sesso. E la provocazione continua...
IN RETE- Madameweb si presenta così : “Sono una bella donna, alta 173 cm, capelli lunghi lisci ramati, occhi verdi, denti perfetti. Ho le gambe molto lunghe e un bel culo alto e sodo. Di seno ho una 6a molto soda”. Ora (per i suoi filmini a luci rosse e mostrati alla Fiera dell'Eros di Berlino), è stata sospesa dal servizio su disposizione del Direttore regionale scolastico.
"Il direttore scolastico regionale del Friuli Veneziaì Giulia Ugo Panetta - si legge in una nota - ha dato disposizione al dirigente scolastico competente, affinchè provveda a sospendere dal servizio l'insegnante del Centro territoriale di San Vito al Tagliamento, i cui comportamenti tenuti fuori dalla sede scolastica, sono risultati gravi ed in contrasto con l'azione educativa"
Affari libero cronaca
mercoledì 19 dicembre 2007
Vinse Zecchino d'Oro con "Volevo un gatto nero", arrestata
Lecce, maestra faceva l'entraineuse
Nel 1969, vinse lo Zecchino d'Oro con la canzone "Volevo un gatto nero". Oggi, a 42 anni, è una maestra elementare ed è finita in manette per sfruttamento della prostituzione e spaccio di cocaina ed eroina. Secondo l'accusa, la donna che si era trasferita nel Pavese dove aveva vinto un concorso di insegnamento, gestiva tale attività in due centri massaggi nel Salento. Con lei è stato arrestato il convivente 29enne.
Le manette sono scattate per Vincenza Pastorelli, 42 anni, di Guagnano (Lecce) e per l'ex fidanzato, suo compaesano, Pasquale Trevisi, 29 anni. Lei si trovava a Stradella in provincia di Pavia, dove aveva iniziato l'anno scolastico come maestra elementare. Lui a Giovinazzo (Bari), dove si trovava in cura ospite di una Comunità terapeutica di recupero per tossicodipendenti.
La donna è stata arrestata dai carabinieri della Compagnia di Campi Salentina (Lecce). L'accusa, per lei, è di aver aperto due centri massaggi in cui faceva prostituire alcune ragazze, tra cui anche giovanissime, tenendo per sé il 50% dell'incasso. Mentre lui avrebbe cogestito i centri e svolto attività di spaccio all'esterno.
L'Operazione "Gatto Nero"
I militari dell'Arma, guidati dal capitano Giuseppe Pasquale, hanno portato a termine l'operazione (denominata "Gatto Nero") dopo aver avuto la certezza che nei centri massaggi si offrivano ben altre prestazioni. Fingendosi addetti a lavori di ristrutturazione edile, i carabinieri sono riusciti a piazzare delle telecamere nei locali. E a scoprire così cosa avveniva realmente nei locali.
Anche mille euro d'incasso al giorno
I carabinieri hanno appurato, che dopo una serie di annunci fatti pubblicare sui quotidiani leccesi, la coppia aveva gestito a Guagnano ed a Lecce, due case d'appuntamento, nelle quali si prostituivano quattro ragazze di Lecce, Bari, Gallipoli e Parabita, ed all'interno delle quali Trevisi avrebbe confezionato dosi di cocaina ed eroina, che poi vendeva fuori dalle case di appuntamento. Per le prestazioni, i clienti, di ogni età e fascia sociale, pagavano dai 60 ai 150 euro. In un giorno, l'incasso era anche di 1.000 euro, metà dei quali spettavano alla tenutaria, che pagava le spese dell'appartamento.Nelle case d'appuntamento camuffate da centri massaggi, la donna leggeva anche le carte ai clienti che volevano "previsioni" sul futuro. Dalle indagini, i militari hanno avuto il sospetto che la donna stesse organizzando un giro di prostituzione anche a Stradella o nella vicina Pavia.
"Massaggi" in subappalto
Le due case di Guagnano e Lecce sono state chiuse a fine agosto, quando la donna ha vinto la cattedra a Stradella, ed ha interrotto il rapporto col fidanzato. Per circa un mese, le due case sono state gestite dalle prostitute, che riconoscevano la percentuale alla Pastorelli, alla quale il contante veniva inviato con vaglia postali. Le richieste della donna alle ragazze erano sempre maggiori, e per aver i soldi, al telefono minacciava le prostitute. I due sono stati arrestati in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Maurizio Saso su richiesta del pm Guglielmo Cataldi.
Forse una terza casa al Nord
Gli investigatori ritengono che la maestra salentina, dopo il suo trasferimento nel Pavese, avesse avviato anche in una località settentrionale un'attività analoga a quella che secondo l'accusa svolgeva a Lecce, con un centro massaggi di fatto adibito allo sfruttamento della prostituzione. Nei due centri salentini - secondo gli investigatori - erano numerosissime le giovani donne che venivano sfruttate e minacciate. Dopo il trasferimento della 42/enne, i centri erano stati chiusi: sono stati comunque sequestrati dai carabinieri in concomitanza con l'arresto della coppia.
Vincenza Pastorelli si trova ora nel carcere di Vigevano.
Cino Tortorella addolorato
Il celebre Mago Zurlì, presentatore della manifestazione canora infantile, commenta così: "E' una brutta cosa, che mi addolora profondamente, mi dispiace soprattutto che si avvicini una notizia così sgradevole allo Zecchino d'oro. Da allora - prosegue - sono passati 600 bambini, ma soprattutto tutti quelli che hanno partecipato alle selezioni, piu' di un milione. Volevo un gatto nero - ricorda Tortorella - era una delle piu' belle canzoni dello Zecchino, scritte dal maestro Pagano, che è autore di molte altre bellissime canzoni dello Zecchino. E' stato un grosso successo in Giappone, dove il disco ha venduto più di tre milioni di copie". E aggiunge: "Mi dispiace molto di questa cosa, piuttosto sgradevole. Ma nella vita, su un milione di bambini puo' succedere. Comunque è molto triste". Poi conclude: "I bambini che hanno partecipato allo Zecchino ancora si rivedono, vengono a trovarci. Era Mariele (Ventre, ndr.) che teneva i contatti tra di loro. Ma questa bambina non ricordo si sia rivista...".
Nel 1969, vinse lo Zecchino d'Oro con la canzone "Volevo un gatto nero". Oggi, a 42 anni, è una maestra elementare ed è finita in manette per sfruttamento della prostituzione e spaccio di cocaina ed eroina. Secondo l'accusa, la donna che si era trasferita nel Pavese dove aveva vinto un concorso di insegnamento, gestiva tale attività in due centri massaggi nel Salento. Con lei è stato arrestato il convivente 29enne.
Le manette sono scattate per Vincenza Pastorelli, 42 anni, di Guagnano (Lecce) e per l'ex fidanzato, suo compaesano, Pasquale Trevisi, 29 anni. Lei si trovava a Stradella in provincia di Pavia, dove aveva iniziato l'anno scolastico come maestra elementare. Lui a Giovinazzo (Bari), dove si trovava in cura ospite di una Comunità terapeutica di recupero per tossicodipendenti.
La donna è stata arrestata dai carabinieri della Compagnia di Campi Salentina (Lecce). L'accusa, per lei, è di aver aperto due centri massaggi in cui faceva prostituire alcune ragazze, tra cui anche giovanissime, tenendo per sé il 50% dell'incasso. Mentre lui avrebbe cogestito i centri e svolto attività di spaccio all'esterno.
L'Operazione "Gatto Nero"
I militari dell'Arma, guidati dal capitano Giuseppe Pasquale, hanno portato a termine l'operazione (denominata "Gatto Nero") dopo aver avuto la certezza che nei centri massaggi si offrivano ben altre prestazioni. Fingendosi addetti a lavori di ristrutturazione edile, i carabinieri sono riusciti a piazzare delle telecamere nei locali. E a scoprire così cosa avveniva realmente nei locali.
Anche mille euro d'incasso al giorno
I carabinieri hanno appurato, che dopo una serie di annunci fatti pubblicare sui quotidiani leccesi, la coppia aveva gestito a Guagnano ed a Lecce, due case d'appuntamento, nelle quali si prostituivano quattro ragazze di Lecce, Bari, Gallipoli e Parabita, ed all'interno delle quali Trevisi avrebbe confezionato dosi di cocaina ed eroina, che poi vendeva fuori dalle case di appuntamento. Per le prestazioni, i clienti, di ogni età e fascia sociale, pagavano dai 60 ai 150 euro. In un giorno, l'incasso era anche di 1.000 euro, metà dei quali spettavano alla tenutaria, che pagava le spese dell'appartamento.Nelle case d'appuntamento camuffate da centri massaggi, la donna leggeva anche le carte ai clienti che volevano "previsioni" sul futuro. Dalle indagini, i militari hanno avuto il sospetto che la donna stesse organizzando un giro di prostituzione anche a Stradella o nella vicina Pavia.
