domenica 29 novembre 2009
MEREDITH, LEGALE SOLLECITO: RAFFAELE NON COLPEVOLE. VERITA' MOLTO LONTANA
Si avvia a conclusione il processo per l'omicidio di Meredith Kercher. Dopo gli interventi dei PM Mignini e Comodi e le arringhe delle parti civili tocca alle difese. Oggi è stata la volta della difesa di Raffaele Sollecito. " Raffaele Sollecito è la seconda vittima di questa vicenda , ha detto Luca Maori uno degli avvocati della famiglia Sollecito ". Ha descritto Raffaele come " un ragazzo mite, tranquillo e riservato con un approccio romantico verso l'altro sesso. Gli si è voluto cucire addosso un abito che non gli appartiene ". Per ciò che riguarda l'omicidio di Meredith, l'avvocato Maori non ha dubbi " in questo processo esiste già un colpevole ed è Rudy Guede, già condannato a 30 anni di reclusione ".
La lunga analisi difensiva si è conclusa a metà pomeriggio. Il legale si è soffermato su un particolare. Una traccia di sperma che è stata rinvenuta sotto il corpo di Meredith e che non è stata mai analizzata. " Per quale motivo due tracce di natura biologica trovate sulla federa del cuscino sotto il corpo di Meredith, visibili ad occhio nudo, non sono state mai analizzate? Non è stato fatto mai veramente nulla ed è veramente strano. Si sapeva, infatti, che quello della studentessa, era un delitto a sfondo sessuale ma non è stato accertato in alcun modo di che natura fossero quelle tracce che riteniamo di sperma e , soprattutto , a chi possano essere attribuite.Se fosse stato fatto il 2 o il 3 novembre del 2007, probabilmente la verità sarebbe stata, leggermente, diversa. Comunque, tutto il materiale acquisito è sufficiente per arrivare ad un verdetto di assoluta non colpevolezza del nostro assistito. La verità è ancora molto lontana dall'essere accertata ". Secondo uno degli avvocati della famiglia Kercher quelle tracce sul cuscino " hanno ben poco valore " . Per questo motivo la Corte ha deciso di non approfondire. Lunedi mattina alla ripresa del processo sarà l'onorevole Giulia Bongiorno a proseguire l'arringa difensiva di Sollecito.
A margine del processo si è saputo che i genitori di Amanda Knox, Kurt e ed Edda Mellas, sono stati denunciati dalla Polizia per diffamazione a mezzo stampa. Il fatto risale al giugno dello scorso e fa riferimento ad una intervista rilasciata dalla coppia al Sunday Times in cui si affermava che su Amanda erano stati compiuti abusi durante gli interrogatori in questura, a Perugia. Oggi è stata comunicata la conclusione delle indagini che prelude ad un loro rinvio a giudizio.
venerdì 27 novembre 2009
Omicidio Meredith, in aula il video sull'omicidio:tutti i movimenti dei presenti
PERUGIA - E' stato proiettato nell'aula del tribunale di Perugia, il video - una sorta di cartone animato - della ricostruzione dei pm sull'omicidio di Meredith Kercher. Nessuna telecamera ha potuto filmarlo, ma su decisione della Corte d'assise la proiezione è stata resa pubblica. Sia le immagini sia i personaggi erano a grandezza naturale. Il pm Manuela Comodi ha svolto il ruolo di voce narrante sulle singole proiezioni dell'omicidio.
Ore 15.48 del 1 novembre 2007. Meredith invia sms con cui avverte le sue amiche inglesi del ritardo all'appuntamento con loro.
Ore 16. Meredith lascia l'abitazione di via della Pergola per recarsi a casa delle amiche. Alcuni minuti dopo Raffaele e Amanda lasciano l'abitazione dei via della Pergola per andare a casa di Sollecito.
Ore 18. Amanda Knox esce da casa di Raffaele Sollecito. Questo stando alle cellule telefoniche.
Ore 18.27. Raffaele Sollecito interagisce con il suo pc portatile per vedere il film Il magico mondo di Amelie.
Ore 20.18. Amanda Knox in via Ulisse Rocchi riceve un sms da Lumumba nel quale invita la ragazza a non presentarsi al locale dato che non avrebbe lavorato.
Ore 20.30. Amanda Knox torna in via Garibaldi a casa di Raffaele Sollecito.
Ore 20.38. Amanda invia un sms di risposta a Patrick Lumumba.
Ore 20.46. Sollecito spegne il cellulare. Si trova ancora nell'abitazione di via Garibaldi.
Ore 20.45. Si è conclusa la frugale cena di Meredith con le amiche inglesi. Metz parte in direzione di via della Pergola con una sua amica che la lascerà a metà del tragitto per recarsi nella sua abitazione.
Ore 21. Meredith è a casa, mangia un fungo, si sdraia sul letto legge alcune dispense dell'università.
Ore 21.10. Non c'è più interazione umana con il pc di Raffaele Sollecito.
Ore 21.45. Amanda e Raffaele escono di casa e si recano in piazza Grimana. A poche decine di metri da via della Pergola i due giovani discutono, osservano dalla staccionata la casa e decidono sul da farsi. Un atteggiamento sospetto che sarà riportato in aula dal testimone Curatolo.
