Di Wildgreta
Dopo la scarcerazione dell'operaio marocchino, nessuno vuole credere che le indagini debbano ricominciare daccapo.Ci sono infatti due piste parallele che qualche giornale definisce opposte, ma che a mio avviso potrebbero essere invece parallele.Infatti nel pomeriggio sono usciti alcuni articoli in cui si dice che la polizia d'ora in poi affiancherà la questura e la Guardia Forestale ha richiamato anche uomini in congedo.Tornano in auge i due uomini visti da Tironi parlare con Yara, ma penso che se nessuno se ne fosse occupato fino adesso sarebbe veramente grave.
Due piste opposte: i cani dicono centro commerciale, Enrico parla di 2 uomini
dal nostro inviato Nino Cirillo
BREMBATE SOPRA (7 dicembre) - Cani contro Enrico, Enrico contro i cani. Chi vince, avrà scoperto la verità su Yara, forse l’avrà riportata a casa viva. Chi perde, potrà dire solo di averla giocata questa folle partita, potrà solo ricoprirsi di vergogna per aver indicato la strada sbagliata,per aver fatto perdere del tempo prezioso.Già, i cani. Quegli splendidi Bloodhound, capitanati da un certo Jocker, arrivati quatti quatti dalla vicina Svizzera, subito pronti a drizzare il muso verso il cantiere di Mapello.
Cani molecolari come li chiamano, perché avvertono anche le molecole dell’odore, che li avesse avuti anche Sarah, ad Avetrana, non osiamo dire dove ora saremmo.
Ebbene, questi cani hanno puntato dritto verso un bugigattolo di tre metri per quattro, una porta sola, che nelle intenzioni di chi l’ha progettato avrebbe dovuto essere il posto di guardia del parcheggio di un centro commerciale. Lì hanno trovato tracce della ragazzina, questo è sicuro, lì hanno fatto scoprire delle grandi bobine di filo elettrico che nessuno sa dire se siano state o no recise di recente. E, soprattutto, lì hanno trovato qualcosa della ragazza che ora sta analizzando il Ris dei Carabinieri. Che cosa?
In direzione esattamente opposta - il cantiere è verso Mapello, quindi all’opposto della casa di Yara - Enrico Tironi, apprendista carpentiere di 19 anni, apprendista nell’azienda di suo padre, ballerino e scombiccherato nel parlare, ansiogeno e poco credibile nel gesticolare, sostiene di aver visto Yara quella sera «intorno alle 18.45» salire su una Citroen rossa con tutti i lampeggianti accesi, in compagnia di due uomini, «uno più alto di me e l’altro meno», uno «sicuramente italiano e l’altro marocchino o forse rumeno».
Enrico dice di più, dice ha visto Yara «con la coda di cavallo», che l’ha vista con un giubbotto nero e sotto il giubbotto nero «una maglietta azzurra». E non vengano a dirgli che lui Yara non la conosce, perché la conosce da quando era ragazzina, «e non ha cambiato fisionomia». Ma non è bastato. Non è bastato per accreditare a lui più fiducia di quanta non fosse stata già concessa ai cani molecolari.
A un certo punto è venuto fuori che Enrico Tironi era stato denunciato per falsa testimonianza. Ma non era vero, Enrico Tironi non è stato denunciato per un bel nulla, siamo stati solo colpiti, tutti noi, da una certa abile opera di disinformazione che sembra orchestrare le cose anche qui, a Brembate di Sopra, sotto la neve, fra i pozzi dragati, nei boschi inutilmente scandagliati a tappeto.
Dove è andata Yara? Dove dicono i cani o dove dice Enrico? I Carabinieri credono ai bloodhound -anche perché i cani dove dice Enrico non ci sono mai voluti andare-, ci credono tanto che sono andati fino in fondo a questa pista del cantiere, fino a imbattersi nel marocchino che sembra sempre più vicino a una ritrovata libertà. Invece la Questura -perche sì, c’è anche la Questura, perché su Yara ci sono due indagini parallele, sarebbe anche l’ora di dirlo- punta molto o tutto su Enrico, su quella Citroen rossa, su due uomini che il carpentiere mattarello sostiene di aver visto.
Come è facile immaginare, non è scontro da poco: è in gioco la vita di una delle più belle promesse della ginnastica ritmica italiana, e non solo. E’ in gioco la sua famiglia, i suoi affetti, l’angoscia e la speranza di tutti noi. Ed è uno scontro ampiamente in corso.
Raccontano che lunedì mattina, 29 novembre, con assoluta discrezione, abbiano varcato il cancello di casa Gambirasio prima il questore Ricciardi e poi il capo della Squadra Mobile Bonafini e che ne siano usciti dopo pochi minuti. Raccontano ancora che il pm Letizia Ruggeri, mercoledì mattina, abbia ricevuto una telefonata proprio da Bonafini e che solo giovedì, ormai 2 dicembre, dalla Procura sia arrivata alla Questura la sospirata delega ad avviare indagini sulla scomparsa di Yara Gambirasio. Indagini ovviamente affiancate a quelle dei carabinieri.
L’Arma ha portato alle estreme conseguenze la pista dei cani, ha passato al setaccio le presenze nel cantiere e ora si trova alle prese con il fermo sempre più vacillante del marocchino che da quel cantiere aveva deciso di andarsene da un pezzo. La Questura, invece, resta a guardare. Dove queste due piste incredibilmente si incontrano -anche se tra una selva di smentite- è sulla figura dei «due italiani». I carabinieri li hanno associati in queste ore al marocchino, come fossero loro gli autori materiali di un delitto, dell’omicidio di Yara. La Questura li tiene nell’ombra, come fossero gli ultimi due assi dello stravagante Enrico Tironi, come se potessero trasformarsi, a incastro e d’incanto, nei due uomini della Citroen Rossa.
In questo vuoto, c’è da tremare. A undici giorni dalla scomparsa di Yara si continuano a dragare laghetti e a ispezionare cantieri senza la più vaga idea di dove questa ragazzina possa essere finita. C’è solo da augurarsi che gli investigatori stiano nascondendo tutto e bene, che la verità sia vicina senza che nessuno ne abbia avuto neppure il sentore. C’è da augurarsi che abbia ragione Enrico, quando gli chiedono come ha visto Yara fra quei due della Citroen rossa e lui, con un lampo negli occhi, seriamente declina: «Lei rideva».
il messaggero 7 dicembre 2010
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