"Massaggi" in subappalto
Le due case di Guagnano e Lecce sono state chiuse a fine agosto, quando la donna ha vinto la cattedra a Stradella, ed ha interrotto il rapporto col fidanzato. Per circa un mese, le due case sono state gestite dalle prostitute, che riconoscevano la percentuale alla Pastorelli, alla quale il contante veniva inviato con vaglia postali. Le richieste della donna alle ragazze erano sempre maggiori, e per aver i soldi, al telefono minacciava le prostitute. I due sono stati arrestati in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Maurizio Saso su richiesta del pm Guglielmo Cataldi.
Forse una terza casa al Nord
Gli investigatori ritengono che la maestra salentina, dopo il suo trasferimento nel Pavese, avesse avviato anche in una località settentrionale un'attività analoga a quella che secondo l'accusa svolgeva a Lecce, con un centro massaggi di fatto adibito allo sfruttamento della prostituzione. Nei due centri salentini - secondo gli investigatori - erano numerosissime le giovani donne che venivano sfruttate e minacciate. Dopo il trasferimento della 42/enne, i centri erano stati chiusi: sono stati comunque sequestrati dai carabinieri in concomitanza con l'arresto della coppia.
Vincenza Pastorelli si trova ora nel carcere di Vigevano.
Cino Tortorella addolorato
Il celebre Mago Zurlì, presentatore della manifestazione canora infantile, commenta così: "E' una brutta cosa, che mi addolora profondamente, mi dispiace soprattutto che si avvicini una notizia così sgradevole allo Zecchino d'oro. Da allora - prosegue - sono passati 600 bambini, ma soprattutto tutti quelli che hanno partecipato alle selezioni, piu' di un milione. Volevo un gatto nero - ricorda Tortorella - era una delle piu' belle canzoni dello Zecchino, scritte dal maestro Pagano, che è autore di molte altre bellissime canzoni dello Zecchino. E' stato un grosso successo in Giappone, dove il disco ha venduto più di tre milioni di copie". E aggiunge: "Mi dispiace molto di questa cosa, piuttosto sgradevole. Ma nella vita, su un milione di bambini puo' succedere. Comunque è molto triste". Poi conclude: "I bambini che hanno partecipato allo Zecchino ancora si rivedono, vengono a trovarci. Era Mariele (Ventre, ndr.) che teneva i contatti tra di loro. Ma questa bambina non ricordo si sia rivista...".
RIGNANO: INDAGINE PROSEGUE,SI CERCA ANCORA CASA DEGLI ORRORI
(ANSA) - RIGNANO FLAMINIO (ROMA), 14 DIC -
Non si e' mai fermata l'attivita' investigativa dei carabinieri della
compagnia di Bracciano nell'ambito dell'inchiesta sui presunti
episodi di pedofilia che sarebbero avvenuti nella scuola materna
'Olga Rovere' di Rignano Flaminio. Su mandato della procura
della Repubblica di Tivoli, infatti, i militari hanno raccolto
nuove deposizioni ed hanno eseguito altri sopralluoghi.
In particolare hanno continuato a cercare ''il castello'',
cioe' la casa degli orrori in cui, secondo i bambini sottoposti
ad incidente probatorio sarebbero avvenuti ''i cattivi giochi''.
Ma finora le ricerche non avrebbero dato esito.
Secondo indiscrezioni, nemmeno dall'esame dei computer
sequestrati agli indagati sarebbe emerso alcun elemento utile
alle indagini. Comunque, gli hard disk saranno nuovamente
analizzati dagli esperti della polizia postale. (ANSA).
Non si e' mai fermata l'attivita' investigativa dei carabinieri della
compagnia di Bracciano nell'ambito dell'inchiesta sui presunti
episodi di pedofilia che sarebbero avvenuti nella scuola materna
'Olga Rovere' di Rignano Flaminio. Su mandato della procura
della Repubblica di Tivoli, infatti, i militari hanno raccolto
nuove deposizioni ed hanno eseguito altri sopralluoghi.
In particolare hanno continuato a cercare ''il castello'',
cioe' la casa degli orrori in cui, secondo i bambini sottoposti
ad incidente probatorio sarebbero avvenuti ''i cattivi giochi''.
Ma finora le ricerche non avrebbero dato esito.
Secondo indiscrezioni, nemmeno dall'esame dei computer
sequestrati agli indagati sarebbe emerso alcun elemento utile
alle indagini. Comunque, gli hard disk saranno nuovamente
analizzati dagli esperti della polizia postale. (ANSA).
DENISE: PIETRO PULIZZI, LE MIE FIGLIE I MIEI DRAMMI
(AGI) - Palermo, 17 dic. - Parla Pietro Pulizzi, il padre naturale della piccola Denise Pipitone, la bimba rapita a Mazara del Vallo (Trapani) l’1 settembre 2004. “Hanno detto che so dove si trova Denise e chi l’ha rapita: magari lo sapessi - ha affermato davanti alle telecamere di ‘Chi l’ha visto?’ - sarebbe finito tutto, sarebbe terminata questa angoscia. Invece, oggi sto vivendo due drammi: quello della mancanza di una figlia sparita nel nulla, e il dramma di un’altra figlia indagata per il suo sequestro. E’ terribile”. Il riferimento e’ a Jessica Pulizzi, la sorellastra di Denise, indagata per sequestro di persona, come la zia della bimba rapita, Rosalba Pulizzi. (AGI)Mrg
Omicidio Garlasco,il Garante della Privacy interviene contro i media
18/12/2007 - 18.21
"La pubblicazione delle mail tra Alberto Stasi e Chiara Poggi, pubblicate da quotidiano Libero "sono state inutile lesione della sfera intima dei ragazzi"
"La pubblicazione delle e-mail scambiate tra Alberto Stasi e Chiara Poggi è una inutile lesione della sfera piú intima dei due giovani". Il Garante della privacy (Francesco Pizzetti, Giuseppe Chiaravalloti, Mauro Paissan, Giuseppe Fortunato) interviene - dopo una segnalazione relativa alla pubblicazione sul quotidiano "Libero" della corrispondenza privata tra i due protagonisti del caso di Garlasco e tra Alberto Stasi e la madre - per richiamare i mezzi di informazione al rispetto delle riservatezza delle persone coinvolte nella vicenda. "In questo come in altri casi, sottolinea l'Autorità, pur nel diritto dovere di informare su vicende di interesse pubblico, i mezzi di informazione devono astenersi dal diffondere dettagli e particolari che violino l'intimità stessa tra due persone. A maggior ragione quando una delle due persone è defunta e quando tali dettagli non presentano alcun elemento di rilevante interesse per una maggiore comprensione del caso". (Edf).
"La pubblicazione delle mail tra Alberto Stasi e Chiara Poggi, pubblicate da quotidiano Libero "sono state inutile lesione della sfera intima dei ragazzi"
"La pubblicazione delle e-mail scambiate tra Alberto Stasi e Chiara Poggi è una inutile lesione della sfera piú intima dei due giovani". Il Garante della privacy (Francesco Pizzetti, Giuseppe Chiaravalloti, Mauro Paissan, Giuseppe Fortunato) interviene - dopo una segnalazione relativa alla pubblicazione sul quotidiano "Libero" della corrispondenza privata tra i due protagonisti del caso di Garlasco e tra Alberto Stasi e la madre - per richiamare i mezzi di informazione al rispetto delle riservatezza delle persone coinvolte nella vicenda. "In questo come in altri casi, sottolinea l'Autorità, pur nel diritto dovere di informare su vicende di interesse pubblico, i mezzi di informazione devono astenersi dal diffondere dettagli e particolari che violino l'intimità stessa tra due persone. A maggior ragione quando una delle due persone è defunta e quando tali dettagli non presentano alcun elemento di rilevante interesse per una maggiore comprensione del caso". (Edf).