Ore 23.20. Amanda apre la porta di via della Pergola.
Ore 23.20. Amanda, Raffaele e Rudy entrano nella casa di via della Pergola dove era già presente Meredith. Nel video, come spiegato dal pm, non ci sono immagini che riguardano l'incontro tra Amanda e Rudy. Il motivo è che la ricostruzione si basa su testimonianze e riscontri autoptici e reperti.
Ore 23.21. Amanda e Raffaele vanno in camera loro mentre Rudy si reca in bagno.
Ore 23.25. Inizia la colluttazione tra Amanda aiutata da Raffaele, e Meredith. La ragazza inglese viene presa per il collo, poi sbattuta contro un armadio (lo dimostrerebbero le ferite al cranio). Tutto questo mentre si ribella. Entra Rudy Guede.
Ore 23.30. Meredith cade a terra. In tre cercano di spogliarla per sottometterla; riescono soltanto a toglierle i pantaloni. La ragazza riesce ad alzarsi, si dimena. Escono a questo punto dalle tasche di Amanda e Raffaele due coltelli: uno con la lama di quattro-cinque centimetri, l'altro invece un coltellaccio da cucina. Meredith con la mano destra cerca di parare le lame. Viene ferita.
Ore 23.35. Continua l'aggressione. Sollecito cerca di strappare il reggiseno alla ragazza inglese.
Ore 23.40. Meredith è in ginocchio, viene minacciata da Amanda con il coltello mentre Rudy la tiene con una mano e con l'altra effettua una violenza sulla vagina della ragazza inglese. Parte un primo colpo di lama sul viso, subito dopo un altro. Sono colpi però inoffensivi. Aumenta la violenza da parte dei tre.
Sollecito con il coltellino più piccolo sferra un colpo: la lama penetra nel collo per quattro centimetri. Da qui l'urlo straziante della ragazza inglese di cui parleranno alcuni testimoni. Amanda decide di zittirla, sempre secondo il video proposto in aula dai pm, e colpisce con il coltello da cucina alla gola: sarà la ferita mortale. Meredith si accascia a terra.
Ore 23.45. Metz viene aiutata ad alzarsi da Rudy e tossisce sangue. La ragazza inglese, morente, viene trascinata per continuare a spogliarla.
Ore 23.50. Amanda e Raffaele prendono i telefoni ed escono dall'appartamento. Rimangono in casa soltanto Meredith, morta, e Rudy. L'ivoriano si reca in bagno per prendere alcuni asciugamani al fine di tamponare il sangue che esce dal corpo della ragazza inglese poi, come dimostrano le impronte secondo l'accusa, mette un cuscino sotto la testa di Meredith.
Ore 00.10. I cellulari di Meredith vengono gettati in un giardino in via Sperandio.
Ore 00.15. Da questo momento in poi non ci sono più certezze, secondo il video, sui tempi per il depistaggio che sarà messo in atto da Amanda e Raffaele. Secondo l'accusa, però, a notte fonda i due ex fidanzati torneranno nel luogo del delitto, per cercare di pulire alcune impronte e rompere il vetro della finestra di una camera di via della Pergola al fine di simulare un furto finito con omicidio.
Amanda e Raffaele poi spoglieranno la vittima ormai deceduta - il reggiseno sarà lasciato a pochi centimetri dal corpo - e la copriranno con un piumone.
(21 novembre 2009) La Repubblica
domenica 22 novembre 2009
Meredith:chiesto l'ergastolo per Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Amanda Knox
Perugia, 21-11-2009
I pubblici ministeri Manuela Comodi e Giuliano Mignini hanno chiesto la condanna all'ergastolo per Raffaele Sollecito e Amanda Knox al termine della loro requisitoria nel processo per l'omicidio di Meredith Kercher davanti alla Corte d'assise di Perugia.
Per Amanda, inoltre, l'accusa ha chiesto 9 mesi di isolamento diurno, due mesi, invece per Sollecito. Le richieste sono arrivate al termine di una lunga requisitoria iniziata ieri mattina con il pm Mignini e proseguita oggi dalla collega Comodi.
L'udienza e' stata quindi rinviata a venerdi' prossimo.
Anche oggi i due imputati, che si proclamano innocenti, erano in aula.
Il pm ha parlato di "Prove scientifiche inconfutabili e sovrapponibili" emerse dalle indagini. Al termine della requisitoria la pubblica accusa fara' le sue richieste di condanna alla Corte. La sentenza per i due e' attesa per i primi di dicembre.
Ha definito "nulla" la possibilita' di contaminazione del Dna rilevato sulla scena dell'omicidio il pm Manuela Comodi nella sua requisitoria davanti alla Corte d'assise di Perugia. Riguardo alle critiche delle difese il magistrato ha detto che queste "hanno mancato il bersaglio e non sono mai andate oltre l'insinuazione".