martedì 18 dicembre 2007
PEDOFILIA: ABUSAVA DELLA FIGLIA, ARRESTATO GIOVANE NEL CATANZARESE
PEDOFILIA: ABUSAVA DELLA FIGLIA, ARRESTATO GIOVANE CATANZARESE
(AGI) - Catanzaro, 18 dic. - Un giovane professionista, accusato di aver commesso degli abusi sessuali nei confronti della figlia, una bambina in eta’ prescolare, e’ stato arrestato da agenti della sezione specializzata nel contrasto dei reati in danno di minori della Squadra Mobile di Catanzaro. L’applicazione della misura cautelare in carcere e’ stata disposta dal Gip Camillo Falvo il quale ha cosi’ accolto la richiesta avanzata dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo Simona Rossi, coordinatrice delle indagini. L’attivita’ investigativa della Polizia era partita da una denuncia sporta dalla madre della piccola, separata dall’arrestato, allarmata dai primi racconti della figlia che avrebbero trovato dei riscontri oggettivi negli sviluppi dell’inchiesta. Dalla perizia informatica effettuata sul computer dell’uomo, a seguito di una perquisizione domiciliare, e’ anche risultato che l’arerstato deteneva e divulgava attraverso la rete di Internet materiale pedo-pornografico. Proprio la pista di internet e’ ancora al vaglio degli inquirenti che non escludono sviluppi della vicenda. (AGI)Adv
(AGI) - Catanzaro, 18 dic. - Un giovane professionista, accusato di aver commesso degli abusi sessuali nei confronti della figlia, una bambina in eta’ prescolare, e’ stato arrestato da agenti della sezione specializzata nel contrasto dei reati in danno di minori della Squadra Mobile di Catanzaro. L’applicazione della misura cautelare in carcere e’ stata disposta dal Gip Camillo Falvo il quale ha cosi’ accolto la richiesta avanzata dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo Simona Rossi, coordinatrice delle indagini. L’attivita’ investigativa della Polizia era partita da una denuncia sporta dalla madre della piccola, separata dall’arrestato, allarmata dai primi racconti della figlia che avrebbero trovato dei riscontri oggettivi negli sviluppi dell’inchiesta. Dalla perizia informatica effettuata sul computer dell’uomo, a seguito di una perquisizione domiciliare, e’ anche risultato che l’arerstato deteneva e divulgava attraverso la rete di Internet materiale pedo-pornografico. Proprio la pista di internet e’ ancora al vaglio degli inquirenti che non escludono sviluppi della vicenda. (AGI)Adv
Piera Maggio: "Mia figlia è ancora viva"
Piera Maggio, la madre della piccola Denise Pipitone, scomparsa a Mazara del Vallo lo scorso 1 settembre 2004, è sicura che sua figlia sia ancora viva. In un'intervista a Buona Domenica, su Canale 5, Piera Maggio ha ribadito: "Denise e' ancora su questa terra, ho dei segnali certi". Secondo la procura di Marsala in base alle dichiarazioni di Giuseppe Dassaro, la bimba sarebbe invece morta. Dassaro, infatti, ha confessato di aver gettato in mare il corpo della piccola, accusando anche la ex moglie, Rosalia Pulizzi, indicandola come la persona che avrebbe tenuto sotto chiave la la bambina dopo la sua scomparsa. Ma la madre di Denise non crede a questa ipotesi, "è un legame il mio, che mi permette di andare avanti e di credere", ha detto, ospite di Paola Perego a Buona Domenica. "Non c'è una fatto che dimostri il contrario - prosegue la madre di Denise - e tutte le parole dette in questi giorni le tengo a distanza, perché non credo che siano vere". "Io non dico che mia figlia non possa essere morta - continua ancora la Maggio - ma il mio istinto, chiamatelo speranza o disperazione, mi dice il contrario. Non mi sono mai arresa, e non mi arrenderò, non foss'altro che per tenere viva l'attenzione sulla sua sparizione". La madre di Denise Pipitone, a distanza di tre anni e tre mesi dalla scomparsa della figlia, ha raccontato alla conduttrice Paola Perego che in tutto questo tempo ha sospettato di tutti, anche di coloro a cui ha voluto bene, proprio per cercare di capire dove fosse stata portata la bimba che oggi avrebbe 7 anni. E quando potrà riabbracciarla, la più grande paura "è che non si ricorderà di me, ho paura che non ritroverò più la Denise che ho lasciato, quella che adoravo baciare nelle guanciotte e con cui giocavo - conclude Piera - ma l'amo più della mia vita e continuerò a farlo fino a che non mi toglierannol'ultima speranza".
Violenza sessuale: coniugi condannati per abusi su figli
Giudici, concorso morale della moglie
(ANSA)- MILANO, 17 DIC- Nove anni di reclusione a lui, sei a lei: queste le condanne a due coniugi accusati di avere sottoposto ad abusi sessuali i propri tre figli. Il collegio giudicante ha accolto le conclusioni del sostituto procuratore generale Piero De Petris, che ha ritenuto sussistente il concorso morale della donna e quello materiale dell'uomo nei fatti di violenza, compiuti anche da altre persone.
(ANSA)- MILANO, 17 DIC- Nove anni di reclusione a lui, sei a lei: queste le condanne a due coniugi accusati di avere sottoposto ad abusi sessuali i propri tre figli. Il collegio giudicante ha accolto le conclusioni del sostituto procuratore generale Piero De Petris, che ha ritenuto sussistente il concorso morale della donna e quello materiale dell'uomo nei fatti di violenza, compiuti anche da altre persone.
Mafia:tra'pizzini'Provenzano anche appunti su cure impotenza
(ANSA) - PALERMO, 17 DIC - Preoccupato per la sua virilita', il boss Provenzano, durante la latitanza, fece una ricerca che trascrisse su un 'pizzino'. I timori di Provenzano nascevano in seguito ad una malattia. Il fogliettino con gli appunti fa parte della copiosa documentazione ritrovata dalla polizia nel covo di Montagna dei Cavalli dove fu arrestato.Quello sull'impotenza e sugli eventuali rimedi non sarebbe l'unico 'pizzino' relativo a problemi di salute ritrovato nel nascondiglio.
Mafia: arrestato infermiere che curava Provenzano
Gaetano Lipari, 47 anni nei 'pizzini' aveva il numero 60
(ANSA) - PALERMO, 17 DIC - L'infermiere che ha curato durante la latitanza il boss Bernardo Provenzano e' stato arrestato stamani nel Palermitano. Si tratta di Gaetano Lipari, 47 anni, infermiere professionale, consigliere comunale di una lista civica, ad Altavilla Milicia, (Palermo). L'arresto e' stato eseguito da polizia e carabinieri. Nel linguaggio cifrato usato da Provenzano nei 'pizzini', Lipari corrisponderebbe al numero 60.
(ANSA) - PALERMO, 17 DIC - L'infermiere che ha curato durante la latitanza il boss Bernardo Provenzano e' stato arrestato stamani nel Palermitano. Si tratta di Gaetano Lipari, 47 anni, infermiere professionale, consigliere comunale di una lista civica, ad Altavilla Milicia, (Palermo). L'arresto e' stato eseguito da polizia e carabinieri. Nel linguaggio cifrato usato da Provenzano nei 'pizzini', Lipari corrisponderebbe al numero 60.
domenica 16 dicembre 2007
Denise: madre, ''Ho segnali che mia figlia e' viva''
16 dic 15:29 Cronache
PALERMO, 16 DIC - ''Ho segnali, in un certo senso, che mi dicono che Denise e' viva, anche perche' non c'e' alcuna circostanza che indichi il contrario''. A dirlo nello studio di Buona Domenica su Canale 5, Piera Maggio, la madre di Denise Pipitone, scomparsa il primo settembre del 2004 a Mazara del Vallo. (Agr)
16 dic 15:29 Cronache
PALERMO, 16 DIC - ''Ho segnali, in un certo senso, che mi dicono che Denise e' viva, anche perche' non c'e' alcuna circostanza che indichi il contrario''. A dirlo nello studio di Buona Domenica su Canale 5, Piera Maggio, la madre di Denise Pipitone, scomparsa il primo settembre del 2004 a Mazara del Vallo. (Agr)
Manager spregiudicati: ormai la cronaca è a pagamento
redazione Domenica 16 Dicembre 2007 alle 10:44
Patrick Lumumba, coinvolto nel giallo di Perugia
di Annalia Venezia
Gialli intricati? Scandali di provincia? Assassini che diventano star? Ecco un manager per ogni esigenza. E preparate il carnet degli assegni, se volete partecipare all’asta e aggiudicarvi gli ultimi protagonisti della cronaca. C’è chi lo chiama il borsino dell’orrore, chi parla di febbre da cronaca vera, chi di mercato impazzito (come si fa con le bolle finanziarie) e chi infine alza le spalle e ricorda che, quando ogni cosa ha un prezzo, è difficile distinguere tra prezzi buoni e prezzi cattivi. Così i casi di cronaca che si trasformano in gossip e quindi in affare grazie a questi press agent spericolati ormai stanno diventando numerosi. Vi dice niente il nome di Fabrizio Corona? Ebbene, non è più solo.“Io mi occupo di comunicare l’immagine dei miei personaggi. Punto” dice l’ex pupillo di Lele Mora, Francesco Soprani Chiesa. L’ultimo “dei suoi personaggi” è don Sante Sguotti, l’ex parroco di Monterosso Abano, diventato padre. È apparso in studio a Buona domenica per raccontare la sua storia e tornerà altre due volte. Prezzo chiesto: 6 mila euro a puntata.E se quella era cronaca rosa, la cronaca nera non è da meno. Patrick Lumumba viene scarcerato dopo essere stato accusato dell’omicidio della studentessa Meredith Kercher e Chiesa bussa alla sua porta. “Sei un personaggio, la tua storia vende, fidati di me. E firma qui”. Zac, il gioco è fatto.“La prima intervista di Lumumba al giornale inglese Daily Mirror ha fruttato a Chiesa 70 mila euro” racconta il direttore di Oggi Pino Belleri. E per la prima in tv, a Matrix, il tariffario indicava 25 mila.Lumumba sul mercato dell’informazione oggi non vale più molto perché ormai ha detto tutto. Però sa fare il dj e presto terrà serate nei locali: costo per i gestori, 3 mila euro a esibizione. La prima sarà in un noto locale milanese.
Don Sante Sguotti, innamorato di una parrocchiana, da cui avrebbe avuto un figlio
Tra i due, al momento, il prete è meno inflazionato e frutta di più. Solo pochi giorni fa si è conclusa l’asta tra i settimanali di cronaca rosa. Ha vinto Gente e sulla rivista ora sorride tutta la famiglia al completo: il parroco, la compagna e il bambino. Costo del servizio con intervista: altri 15 mila euro.“Dopo un’esclusiva deve passare almeno una settimana prima che io possa permettere al mio personaggio di parlare con un altro giornalista” spiega il manager, contratto alla mano. “Per Panorama potrei fare un’eccezione perché non è un giornale di cronaca rosa”. Anche sul cachet? “Sì, il compenso per don Sguotti lo chiediamo solo ai giornali di gossip”. Ma l’ex prete ha già parlato con tutti. E presto, come Lumumba, avrà esaurito le richieste.“Il manager ha proposto anche a me l’intervista al prete, ma io non ero interessato” racconta il direttore di Oggi Belleri. “Non c’era chiarezza sul servizio fotografico: avrei dovuto comprare un pacchetto a occhi chiusi senza sapere che cosa ci fosse dentro”.Chiesa è un esperto nel settore. Appena fiuta che un personaggio ha il giusto appeal lo blinda con un contratto di 10 mila euro. E tutto quello che arriva extra è suo. Ma l’impresario piacentino non è il solo a trattare casi di cronaca. Prima di lui il re del mercato era Fabrizio Corona. Sono passati 2 anni dall’intervista che Donato Broco, in arte Patrizia, il transessuale che era con Lapo Elkann la notte dello scandalo, rilasciò al giornale Chi. L’intermediario Corona era riuscito a portare a casa un assegno di molte migliaia di euro, di cui una parte era andata al trans.
Azouz Marzouk, la moglie e il figlio sono morti nella strage di Erba
Un anno dopo Corona aggancia Azouz Marzouk, il giovane tunisino divenuto famoso per la strage di Erba, quando Olindo Romano e Rosa Bazzi gli hanno ucciso la moglie e il figlio. All’epoca Corona aveva ingaggiato Azouz (ingiustamente sospettato del duplice delitto) nella sua scuderia e il 24 gennaio si era presentato ai funerali in Tunisia con maglietta griffata “Corona’s” e fotografi al seguito. Oggi il tunisino è finito in prigione per spaccio di droga ma Corona continua a occuparsi di lui.Chi spera in un’intervista dal carcere deve preparare almeno 5 mila euro. E mettersi in fila se desidera le dichiarazioni il giorno della scarcerazione. In tv, un’esclusiva con lui oggi la si offre per 30 mila euro.Corona ha comunque superato tutti dopo essere finito in manette nell’ambito dell’inchiesta Vallettopoli: appena tornato a casa, ha monetizzato la sua stessa vita. Prima personalizzando una linea di biancheria intima e poi offrendo interviste esclusive a pagamento (alcune sulla sua vita matrimoniale gli sono valse 50 mila euro) e serate in discoteca dove chiedeva 10 mila euro per 2 ore.Nel mercato della cronaca da vendere si è affacciato anche Alessio Sundas, manager fiorentino di vip e presunti tali. Il suo ultimo acquisto in scuderia è Marco Ahmetovic, il romeno che ad aprile ha investito e ucciso da ubriaco quattro sedicenni di Appignano del Tronto. Per garantirselo gli ha offerto 8 mila euro. E per far capire di essere un rampante emergente è andato a insidiare anche il campo di gioco di Corona, contattando Azouz.Sundas ha in mano la bozza del contratto che ha consegnato all’avvocato Roberto Tropenscovino, difensore di Marzouk. “Gli ho offerto 55 mila euro per scrivere un libro e lui ha accettato” assicura. Corona non l’ha presa bene. “Sundas non è un manager, specula sulle disgrazie altrui per farsi pubblicità” attacca. “Ha messo sotto contratto uno che ha ucciso perché guidava ubriaco. Sono scandalizzato”.Risentita la replica di Sundas: “Da che pulpito, parla il re degli speculatori”.Ed è una escalation quando il manager fiorentino mostra le raccomandate inviate agli indagati Alberto Stasi, Raffaele Sollecito, Amanda Knox e persino a Luca Delfino, l’assassino ligure della sua ex fidanzata Maria Antonietta Multari (accoltellata in strada perché non voleva tornare con lui). A tutti ha offerto 50 mila euro per le loro memorie. Non ha lasciato in pace neanche le gemelle Cappa di Garlasco, corteggiate da Corona già mesi fa. A loro ha proposto un contratto di 20 mila euro per una linea di occhiali.
Fonte: Panorama 16 dicembre 2007
Patrick Lumumba, coinvolto nel giallo di Perugia
di Annalia Venezia
Gialli intricati? Scandali di provincia? Assassini che diventano star? Ecco un manager per ogni esigenza. E preparate il carnet degli assegni, se volete partecipare all’asta e aggiudicarvi gli ultimi protagonisti della cronaca. C’è chi lo chiama il borsino dell’orrore, chi parla di febbre da cronaca vera, chi di mercato impazzito (come si fa con le bolle finanziarie) e chi infine alza le spalle e ricorda che, quando ogni cosa ha un prezzo, è difficile distinguere tra prezzi buoni e prezzi cattivi. Così i casi di cronaca che si trasformano in gossip e quindi in affare grazie a questi press agent spericolati ormai stanno diventando numerosi. Vi dice niente il nome di Fabrizio Corona? Ebbene, non è più solo.“Io mi occupo di comunicare l’immagine dei miei personaggi. Punto” dice l’ex pupillo di Lele Mora, Francesco Soprani Chiesa. L’ultimo “dei suoi personaggi” è don Sante Sguotti, l’ex parroco di Monterosso Abano, diventato padre. È apparso in studio a Buona domenica per raccontare la sua storia e tornerà altre due volte. Prezzo chiesto: 6 mila euro a puntata.E se quella era cronaca rosa, la cronaca nera non è da meno. Patrick Lumumba viene scarcerato dopo essere stato accusato dell’omicidio della studentessa Meredith Kercher e Chiesa bussa alla sua porta. “Sei un personaggio, la tua storia vende, fidati di me. E firma qui”. Zac, il gioco è fatto.“La prima intervista di Lumumba al giornale inglese Daily Mirror ha fruttato a Chiesa 70 mila euro” racconta il direttore di Oggi Pino Belleri. E per la prima in tv, a Matrix, il tariffario indicava 25 mila.Lumumba sul mercato dell’informazione oggi non vale più molto perché ormai ha detto tutto. Però sa fare il dj e presto terrà serate nei locali: costo per i gestori, 3 mila euro a esibizione. La prima sarà in un noto locale milanese.
Don Sante Sguotti, innamorato di una parrocchiana, da cui avrebbe avuto un figlio
Tra i due, al momento, il prete è meno inflazionato e frutta di più. Solo pochi giorni fa si è conclusa l’asta tra i settimanali di cronaca rosa. Ha vinto Gente e sulla rivista ora sorride tutta la famiglia al completo: il parroco, la compagna e il bambino. Costo del servizio con intervista: altri 15 mila euro.“Dopo un’esclusiva deve passare almeno una settimana prima che io possa permettere al mio personaggio di parlare con un altro giornalista” spiega il manager, contratto alla mano. “Per Panorama potrei fare un’eccezione perché non è un giornale di cronaca rosa”. Anche sul cachet? “Sì, il compenso per don Sguotti lo chiediamo solo ai giornali di gossip”. Ma l’ex prete ha già parlato con tutti. E presto, come Lumumba, avrà esaurito le richieste.“Il manager ha proposto anche a me l’intervista al prete, ma io non ero interessato” racconta il direttore di Oggi Belleri. “Non c’era chiarezza sul servizio fotografico: avrei dovuto comprare un pacchetto a occhi chiusi senza sapere che cosa ci fosse dentro”.Chiesa è un esperto nel settore. Appena fiuta che un personaggio ha il giusto appeal lo blinda con un contratto di 10 mila euro. E tutto quello che arriva extra è suo. Ma l’impresario piacentino non è il solo a trattare casi di cronaca. Prima di lui il re del mercato era Fabrizio Corona. Sono passati 2 anni dall’intervista che Donato Broco, in arte Patrizia, il transessuale che era con Lapo Elkann la notte dello scandalo, rilasciò al giornale Chi. L’intermediario Corona era riuscito a portare a casa un assegno di molte migliaia di euro, di cui una parte era andata al trans.