"In ogni analisi biologica - ha aggiunto - e' insito il rischio di deperimento e di contaminazione. La biologa della polizia scientifica Patrizia Stefanoni ha pero' messo in atto tutte le procedure previste per evitare questi fenomeni e nessuno puo' affermare il contrario. I consulenti di parte hanno poi partecipato a sopralluoghi e analisi".
Riguardo al gancetto del reggiseno della vittima sul quale sono state trovate tracce del Dna di Raffaele Sollecito e della vittima, il pm ha spiegato che il reperto "non si e' mai spostato dalla stanza del crimine occupata solo da Meredith". "Sollecito - ha proseguito - non viveva in quella casa e non era stato in quella stanza"
MEREDITH: SOLLECITO, QUELLA SERA ERO A CASA MIA
(21 novembre 2009)
sabato 21 novembre 2009
Meredith, Requisitoria: Amanda ha covato odio per Meredith e voleva vendicarsi
Il pubblico ministero Mignini davanti alla Corte d'Assise: «La Knox ha covato odio per Meredith». E lei piange
PERUGIA - Amanda Knox «ha covato odio per Meredith» e la sera del 2 novembre del 2007 per la giovane americana «era venuto il momento di vendicarsi di quella smorfiosa». A parlare è il pm Giuliano Mignini nella sua requisitoria davanti alla Corte d'Assise a Perugia. Secondo il pubblico ministero, la sera del delitto la Knox doveva incontrare Rudy Guede, inizialmente da sola, forse per questioni legate alla droga di cui entrambi - ha spiegato - facevano uso. Poi però a loro si unì anche Raffaele Sollecito e tutti e tre insieme andarono nella casa di via della Pergola dove già si trovava Meredith. «A quel punto - ha detto Mignini - c' è stata una discussione per soldi o forse perché Meredith era contrariata dalla presenza di Rudy. A quel punto c' è stato il tentativo di coinvolgere Meredith in un pesante gioco sessuale, quella sera che era la prima in cui la giovane inglese era sola in casa. Amanda aveva il modo di vendicarsi di quella ragazza che stava solo con le amiche inglesi e la rimproverava per la sua mancanza di pulizia. È cominciato allora - ha sottolineato Mignini - il calvario di Meredith».
Amanda e Raffaele in aula
Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula
«ACCUSE CONSAPEVOLI A UN INNOCENTE» - Il pm accusa la studentessa di Seattle anche di aver «consapevolmente accusato un innocente». Il riferimento è a Patrick Lumumba, che però non ha nominato espressamente, coinvolto nell'indagine sull'omicidio di Meredith Kercher dalle dichiarazioni alla polizia della giovane americana e poi prosciolto da ogni addebito (è infatti ora costituito parte civile nei confronti dell'americana accusata di calunnia nei suoi confronti). «Amanda - ha sottolineato il magistrato - non ha mosso un dito mentre languiva in carcere. Né lei né la madre che aveva raccolto le sue confidenze. E guarda caso - ha proseguito Mignini - si trattava di una persona di colore come Rudy Guede».
«DEMONIZZAZIONE DEI TESTIMONI» - Durante la requisitoria, Mignini si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa, parlando di una «continua operazione di demonizzazione» di alcuni testimoni facendo riferimento all'operato delle difese degli imputati. «Diversi testi - ha detto il pubblico ministero - hanno esitato a presentarsi agli inquirenti, ma poi lo hanno fatto in maniera assolutamente precisa. Le difese hanno invece insinuato il sospetto che lo hanno fatto per chissà quali manovre». Mignini ha poi evidenziato il «lavoro enorme» fatto dalla polizia «per accertare la verità sull'omicidio della ragazza inglese, della quale - ha detto - troppo spesso ci si dimentica». Ha ricordato l'impegno della squadra mobile di Perugia, dello Sco e della scientifica del capoluogo umbro e nazionale.
LE LACRIME DI AMANDA - Non è riuscita a trattenere le lacrime, Amanda Knox, dopo aver ascoltato in aula la lunga ricostruzione del pubblico ministero. Amanda, apparsa tesa e nervosa per gran parte dell'udienza, quando la Corte ha disposto una pausa di qualche minuto non è riuscita a trattenere le lacrime ed è stata accompagnata fuori dall'aula dagli agenti della polizia penitenziaria. Quando è rientrata è apparsa molto scossa e provata e, dopo essersi seduta, ha continuato a fare lunghi sospiri. Poi si è voltata verso Raffaele che la stava guardando e gli ha fatto un cenno con la testa come a voler rassicurare il ragazzo.
20 novembre 2009
venerdì 20 novembre 2009
Casalvelino, rinvenuto scheletro.E' il secondo in un mese
Nel settembre scorso la zona colpita da un violento incendio aveva fatto venire alla luce il primo scheletro
SALERNO - Uno scheletro umano è stato scoperto da un cacciatore a Casalvelino. Si tratta del secondo scheletro trovato in un mese. Lo scheletro, è stato ritrovato, nascosto dalla vegetazione in una boscaglia in località Carullo, lo stesso luogo dove un mese fa era stato rinvenuto un altro scheletro umano. Sul posto sono intervenuti i carabinieri per il recupero dei resti. Nel settembre scorso la zona era stata colpita da un violento incendio che aveva distrutto la fitta vegetazione, facendo venire alla luce il primo scheletro. Sul ritrovamento indaga la Procura della Repubblica di Vallo della Lucania.