Azouz Marzouk, la moglie e il figlio sono morti nella strage di Erba
Un anno dopo Corona aggancia Azouz Marzouk, il giovane tunisino divenuto famoso per la strage di Erba, quando Olindo Romano e Rosa Bazzi gli hanno ucciso la moglie e il figlio. All’epoca Corona aveva ingaggiato Azouz (ingiustamente sospettato del duplice delitto) nella sua scuderia e il 24 gennaio si era presentato ai funerali in Tunisia con maglietta griffata “Corona’s” e fotografi al seguito. Oggi il tunisino è finito in prigione per spaccio di droga ma Corona continua a occuparsi di lui.Chi spera in un’intervista dal carcere deve preparare almeno 5 mila euro. E mettersi in fila se desidera le dichiarazioni il giorno della scarcerazione. In tv, un’esclusiva con lui oggi la si offre per 30 mila euro.Corona ha comunque superato tutti dopo essere finito in manette nell’ambito dell’inchiesta Vallettopoli: appena tornato a casa, ha monetizzato la sua stessa vita. Prima personalizzando una linea di biancheria intima e poi offrendo interviste esclusive a pagamento (alcune sulla sua vita matrimoniale gli sono valse 50 mila euro) e serate in discoteca dove chiedeva 10 mila euro per 2 ore.Nel mercato della cronaca da vendere si è affacciato anche Alessio Sundas, manager fiorentino di vip e presunti tali. Il suo ultimo acquisto in scuderia è Marco Ahmetovic, il romeno che ad aprile ha investito e ucciso da ubriaco quattro sedicenni di Appignano del Tronto. Per garantirselo gli ha offerto 8 mila euro. E per far capire di essere un rampante emergente è andato a insidiare anche il campo di gioco di Corona, contattando Azouz.Sundas ha in mano la bozza del contratto che ha consegnato all’avvocato Roberto Tropenscovino, difensore di Marzouk. “Gli ho offerto 55 mila euro per scrivere un libro e lui ha accettato” assicura. Corona non l’ha presa bene. “Sundas non è un manager, specula sulle disgrazie altrui per farsi pubblicità” attacca. “Ha messo sotto contratto uno che ha ucciso perché guidava ubriaco. Sono scandalizzato”.Risentita la replica di Sundas: “Da che pulpito, parla il re degli speculatori”.Ed è una escalation quando il manager fiorentino mostra le raccomandate inviate agli indagati Alberto Stasi, Raffaele Sollecito, Amanda Knox e persino a Luca Delfino, l’assassino ligure della sua ex fidanzata Maria Antonietta Multari (accoltellata in strada perché non voleva tornare con lui). A tutti ha offerto 50 mila euro per le loro memorie. Non ha lasciato in pace neanche le gemelle Cappa di Garlasco, corteggiate da Corona già mesi fa. A loro ha proposto un contratto di 20 mila euro per una linea di occhiali.
Fonte: Panorama 16 dicembre 2007
sabato 15 dicembre 2007
Un anno fa la strage di Como. Da allora altre vittime
Corriere di Como 15 dicembre 2007
I precedenti
Le coltellate che giovedì sera, a Como, a una dozzina di giorni di distanza dal Natale, hanno ucciso Fredy Smith, crollato in una pozza di sangue all'interno del suo appartamento, rimandano immediatamente alla strage di Erba. Perché anche in quel caso le vittime furono uccise a coltellate, perché anche allora si trattò di un delitto compiuto fra le quattro mura di un condominio, ma soprattutto perché anche allora - era la sera dell'11 dicembre del 2006 - nelle strade già brillavano le luminarie che annunciavano il Natale.Le similitudini, però, si fermano qui. La strage che sconvolse non soltanto la Brianza e il Lario, ma l'intera Penisola - per la quale sono stati rinviati a giudizio i coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano - fu infatti il tragico epilogo, almeno questa è la ricostruzione fatta dagli inquirenti, di liti frequenti fra vicini di casa. Senza dimenticare che un anno fa le vittime furono addirittura quattro: Raffaella Castagna, il piccolo Youssef, la madre della donna, Paola Galli, e Valeria Cherubini.Per il delitto di Tavernola, invece, ancora si devono delineare con chiarezza i contorni, ancora si deve far luce sul movente, dunque nulla si può dire. Ancora non si sa se il rancore sia anche in questo caso il tragico filo conduttore delle coltellate sferrate a una manciata di giorni dal Natale.Resta il fatto che, a un anno di distanza, il sangue torna a scorrere nel Comasco. Una provincia che, nei dodici mesi intercorsi fra la strage nel cortile di via Diaz a Erba e le coltellate mortali sferrate in via Polano a Tavernola, ha registrato, per fortuna, un numero limitato di omicidi. Due.Il primo all'inizio di quest'anno, il 4 gennaio, quando nella casa di riposo della 'Divina Provvidenza' in via Tommaso Grossi a Como un pensionato di 72 anni ha ucciso, mettendogli un cuscino sulla faccia, un altro ospite della struttura, Ernesto Pagani, di 78 anni, suo vicino di stanza.Il secondo fatto di sangue è avvenuto a Camnago Faloppio, nella notte fra il 23 e il 24 febbraio scorsi. La vittima è Mourad Yedaye, 35enne tunisino, convivente della figlia di Giuseppe Caccia, operaio frontaliere di 48 anni accusato di avere ucciso l'immigrato con due colpi di fucile sparati a distanza ravvicinata.Da gennaio a oggi, tuttavia, il Lario ha dovuto piangere un'altra vittima della violenza. Tamara Monti, 38 anni, nativa di Cantù e cresciuta a Olgiate, il 2 febbraio è stata uccisa a coltellate da un vicino di casa mentre rientrava nella sua abitazione a Riccione, dove si era trasferita per seguire la sua passione: addestrare i delfini.
Marcello Dubini
I precedenti
Le coltellate che giovedì sera, a Como, a una dozzina di giorni di distanza dal Natale, hanno ucciso Fredy Smith, crollato in una pozza di sangue all'interno del suo appartamento, rimandano immediatamente alla strage di Erba. Perché anche in quel caso le vittime furono uccise a coltellate, perché anche allora si trattò di un delitto compiuto fra le quattro mura di un condominio, ma soprattutto perché anche allora - era la sera dell'11 dicembre del 2006 - nelle strade già brillavano le luminarie che annunciavano il Natale.Le similitudini, però, si fermano qui. La strage che sconvolse non soltanto la Brianza e il Lario, ma l'intera Penisola - per la quale sono stati rinviati a giudizio i coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano - fu infatti il tragico epilogo, almeno questa è la ricostruzione fatta dagli inquirenti, di liti frequenti fra vicini di casa. Senza dimenticare che un anno fa le vittime furono addirittura quattro: Raffaella Castagna, il piccolo Youssef, la madre della donna, Paola Galli, e Valeria Cherubini.Per il delitto di Tavernola, invece, ancora si devono delineare con chiarezza i contorni, ancora si deve far luce sul movente, dunque nulla si può dire. Ancora non si sa se il rancore sia anche in questo caso il tragico filo conduttore delle coltellate sferrate a una manciata di giorni dal Natale.Resta il fatto che, a un anno di distanza, il sangue torna a scorrere nel Comasco. Una provincia che, nei dodici mesi intercorsi fra la strage nel cortile di via Diaz a Erba e le coltellate mortali sferrate in via Polano a Tavernola, ha registrato, per fortuna, un numero limitato di omicidi. Due.Il primo all'inizio di quest'anno, il 4 gennaio, quando nella casa di riposo della 'Divina Provvidenza' in via Tommaso Grossi a Como un pensionato di 72 anni ha ucciso, mettendogli un cuscino sulla faccia, un altro ospite della struttura, Ernesto Pagani, di 78 anni, suo vicino di stanza.Il secondo fatto di sangue è avvenuto a Camnago Faloppio, nella notte fra il 23 e il 24 febbraio scorsi. La vittima è Mourad Yedaye, 35enne tunisino, convivente della figlia di Giuseppe Caccia, operaio frontaliere di 48 anni accusato di avere ucciso l'immigrato con due colpi di fucile sparati a distanza ravvicinata.Da gennaio a oggi, tuttavia, il Lario ha dovuto piangere un'altra vittima della violenza. Tamara Monti, 38 anni, nativa di Cantù e cresciuta a Olgiate, il 2 febbraio è stata uccisa a coltellate da un vicino di casa mentre rientrava nella sua abitazione a Riccione, dove si era trasferita per seguire la sua passione: addestrare i delfini.
Marcello Dubini
venerdì 14 dicembre 2007
Parla Olindo: «La confessione? Inventata per evitare l’ergastolo»
Il Giornale 14 dicembre 2007
Una confessione «completamente inventata», decisa davanti alla moglie Rosa, come sembrano confermare le frasi pronunciate in carcere in quei giorni. Quando Rosa diceva «non siamo stati noi», quando manifestava stupore di fronte al riconoscimento di Olindo («ma se tu non sei salito», dirà quella sera Rosa, ndr) e di fronte alla macchia di sangue. «Mi sono inventato tutto - ribadisce ai legali e confermerà in aula - mi era stato detto che mi avrebbero dato l’ergastolo di fronte a prove a mio sfavore che neanche capivo. Io non so perché Frigerio dice di avermi visto, non so perché c’è del sangue sulla macchina. Ma mi era stato detto che, se avessi confessato, tra i vari benefici di legge che mi avrebbero concesso, sarei potuto tornare libero con mia moglie. Ma io sono completamente estraneo ai fatti. Non ho mai fatto del male a nessuno, meno che mai a un bambino».
Se Olindo è loquace, Rosa sembra in preda a un totale caos mentale, dichiarano i suoi legali. Che cosa abbia fatto o che cosa abbia visto quella sera per renderla tanto agitata è ancora tutto da chiarire. E la verità appare sempre più complicata, anche se in troppi sembrano aver già scritto la sentenza.
Una confessione «completamente inventata», decisa davanti alla moglie Rosa, come sembrano confermare le frasi pronunciate in carcere in quei giorni. Quando Rosa diceva «non siamo stati noi», quando manifestava stupore di fronte al riconoscimento di Olindo («ma se tu non sei salito», dirà quella sera Rosa, ndr) e di fronte alla macchia di sangue. «Mi sono inventato tutto - ribadisce ai legali e confermerà in aula - mi era stato detto che mi avrebbero dato l’ergastolo di fronte a prove a mio sfavore che neanche capivo. Io non so perché Frigerio dice di avermi visto, non so perché c’è del sangue sulla macchina. Ma mi era stato detto che, se avessi confessato, tra i vari benefici di legge che mi avrebbero concesso, sarei potuto tornare libero con mia moglie. Ma io sono completamente estraneo ai fatti. Non ho mai fatto del male a nessuno, meno che mai a un bambino».
Se Olindo è loquace, Rosa sembra in preda a un totale caos mentale, dichiarano i suoi legali. Che cosa abbia fatto o che cosa abbia visto quella sera per renderla tanto agitata è ancora tutto da chiarire. E la verità appare sempre più complicata, anche se in troppi sembrano aver già scritto la sentenza.
13 dicembre 2007
Ciccio e Tore, il papà resta in carcere
La decisione è stata assunta dal Tribunale del riesame di Bari
di Antonio Scotti
Confermato, Fillippo Papparaldi, padre di Ciccio e Tore, i due fratellini scomparsi da Gravina lo scorso 5 giugno, rimarrà in carcere. A deciderlo il Tribunale del riesame di Bari, che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa il 27 novembre scorso dal gip Giuseppe De Benedictis per i reati di sequestro di persona, duplice omicidio volontario e occultamento di cadavere.
I giudici del Tribunale del riesame hanno depositato il dispositivo della decisione. Nei prossimi giorni, invece, sarà possibile conoscere le motivazioni alla base del verdetto. Il pubblico ministero che coordina l'inchiesta, Antonino Lupo, ha dichiarato che "non c'è da essere soddisfatti se non per il fatto che l’ipotesi di accusa portata avanti dalla procura è stata condivisa dal Tribunale del riesame". Filippo Pappalardi è nel carcere di Bari dal 27 novembre scorso. L'uomo, secondo quanto sostentuto dal pm Antonino Lupo e dal procuratore della Repubblica Emilio Marzano, avrebbe ucciso i suoi due figli mentre li picchiava. Prove schiaccianti a suo carico al momento non ce ne sono. Anche se gli investigatori hanno rilevato una serie di intecertettazioni ambientali in cui Pappalardi pare avesse più volte invitato la sua seconda moglie a non riferire a nessuno l'episodio della scomparsa dei bambini.
L'unico testimone di questa vicenda, un bambino amico dei due fratellini, ha raccontato di aver visto Pappalardi nella piazza Quattro Fontane di Gravina il giorno antecedente la scomparsa. L'uomo, dopo che i suoi due figli avevano trasgredito all'obbligo di rimanere a casa, li avrebbe raggiunti per portarli con sè. Successivamente Pappalardi avrebbe picchiato Ciccio e Tore al punto tale da perdere di mano la situazione e causare il decesso dei fratellini. Entrambi, secondo l'accusa, ora sono nascosti in qualche gravina della Murgia barese.
Ciccio e Tore, il papà resta in carcere
La decisione è stata assunta dal Tribunale del riesame di Bari
di Antonio Scotti
Confermato, Fillippo Papparaldi, padre di Ciccio e Tore, i due fratellini scomparsi da Gravina lo scorso 5 giugno, rimarrà in carcere. A deciderlo il Tribunale del riesame di Bari, che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa il 27 novembre scorso dal gip Giuseppe De Benedictis per i reati di sequestro di persona, duplice omicidio volontario e occultamento di cadavere.
I giudici del Tribunale del riesame hanno depositato il dispositivo della decisione. Nei prossimi giorni, invece, sarà possibile conoscere le motivazioni alla base del verdetto. Il pubblico ministero che coordina l'inchiesta, Antonino Lupo, ha dichiarato che "non c'è da essere soddisfatti se non per il fatto che l’ipotesi di accusa portata avanti dalla procura è stata condivisa dal Tribunale del riesame". Filippo Pappalardi è nel carcere di Bari dal 27 novembre scorso. L'uomo, secondo quanto sostentuto dal pm Antonino Lupo e dal procuratore della Repubblica Emilio Marzano, avrebbe ucciso i suoi due figli mentre li picchiava. Prove schiaccianti a suo carico al momento non ce ne sono. Anche se gli investigatori hanno rilevato una serie di intecertettazioni ambientali in cui Pappalardi pare avesse più volte invitato la sua seconda moglie a non riferire a nessuno l'episodio della scomparsa dei bambini.
L'unico testimone di questa vicenda, un bambino amico dei due fratellini, ha raccontato di aver visto Pappalardi nella piazza Quattro Fontane di Gravina il giorno antecedente la scomparsa. L'uomo, dopo che i suoi due figli avevano trasgredito all'obbligo di rimanere a casa, li avrebbe raggiunti per portarli con sè. Successivamente Pappalardi avrebbe picchiato Ciccio e Tore al punto tale da perdere di mano la situazione e causare il decesso dei fratellini. Entrambi, secondo l'accusa, ora sono nascosti in qualche gravina della Murgia barese.
Arresto Azouz: La cognata, ci manteneva con soldi tv
6 dicembre 2007 alle 15:51 — Fonte: repubblica.it
Azouz Marzouk manteneva fratello, cugini cognata e nipotine con i soldi guadagnati con le presenze in tv, i servizi fotografici, qualche serata nelle discoteche.
A svelare il particolare è la cognata Wafa, 28 anni, agli arresti domiciliari nell’appartamento al terzo piano di via Cavour a Merone (Como) dove viveva la famiglia Marzouk fino all’alba di sabato scorso, quando ha fatto irruzione la Guardia di Finanza. Un particolare raccontato nell’intervista pubblicata nel numero in edicola domani di “Visto”, con foto in esclusiva dell’appartamento come era nell’ottobre scorso e come era dopo la perquisizione delle Fiamme Gialle. Parole, quelle di Wafa, che sembrano fare a pugni, però, con quanto lunedì sera ha detto a Matrix Lele Mora: “Spesso mi chiedeva soldi perché diceva di avere difficoltà economiche.
Mi è capitato di rinunciare al mio ingaggio di qualche serata per dare a lui i soldi. Diceva — secondo Mora — che gli servivano per gli avvocati, per andare in Tunisia a piangere sulla tomba della moglie e del figlioletto”. Secondo un vociferare costante, dalle ospitate e servizi fotografici avrebbe ricavato circa 50mila euro, ai quali aggiungere i mai confermati 15mila che avrebbe incassato da Fabrizio Corona per l’esclusiva fotografica dei funerali di Raffaella Castagna e del piccolo Youssuf. Nell’intervista a “Visto”, la cognata di Azouz avanza il sospetto che “hanno cercato di stroncare la carriera televisiva di Azouz” e giura che “la droga non l’abbiamo mai spacciata”.
Azouz Marzouk manteneva fratello, cugini cognata e nipotine con i soldi guadagnati con le presenze in tv, i servizi fotografici, qualche serata nelle discoteche.