Tre capsule sul lato sinistro della mandibola. Questo, l’unico indizio dello scheletro rinvenuto questa mattina nei boschi di Casalvelino, Comune del Cilento. Lo scheletro, rinvenuto da un cacciatore che ha dato l’allarme, non reca alcun segno di violenza ed è stato scoperto in località Carullo, a circa un chilometro dal luogo nel quale, esattamente un mese, fa, è stato ritrovato un altro scheletro umano, ancora senza nome. Lo scheletro, di sesso maschile, reca alcuni segni di combustione legati ad un incendio che ha coinvolto l’area durante il mese di settembre, ma per gli inquirenti i resti umani erano già sul luogo al momento dell’incendio. Dopo il recupero dello scheletro, sono già state avviate le indagini per risalire alla sua identità. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania, non escludono alcuna pista.
Corriere della Sera 20 novembre 2009
Emanuela Orlandi: Una sola chiamata registrata, la "voce" della banda della Magliana
Nell'organizzazione criminale che controllava Roma era una figura di terza fila
Caso Orlandi, da Mario l'ultima verità.Una sola chiamata registrata, ma decisiva
IL caso Orlandi riparte tirando un sottile filo sopravvissuto a un tempo ormai lunghissimo, un quarto di secolo. Da una telefonata, l'unica di cui si è conservata la registrazione, ricevuta dalla famiglia di Emanuela il 28 giugno 1983, sei giorni dopo la scomparsa.
Dall'uomo che, in quella circostanza, disse di chiamarsi "Mario", che offrì dettagli tutt'altro che eccentrici sul conto di quella ragazza, e che oggi, la Procura ne è convinta, si può concludere fosse "la voce della Banda della Magliana".
A "Mario", mercoledì notte, Sabrina Minardi, la donna che tra l'82 e l'84 fu l'amante di Enrico De Pedis ("Renatino", il capo della Banda), ha dato un nome e un cognome. Che per altro ai due pubblici ministeri che la ascoltavano non era del tutto sconosciuto. Perché già indicato nell'ultima delle informative della Squadra Mobile sulla "compatibilità" tra la voce di quella telefonata del giugno '83 e le identità di alcuni uomini della Banda oggetto di indagine in questo ultimo anno e mezzo. Chi è dunque "Mario"? E perché quella telefonata diventa oggi la chiave per venire a capo di uno dei più resistenti misteri italiani?
"Tutto quello che si può dire in questo momento, dice una fonte inquirente - è che "Mario" era una figura di terza fila della Banda, un ragazzino, un gregario. Che "Mario" è vivo. Che il suo nome non è stato sin qui "bruciato" dalla cronaca. E che porta a De Pedis". Quando si fa vivo con gli Orlandi il 28 giugno 1983, dice di avere 35 anni e di chiamare da un bar all'altezza di ponte Vittorio, tra il Vaticano e la scuola di musica dove Emanuela era stata vista per l'ultima volta. Parla con un forte accento romano e spiega di aver visto nel suo locale un tipo con due ragazze che vendono cosmetici "Avon", una delle quali dice di chiamarsi "Barbara" e di essere scappata di casa, dove pure ha deciso di tornare per il matrimonio della sorella. Ma alla domanda sull'altezza di quella "Barbara" incespica, chiede consiglio a un secondo uomo, la cui voce si sente in sottofondo.
Sembrano informazioni confuse e depistanti (o almeno tali verranno ritenute per 25 anni), ma che si incastrano con quelle che, nei tre giorni precedenti, sempre al telefono, sempre con gli Orlandi, ha fornito un'altra voce (di cui non esiste alcuna registrazione). Quella di un tale "Pierluigi". Il 25 giugno chiama due volte. Il 26, una terza e ultima volta. A differenza di "Mario" non ha un intercalare dialettale. Sostiene di avere 16 anni e che la sua fidanzata ha conosciuto a Campo dè Fiori due ragazze che vendono cosmetici. Una di loro ? dice - "si chiama Barbara", ha con sé il flauto, ma si rifiuta di suonarlo perché dovrebbe indossare gli occhiali, e se ne vergogna. Quindi aggiunge: "Occhiali a goccia e per astigmatici". E ancora: "Barbara tornerà a casa per suonare il flauto al matrimonio della sorella".
"Barbara", gli occhiali per astigmatici, la vendita di cosmetici, il flauto, il matrimonio della sorella. Questi dettagli cruciali che "Pierluigi" e "Mario" spendono con la famiglia Orlandi nell'arco dei primi sette giorni dalla scomparsa hanno una loro concretezza, ma dove e a chi portino è domanda che chi allora indaga decide di non coltivare. Né l'uno né l'altro hanno fatto cenno a una richiesta di riscatto, dunque ? è la conclusione ? quelle due voci maschili fanno perdere solo del tempo.