A svelare il particolare è la cognata Wafa, 28 anni, agli arresti domiciliari nell’appartamento al terzo piano di via Cavour a Merone (Como) dove viveva la famiglia Marzouk fino all’alba di sabato scorso, quando ha fatto irruzione la Guardia di Finanza. Un particolare raccontato nell’intervista pubblicata nel numero in edicola domani di “Visto”, con foto in esclusiva dell’appartamento come era nell’ottobre scorso e come era dopo la perquisizione delle Fiamme Gialle. Parole, quelle di Wafa, che sembrano fare a pugni, però, con quanto lunedì sera ha detto a Matrix Lele Mora: “Spesso mi chiedeva soldi perché diceva di avere difficoltà economiche.
Mi è capitato di rinunciare al mio ingaggio di qualche serata per dare a lui i soldi. Diceva — secondo Mora — che gli servivano per gli avvocati, per andare in Tunisia a piangere sulla tomba della moglie e del figlioletto”. Secondo un vociferare costante, dalle ospitate e servizi fotografici avrebbe ricavato circa 50mila euro, ai quali aggiungere i mai confermati 15mila che avrebbe incassato da Fabrizio Corona per l’esclusiva fotografica dei funerali di Raffaella Castagna e del piccolo Youssuf. Nell’intervista a “Visto”, la cognata di Azouz avanza il sospetto che “hanno cercato di stroncare la carriera televisiva di Azouz” e giura che “la droga non l’abbiamo mai spacciata”.
Strage Erba: Presto sul mercato marchio Azouz Marzouk
13 dicembre 2007 alle 16:53 — Fonte: repubblica.it
La strage di Erba raccontata in un libro firmato da Azouz Marzouk che firmerà anche un nuovo marchio per una nuova linea di occhiali e di abbigliamento.
Gli accordi sono già presi, vi è pure il benestare scritto degli avvocati Roberto Tropenscovino e Ruggero Panzeri di Lecco che curano gli interessi del tunisino finito in carcere poco più di due settimane fa con l’accusa di essere coinvolto in un traffico di droga e ora detenuto nel carcere di Vigevano. Dietro a tutto questo il ‘‘manager televisivo’‘, come egli stesso si definisce, Alessio Sundas che gia’ ha scandalizzato l’opinione pubblica per aver deciso di lanciare la ‘Linea Rom’ sfruttando l’immagine di Marco Ahemtovic, il romeno condannato a sei anni di reclusione per aver travolto e ucciso quattro ragazzini.
Per questa operazione il 35enne manager rampante avrebbe messo sul piatto circa 55mila euro. ‘‘Come da accordi telefonici — si legge nella brevissima lettera su carta intestata che i due legali lecchesi hanno inviato a Sundas in data 10 dicembre scorso — puo’ procedere nella predisposizione del contratto per il libro di Azouz Marzouk oltre che eventuali sponsorizzazioni. Cordiali Salutì‘. Segue la firma dell’Avvocato Tropenscovino. ‘‘Sto cercando una multinazionale — ammette Sundas — disposta a lanciare il nuovo marchio Ahmetovic e non trovo nulla di scandaloso se metto sul mercato anche quello di Azouz Marzouk’‘. Si dice amico di Lele Mora. Racconta di ricevere ‘‘centinaia di telefonate al giorno di gente disposta a tutto pur di farsi notare’‘ di gente che lo chiamerebbe dicendogli: ‘‘Ho ammazzato mia moglie, posso diventare famoso? ‘‘.
La strage di Erba raccontata in un libro firmato da Azouz Marzouk che firmerà anche un nuovo marchio per una nuova linea di occhiali e di abbigliamento.
Gli accordi sono già presi, vi è pure il benestare scritto degli avvocati Roberto Tropenscovino e Ruggero Panzeri di Lecco che curano gli interessi del tunisino finito in carcere poco più di due settimane fa con l’accusa di essere coinvolto in un traffico di droga e ora detenuto nel carcere di Vigevano. Dietro a tutto questo il ‘‘manager televisivo’‘, come egli stesso si definisce, Alessio Sundas che gia’ ha scandalizzato l’opinione pubblica per aver deciso di lanciare la ‘Linea Rom’ sfruttando l’immagine di Marco Ahemtovic, il romeno condannato a sei anni di reclusione per aver travolto e ucciso quattro ragazzini.
Per questa operazione il 35enne manager rampante avrebbe messo sul piatto circa 55mila euro. ‘‘Come da accordi telefonici — si legge nella brevissima lettera su carta intestata che i due legali lecchesi hanno inviato a Sundas in data 10 dicembre scorso — puo’ procedere nella predisposizione del contratto per il libro di Azouz Marzouk oltre che eventuali sponsorizzazioni. Cordiali Salutì‘. Segue la firma dell’Avvocato Tropenscovino. ‘‘Sto cercando una multinazionale — ammette Sundas — disposta a lanciare il nuovo marchio Ahmetovic e non trovo nulla di scandaloso se metto sul mercato anche quello di Azouz Marzouk’‘. Si dice amico di Lele Mora. Racconta di ricevere ‘‘centinaia di telefonate al giorno di gente disposta a tutto pur di farsi notare’‘ di gente che lo chiamerebbe dicendogli: ‘‘Ho ammazzato mia moglie, posso diventare famoso? ‘‘.
Pedopornografia: arresti e indagati
Perquisizioni in tutta Italia
(ANSA) - CATANIA, 13 DIC - Tre persone sono state arrestate in flagranza e 51 indagate con l'accusa di detenzione di materiale pedo-pornografico. Gli arresti sono stati eseguiti a Roma, Vicenza e Modena. L'indagine, avviata e condotta dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni di Catania, conclude una vasta operazione internazionale di contrasto della pedofilia su internet, denominata ''Max2''. Migliaia i soggetti identificati all'estero. Perquisizioni sono effettuate in molte citta' italiane
(ANSA) - CATANIA, 13 DIC - Tre persone sono state arrestate in flagranza e 51 indagate con l'accusa di detenzione di materiale pedo-pornografico. Gli arresti sono stati eseguiti a Roma, Vicenza e Modena. L'indagine, avviata e condotta dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni di Catania, conclude una vasta operazione internazionale di contrasto della pedofilia su internet, denominata ''Max2''. Migliaia i soggetti identificati all'estero. Perquisizioni sono effettuate in molte citta' italiane
giovedì 13 dicembre 2007
Pedofilia,arresti e perquisizioni. In manette un impiegato romano.
13-12-2007 ore 12:13 – Roma città
Un impiegato romano di 57 anni è stato arrestato per pedopornografia su internet mentre perquisizioni sono state effettuate nei confronti di 51 indagati per detenzione di materiale pedo-pornografico acquisito via internet. Migliaia i soggetti identificati all'estero dalla polizia. Le indagini sono iniziate dopo il rinvenimento on-line di bacheche elettroniche frequentate da presunti pedofili che si scambiavano informazioni su dove reperire materiale pedo pornografico.
Un impiegato romano di 57 anni è stato arrestato per pedopornografia su internet mentre perquisizioni sono state effettuate nei confronti di 51 indagati per detenzione di materiale pedo-pornografico acquisito via internet. Migliaia i soggetti identificati all'estero dalla polizia. Le indagini sono iniziate dopo il rinvenimento on-line di bacheche elettroniche frequentate da presunti pedofili che si scambiavano informazioni su dove reperire materiale pedo pornografico.