Del resto, lo scenario iperbolico che l'indagine sulla Orlandi comincerà a disegnare già nell'estate dell'83, contribuirà per almeno vent'anni a dimenticare sia "Pierluigi" che "Mario". Almeno fino a quando, nel 2006, Antonio Mancini, pentito della Banda della Magliana, non indica nella voce di "Mario" dopo che la trasmissione "Chi lo ha visto" ha reso pubblica la registrazione della telefonata del 28 giugno 1983 - "un killer di De Pedis". Mancini crede di riconoscere nell'uomo che parla un tale "Rufetto", che pure esce rapidamente di scena, perché escluso dalle prime perizie foniche disposte allora dalla squadra Mobile.
È un fatto però che proprio a partire da quel momento, il proscenio del caso Orlandi cominci ad essere occupato stabilmente dalla Banda della Magliana. Che in quella direzione indichi l'anonimo che invita a scoprire chi è sepolto nella cappella di Sant'Apollinare (Enrico De Pedis) e "per quale motivo". Detto altrimenti, quale sia "il favore" che la Banda ha reso al Vaticano per meritare che le spoglie del suo Capo riposino nel territorio della Santa Sede.
Comincia insomma un'altra storia, che nel giugno del 2008, come è noto, trova in Sabrina Minardi, ex moglie di Bruno Giordano e amante di De Pedis, la sua problematica testimone. Capace con il suo racconto (indica la prigione di Emanuela in una casa di Monteverde e nelle fondamenta di un cantiere di Torvaianica la sua tomba) non solo di stabilire un nesso tra De Pedis e monsignor Marcinkus, ex direttore dello Ior. Ma anche di svelarne la sostanza, indicando proprio in De Pedis l'uomo che del potente monsignore conosceva le debolezze sessuali e dunque l'unico in grado di risolvere il "problema Emanuela Orlandi", che di quelle "debolezze" sarebbe stato parte.
In cambio di cosa Emanuela sarebbe stata eliminata dalla Banda per conto di Marcinkus, la Procura, oggi, non è ancora in grado di dirlo. Forte però di una certezza. La fine di Emanuela Orlandi è cosa di "Renatino" e di quelli della Magliana. E "Mario" ne è la chiave.
(La Repubblica 20 novembre 2009)
MINORI: MUSSOLINI, BANNER DELLA POLIZIA DI STATO SU FACEBOOK CONTRO PEDOFILIA
Napoli, 18 nov. (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Un banner della polizia postale sui siti e su facebook contro la pedofilia per informarsi e chiedere aiuto, se necessario. E' la proposta di Alessandra Mussolini, presidente della commissione parlamentare per l'Infanzia e l'adolescenza, lanciata alla Conferenza nazionale sul tema in corso a Napoli, insieme all'invito a procedere piu' rapidamente possibile su due leggi fondamentali contro l'adescamento in rete e contro la pedofilia culturale.
"I social network -ha ricordato Mussolini- non sono ambienti chiusi. E' possibile violarli, con gravi pericoli per bambini e ragazzi. I dati, infatti, parlano di 30 mila minori adescati ogni anno in rete". Mussolini spiega l'importanza di utilizzare un indirizzo di riferimento come il banner della polizia postale per aiutare ad evitare pericoli. "Mi impegnero' personalmente -ha detto- perche' i vari siti e i social network collaborino pubblicando il banner". Mussolini, inoltre, ha ricordato che in commissione Giustizia della Camera sono allo studio due proposte di legge fondamentali contro la pedofilia, uno contro l'adescamento l'altro contro la pedofilia culturale. "Dobbiamo stroncare -ha detto- il fenomeno di questi siti che cercano di ammantare di argomentazioni culturali il rapporto con bambini e giovanissimi".
19 novembre 2009
giovedì 19 novembre 2009
Emanuela Orlandi è morta: lo conferma la supertestimone
19 NOVEMBRE 2009
Emanuela Orlandi è morta. Lo afferma, a 26 anni dalla scomparsa della ragazza, la supertestimone Sabrina Minardi in una dichiarazione resa al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al pm Simona Maisto. Secondo il pm la supertestimone «è credibile». Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, scomparve in circostanze misteriose il 22 giugno 1983 all'età di 15 anni. Quella che all'inizio poteva sembrare la sparizione di un'adolescente, si è trasformata in uno dei casi più oscuri della storia italiana che coinvolse Vaticano, Istituto per le Opere di Religione (Ior), banda della Magliana, Banco Ambrosiano e servizi segreti di diversi Stati, in un intreccio che non è ancora stato completamente districato.
Secondo la Minardi, Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa qualche mese dopo il sequestro e il cadavere, messo in un sacco, fu gettato assieme a un altro in una betoniera. La Minardi non vide il corpo della Orlandi, ma seppe che si trattava della ragazza 15enne da Enrico De Pedis, detto Renatino, che accompagnò l'amante appositamente in un cantiere a Torvajanica. Con De Pedis c'era un altro uomo che - è stato specificato in procura - non è il telefonista Mario.
Aggiustando il tiro rispetto a precedenti dichiarazioni, la Minardi ha spiegato che non era di Domenico Nicitra il cadavere gettato nella betoniera assieme a quello della Orlandi. «Di Nicitra l'ho saputo anni dopo da altre persone in circostanze simili», ha ammesso la teste. Domenico Nicitra, il bambino di 11 anni, figlio di Salvatore, imputato al processo per i delitti commessi dalla banda della Magliana, scomparve in effetti dieci anni dopo il rapimento di Emanuela, e cioè il 21 giugno 1993 assieme allo zio Francesco, fratello del padre. E De Pedis in quell'epoca era già morto: venne ammazzato il 2 febbraio del '90.
Già il 20 febbraio 2006, in una puntata della trasmissione «Chi l'ha visto ?», Antonio Mancini,
un pentito della banda della Magliana, disse di aver riconosciuto in uno dei killer di fiducia di Enrico De Pedis quel «Mario» che telefonò alla famiglia di Emanuela Orlandi per depistare le indagini. Mancini fece i nomi di Mario e di un'altra persona a conoscenza della circostanza. Dalle dichiarazioni di Mancini nacque un'inchiesta nel corso della quale una consulenza fonetica escluse che il killer della Banda della Magliana indicato dal pentito Mancini potesse essere stato il «telefonista».
Gli inquirenti ritengono che quanto raccontato da Sabrina Minardi, specialmente alla
luce della deposizione, corrisponda al vero. Il fascicolo, gestito dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Simona Maisto, contempla i reati di sequestro di persona a scopo di estorsione e omicidio volontario aggravato dalle sevizie e dalla minore età della vittima.
19 NOVEMBRE 2009 IL SOLE 24 ORE
mercoledì 18 novembre 2009
Polonia, il ministro della Sanità: no ai vaccini sono una truffa
ROMA (18 novembre) - Difende a spada tratta la scelta del Governo polacco di non prender parte alla corsa contro il tempo per acquistare vaccini anti-A/H1N1. Il ministro della Salute polacco Ewa Kopacz, in un appassionato intervento in Parlamento, ha puntato il dito sulla scelta fatta dai Paesi più ricchi del pianeta per contrastare l'avanzare della pandemia.
E ha messo sotto accusa, senza usare mezzi termini, gli accordi stretti dalle Istituzioni con le case farmaceutiche: «Lo Stato polacco è molto saggio - ha tuonato vestita con una fiammante giacca rossa, in un video visibile sul web - i polacchi sanno distinguere la verità dalle balle con molta precisione. Sono anche in grado di distinguere una situazione oggettiva da una truffa». Secondo Kopacz, che ha ricordato di essere un medico con 20 anni di esperienza alle spalle, il contratto segreto che il Governo polacco avrebbe dovuto firmare con le aziende farmaceutiche aveva oltre 20 clausole che sovvertivano la legge. «Qual è - ha chiesto dunque Kopacz guardando i parlamentari da un estremo all'altro dell'Aula - il dovere di un ministero della Salute? Concludere accordi che facciano il bene dei cittadini oppure siglare accordi che facciano l'interesse delle case farmaceutiche?».
«So che attualmente ci sono tre vaccini disponibili sul mercato - ha fatto notare - realizzati da tre produttori diversi. Ognuno di loro ha una differente quantità di sostanze attive: non è strano che siano trattati tutti alla stessa stregua? Non è dunque ragionevole che il ministero della Salute e i suoi esperti nutrano alcuni dubbi in proposito?».
Meredith, Appello Guede:"Non sono io l'assassino"
mercoledì 18 novembre 2009 14:12 Stampa quest’articolo [-] Testo [+]
PERUGIA (Reuters) - A Perugia, al processo di secondo grado a suo carico, l'ivoriano Rudy Herman Guede, già condannato a 30 anni con rito abbreviato per l'omicidio di Meredith Kercher, ha preso la parola oggi dicendo di non avere ucciso la studentessa americana.
"Non sono io l'assassino", ha detto davanti alla Corte d'Assise d'Appello l'ivoriano, unico tra gli imputati ad aver chiesto il rito abbreviato. "Chiedo scusa per non aver fatto quello che avrebbe fatto chiunque per cercare di salvarla, se questo era possibile".
Per l'omicidio della studentessa americana sono a processo anche Raffaele Sollecito e Amanda Knox, studenti e fidanzati all'epoca della morte di Meredith, avvenuta a Perugia la notte tra l'1 e il 2 novembre del 2007.
Nell'udienza di oggi, il giudice ha respinto tutte le richieste dei difensori di Guede, Walter Biscotti e Nicodemo Gentile, che avrebbero voluto far riaprire la parte dibattimentale del procedimento.
Guede, che ha chiesto che il processo sia celebrato a porte aperte, ha poi ricostruito la sua versione dei fatti. Lui e Meredith -- ha spiegato -- si conoscevano, e si erano visti la notte di Halloween in un locale fermandosi a chiacchierare, per poi incontrarsi anche la sera successiva.
"La sera del giorno dopo l'ho raggiunta a casa sua", ha detto l'ivoriano, spiegando che l'americana si lamentava della sparizione di un po' di denaro, di cui accusava Amanda Knox. "Io ho cercato di tranquillizzarla, poi ci siamo intrattenuti e abbiamo avuto una relazione", ha ricostruito Guede, precisando di non aver avuto con la studentessa un rapporto sessuale completo.