mercoledì 12 dicembre 2007
Una storia di pedofilia messicana e il coraggio di una giornalista
di Ilaria Maccaroni
12/12/2007
In Messico il legame tra crimine e istituzioni locali e federali sembra piuttosto evidente e sottile quando si tratta di abusi a sfondo sessuale. Ne è la prova, oltre alla tristemente famosa Ciudad Juarez (la città in cui da anni le donne vengono fatte scomparire e massacrate sotto gli occhi inerti della polizia e delle istituzioni), la storia di Lydia Cacho, giornalista messicana ed attivista dei diritti delle donne e dei bambini che da diverso tempo è costretta a girare con la scorta fornitale dallo stato per tutelare la propria incolumità. Motivo?Lydia ha svolto un'inchiesta su una rete di pedofili nella quale risultano coinvolti influenti personalità della politica e delle istituzioni messicane. La sua testimonianza sui responsabili ultimi della rete criminale sono state raccolte in un libro dal titolo "Memorias de una Infamia" (Memorie di un'infamia - Random House Mondadori) in cui la giornalista espone chiaramente nomi di politici e governatori locali coinvolti. "Ho scritto questo libro" si legge nell'introduzione " affinché non prevalga, come solitamente accade, la versione dei potenti, dei perenni vincitori. Non hanno potuto annientarmi ma hanno provato - e continueranno a farlo - a distruggere la mia immagine pubblica". In effetti molti network messicani si sono rifiutati di mandare in onda interviste o confessioni di Lydia Cacho sui fatti in questione, tanto da trasformare la giornalista in una persona inesistente della quale è meglio tacere onde evitare situazioni scomode. Lo scandalo scoppiò dopo la proiezione di un film al festival del documentario a Città del Messico intitolato "Los demonios del edén" e ispirato all'ultimo libro di Cacho in cui saltava fuori il nome di un certo Jean Succur Kuri, 63 anni, di nazionalità algerina e da anni immigrato (illegalmente) in Messico. Il tale era conosciuto a Cancún come imprenditore ed alberghiere ed era solito estorcere da famiglie povere, generalmente provenienti dagli Stati Uniti, le figlie minorenni con le quali si faceva fotografare nudo e si faceva toccare le parti intime. Per più di dodici anni Succar Kuri ha abusato sessualmente di minorenni nell'impunità più assoluta. Risulta che il pederasta avesse amicizie molto influenti in ambito politico che gli avrebbero assicurato una copertura completa, tra cui l'ex presidente della repubblica José Lopez Portillo ed Emilio Gamboa Patrón, attuale segretario del PRI, il Partido Revolucionario Institucional. La prova schiacciante che lo inchioderebbe è una registrazione di una conversazione intercorsa tra il pederasta e una delle sue vittime, Edith Encalada, ora ventenne, in cui risulta che lui stesso le avesse parlato del suo "vizzietto antico" quello di stuprare bambine di poco più di 4 anni indifese e facili da sedurre. Dopo le accuse schiaccianti Succar Kuri sembrava non avere scampo. E invece, grazie ai suoi avvocati e alle sue amicizie influenti, è passato rapidamente all'offensiva per quanto recluso nel penitenziario di massima sicurezza dell'altopiano di Toluca. Molte vittime o ex-vittime del carnefice sono state minacciate e hanno ritrattato o semplicemente sono scomparse. Ma fu Lydia a vivere l'incubo peggiore. Il 16 dicembre 2005 la giornalista, per ordine giudiziaria del governatore dello Stato di Puebla e membro del PRI Mario Martín, fu fermata e sequestrata di fronte al CIAM, il centro per le donne maltrattate da lei fondato e trasportata in un veicolo per circa 1500 Km lungo un percorso attraverso ben 5 stati messicani fino a Puebla. L'intento, secondo quanto riportato la mattina seguente dal quotidiano La Jornada mediante la pubblicazione di alcune conversazioni intercorse tra Martín e Kemal Nacif (il secondo imputato implicato nel caso) era quello di rinchiudere la giornalista nel carcere di detenute lesbiche affinché venisse "picchiata" e "stuprata". Ma l'intento fortunatamente non riuscì dal momento che il suo sequestro già aveva fatto notizia sui giornali e Lydia era diventata famosa in tutta la Repubblica Federale.Martín è ora indagato dalla Procura Federale e rischia una condanna per crimini politici oltre che la sospensione dell'immunità di governatore mentre Kemal Nacif è indagato per tentato omicidio, stupro e attentato ai danni di Lydia Cacho. Il problema, come in ogni Stato criminale che si rispetti, è che la procura non ha aperto nessuna inchiesta contro Nacif mentre Lydia Cacho, che ora è la giornalista più famosa del Messico, continua a vivere nella paura di essere uccisa da un momento all'altro. È piena di debiti fino al collo che ha dovuto contrarre per pagare gli avvocati e tutti gli spostamenti in aereo che l'anno portata da una parte all'altra del paese, ed ora è veramente provata. La sua unica consolazione è che con la pubblicazione del suo ultimo libro e la registrazioni delle conversazioni dei politici coinvolti, lo Stato si decida a far luce sul caso. Ma questo è sperare troppo. Come sappiamo i legami tra crimine e politica sono troppo forti, difficilmente smascherabili sebbene una giornalista ci sia riuscita in un'improbabile lotta tra un Davide debolissimo e un Golia potentissimo.Per saperne di più:Lydia Cacho
Fonte www.rivistaonline.com
12/12/2007
In Messico il legame tra crimine e istituzioni locali e federali sembra piuttosto evidente e sottile quando si tratta di abusi a sfondo sessuale. Ne è la prova, oltre alla tristemente famosa Ciudad Juarez (la città in cui da anni le donne vengono fatte scomparire e massacrate sotto gli occhi inerti della polizia e delle istituzioni), la storia di Lydia Cacho, giornalista messicana ed attivista dei diritti delle donne e dei bambini che da diverso tempo è costretta a girare con la scorta fornitale dallo stato per tutelare la propria incolumità. Motivo?Lydia ha svolto un'inchiesta su una rete di pedofili nella quale risultano coinvolti influenti personalità della politica e delle istituzioni messicane. La sua testimonianza sui responsabili ultimi della rete criminale sono state raccolte in un libro dal titolo "Memorias de una Infamia" (Memorie di un'infamia - Random House Mondadori) in cui la giornalista espone chiaramente nomi di politici e governatori locali coinvolti. "Ho scritto questo libro" si legge nell'introduzione " affinché non prevalga, come solitamente accade, la versione dei potenti, dei perenni vincitori. Non hanno potuto annientarmi ma hanno provato - e continueranno a farlo - a distruggere la mia immagine pubblica". In effetti molti network messicani si sono rifiutati di mandare in onda interviste o confessioni di Lydia Cacho sui fatti in questione, tanto da trasformare la giornalista in una persona inesistente della quale è meglio tacere onde evitare situazioni scomode. Lo scandalo scoppiò dopo la proiezione di un film al festival del documentario a Città del Messico intitolato "Los demonios del edén" e ispirato all'ultimo libro di Cacho in cui saltava fuori il nome di un certo Jean Succur Kuri, 63 anni, di nazionalità algerina e da anni immigrato (illegalmente) in Messico. Il tale era conosciuto a Cancún come imprenditore ed alberghiere ed era solito estorcere da famiglie povere, generalmente provenienti dagli Stati Uniti, le figlie minorenni con le quali si faceva fotografare nudo e si faceva toccare le parti intime. Per più di dodici anni Succar Kuri ha abusato sessualmente di minorenni nell'impunità più assoluta. Risulta che il pederasta avesse amicizie molto influenti in ambito politico che gli avrebbero assicurato una copertura completa, tra cui l'ex presidente della repubblica José Lopez Portillo ed Emilio Gamboa Patrón, attuale segretario del PRI, il Partido Revolucionario Institucional. La prova schiacciante che lo inchioderebbe è una registrazione di una conversazione intercorsa tra il pederasta e una delle sue vittime, Edith Encalada, ora ventenne, in cui risulta che lui stesso le avesse parlato del suo "vizzietto antico" quello di stuprare bambine di poco più di 4 anni indifese e facili da sedurre. Dopo le accuse schiaccianti Succar Kuri sembrava non avere scampo. E invece, grazie ai suoi avvocati e alle sue amicizie influenti, è passato rapidamente all'offensiva per quanto recluso nel penitenziario di massima sicurezza dell'altopiano di Toluca. Molte vittime o ex-vittime del carnefice sono state minacciate e hanno ritrattato o semplicemente sono scomparse. Ma fu Lydia a vivere l'incubo peggiore. Il 16 dicembre 2005 la giornalista, per ordine giudiziaria del governatore dello Stato di Puebla e membro del PRI Mario Martín, fu fermata e sequestrata di fronte al CIAM, il centro per le donne maltrattate da lei fondato e trasportata in un veicolo per circa 1500 Km lungo un percorso attraverso ben 5 stati messicani fino a Puebla. L'intento, secondo quanto riportato la mattina seguente dal quotidiano La Jornada mediante la pubblicazione di alcune conversazioni intercorse tra Martín e Kemal Nacif (il secondo imputato implicato nel caso) era quello di rinchiudere la giornalista nel carcere di detenute lesbiche affinché venisse "picchiata" e "stuprata". Ma l'intento fortunatamente non riuscì dal momento che il suo sequestro già aveva fatto notizia sui giornali e Lydia era diventata famosa in tutta la Repubblica Federale.Martín è ora indagato dalla Procura Federale e rischia una condanna per crimini politici oltre che la sospensione dell'immunità di governatore mentre Kemal Nacif è indagato per tentato omicidio, stupro e attentato ai danni di Lydia Cacho. Il problema, come in ogni Stato criminale che si rispetti, è che la procura non ha aperto nessuna inchiesta contro Nacif mentre Lydia Cacho, che ora è la giornalista più famosa del Messico, continua a vivere nella paura di essere uccisa da un momento all'altro. È piena di debiti fino al collo che ha dovuto contrarre per pagare gli avvocati e tutti gli spostamenti in aereo che l'anno portata da una parte all'altra del paese, ed ora è veramente provata. La sua unica consolazione è che con la pubblicazione del suo ultimo libro e la registrazioni delle conversazioni dei politici coinvolti, lo Stato si decida a far luce sul caso. Ma questo è sperare troppo. Come sappiamo i legami tra crimine e politica sono troppo forti, difficilmente smascherabili sebbene una giornalista ci sia riuscita in un'improbabile lotta tra un Davide debolissimo e un Golia potentissimo.Per saperne di più:Lydia Cacho
Fonte www.rivistaonline.com
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