"Dopo circa dieci minuti sono andato in bagno, ho messo le cuffie dell'iPod e a metà della terza canzone ho sentito un urlo straziante", ha raccontato ancora l'ivoriano. "Mi sono precipitato verso la camera di Meredith, l'ho vista stesa a terra e ho visto la sagoma di un uomo che mi ha spinto per terra ed è andato verso l'uscita... Poi ho visto dalla finestra Amanda che scappava".
-- Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia 18 novembre 2009
martedì 17 novembre 2009
Sonia Marra, scomparsa a Perugia tre anni fa: la rabbia del fratello
Una foto di Sonia Marra dal sito di "Chi l'ha visto?"
La famiglia chiede che si faccia luce sulla vicenda. Il ragazzo ha parlato in consiglio comunale
"Basta con l'omertà, trovate mia sorella"
Sonia è scomparsa nel nulla. L'urlo del fratello
"Chi sa qualcosa esca allo scoperto". La ragazza lavorava come volontaria in una scuola di Teologia
Nel giallo anche la figura di un prete arrestato per spaccio di droga
"Basta con l'omertà, trovate mia sorella" Sonia è scomparsa nel nulla. L'urlo del fratello
Una foto di Sonia Marra dal sito di "Chi l'ha visto?"
PERUGIA - Scomparsa nel nulla tre anni fa. Erano le 15.30 del 16 novembre 2006 quando Sonia Marra, 25 anni, fece la sua ultima telefonata alla madre a Specchia, il suo paese d'origine in provincia di Lecce. Tutto sembrava normale. La sera la madre cercò di chiamarla al cellulare, ma era spento. Da quel momento non si è saputo più nulla di Sonia, studentessa universitaria pugliese iscritta alla facoltà di Medicina a Perugia. Tre anni di mistero e doloroso silenzio da parte della famiglia, che oggi è tornata a chiedere con forza che le qualcuno faccia qualcosa per ritrovarla.
"È ora di squarciare il silenzio, basta con questa omertà" ha gridato il fratello Piermassimo nella sala del consiglio comunale di Perugia, dove ha partecipato alla conferenza allargata dei capigruppo organizzata proprio per riproporre l'inquietante vicenda. Le indagini della magistratura perugina, attualmente coordinate dal pm Giuseppe Petrazzini, negli ultimi tempi avrebbero subito una accelerazione, tanto che oggi anche il legale della famiglia, Alessandro Vesi, ha invitato "chi sa qualcosa" a uscire allo scoperto "nel suo interesse".
La scomparsa di Sonia, studentessa di Medicina e segretaria volontaria alla scuola di Teologia di Montemorcino, è un vero giallo, con testimoni che avrebbero parlato di una buca scavata a mano nel parco di Montemorcino, di un uomo vestito di nero che usciva dalla sua abitazione, e di test di gravidanza cui si sarebbe sottoposta la studentessa nel timore di essere incinta alla vigilia della scomparsa.
Del caso si è occupato anche il programma Chi l'ha visto?, che ha pubblicato una scheda su Sonia Marra in cui ripercorre le diverse fasi della vicenda. La sorella Anna si è trasferita a Perugia per seguire il caso da vicino, ma non è riuscita a parlare con le persone che Sonia frequentava, tra cui uno studente o un parroco con cui la ragazza si confidava. Il programma di RaiTre è tornato più volte a parlare della scomparsa di Sonia, aggiungendo inquietanti dettagli rivelati da un supertestimone che avrebbe parlato di don Francesco Ciacca, 43 anni, un sacerdote arrestato nel settembre 2006 con l'accusa di spaccio di droga, di cui Sonia sarebbe stata innamorata.
La guardia di finanza è arrivata a don Ciacca seguendo un pacco con mezzo chilo di cocaina pura e qualche etto di marijuana spedito dal Sudamerica e diretto al sacerdote. Il destinatario aveva un nome fittizio, un sacerdote della curia arcivescovile di Perugia che non esiste, però don Francesco aveva avvertito: "Se arriva un pacco indirizzato a questa persona, mettetelo da parte che è per me". Poi l'arresto del prete e la richiesta di quest'ultimo di tornare allo stato laicale. L'estate scorsa l'ultimo aggiornamento della redazione di Chi l'ha visto?: un detenuto, Michele Mariucci, "racconta dal carcere di Perugia i suoi rapporti con Sonia: l'uomo, che lavorava come inserviente a Montemorcino, è stato arrestato per spaccio di droga insieme a Don Ciacca".
"Sono tre anni - ha detto oggi Piermassimo, il fratello di Sonia - che viviamo come sospesi, cercando di capire cosa è accaduto e perché. Sarebbe una grande ingiustizia che ci si dimenticasse di lei in quanto si tratta di una ragazza di famiglia umile. E' ora di squarciare il silenzio. Basta con questa omertà. Fateci sapere che fine ha fatto Sonia".
All'iniziativa di oggi a Palazzo dei Priori (nella sala era esposta una grande fotografia di Sonia Marra) hanno partecipato i capigruppo del Consiglio comunale, i familiari di Sonia, alcuni rappresentanti dell'amministrazione comunale di Specchia e dell'associazione Penelope composta da parenti di persone scomparse. C'erano anche il viceprefetto Agata Iadicicco dello speciale ufficio che si occupa a livello nazionale dei casi di sparizione e il vicesindaco di Perugia, Nilo Arcudi. Il presidente nazionale dell'associazione Penelope, Elisa Pozza Tasca, ha ricordato che dal 1974 sono scomparse in Italia 24.804 persone (sono 117 in Umbria e di questi 57 a Perugia) e che negli istituti di Medicina legale ci sono 700 cadaveri "senza un nome".
In apertura il presidente del consiglio comunale Alessandro Mariucci ha detto che "è assolutamente inaccettabile che in una città civile, nota in tutto il mondo come a Perugia, una ragazza possa scomparire nel nulla. Per questo siamo qui, per riportare l'attenzione sull'inquietante e triste vicenda, per chiedere con forza che le ricerche continuino". Gli assessori comunali di Specchia, Sara Marciano e Isabella De Nicola, hanno ricordato che la loro amministrazione ha dato vita a varie iniziative, tra cui una fiaccolata e due consigli comunali dedicati alla scomparsa della giovane, per tenere alta l'attenzione sulla vicenda. "Siamo qui - hanno sottolineato - affinché si rompa il silenzio e si riaccendano i riflettori sulla scomparsa di Sonia. Chiediamo che se a Perugia qualcuno sa qualcosa, finalmente parli".
Il viceprefetto vicario Agata Iadicicco ha sottolineato che l'ufficio "Persone scomparse" è stato costituito recentemente per "una forte spinta dal basso, proprio da parte dei cittadini, in particolare di coloro che vivono queste tremende vicende in famiglia". "In questa fase - ha detto - stiamo dando grande impulso al varo di una legge ad hoc sulle persone scomparse. Un altro importante passo avanti - ha spiegato - è stato, di recente, la creazione di un sistema integrato che permetterà di confrontare i dati sulle persone scomparse con quelli dei cadaveri ancora non identificati presso gli istituti di medicina legale. Con l'esame del Dna - ha detto - si potranno dare molte risposte".
(la repubblica 16 novembre 2009)
domenica 15 novembre 2009
Avvocato si uccide a via Poma,un palazzo di delitti e misteri
Arriva la polizia e i condomini pensano che sia ancora per Simonetta | |
Quel palazzo Anni Trenta tra delitti e misteri |
Di nuovo le volanti a via Poma 4, parcheggiate di corsa, vicino all’entrata. E gente che grida o piange in silenzio, portoni sbarrati, ambulanze, vigili del fuoco, sirene. «E ora, che altro è successo?», esclamano i condomini. C’è un uomo, un noto avvocato, che si è ucciso nel suo studio, ma la gente pensa ancora a lei, a Simonetta Cesaroni, al processo riaperto in questi giorni, «forse sono qui per cercare nuovi indizi e testimoni». Quasi vent’anni dopo, poco probabile. Invece un altro fattaccio è appena avvenuto tra le mura dell’ormai noto stabile Anni Trenta con il cortile al centro e la fontana circondata da sei palazzine. Quartiere Delle Vittorie, a pochi metri da piazza Mazzini.
Se nel ’90 - era il 7 agosto, Roma era calda e deserta - Simonetta tentò di difendersi come potè, perché era giovane, bella e voleva vivere, ieri l’affermato avvocato cinquantenne non è riuscito a fuggire dal suo personale momento di disperazione. Se allora, sempre nel ’90, Simonetta scappò impaurita in un’altra stanza dell’appartamento, ma venne immobilizzata, sbattuta a terra e colpita 29 volte con un tagliacarte, ieri il noto penalista si è seduto lentamente al suo posto, ha scritto una lettera e scelto di morire perché a volte la vita appare peggio della morte.
Di nuovo in via Poma, stavolta nella palazzina di fronte a quella dove dal primo luglio del ’90 Simonetta lavorava, due pomeriggi a settimana, nella sede dell’Aiag, III piano, interno 7, scala B. Ma al piano terra, in uno dei tanti studi legali del complesso e del quartiere. «Non è un palazzo maledetto, è che siamo tanti, ci sono settantadue uffici», dice un’elegante signora. E una giovane donna, che rientra col suo cane: «Non se ne può più, in questo condominio...», sussurra angustiata.
Non è un mistero, non è un giallo, stavolta. Nessuna similitudine, nessun parallelo, se non che siamo di nuovo in via Poma non in una via qualunque e la gente si ferma più incuriosita del solito pensando a un ennesimo sopralluogo. Risale all’84 il primo delitto: scala E, I piano, via Poma 4. Renata Moscatelli, 68 anni, nubile, figlia di un ex generale dei carabinieri viene trucidata. E’ il 24 ottobre, a trovarla cadavere nel suo appartamento è la sorella. Ha il pomo d’Adamo rotto, la fronte lacerata. Si è trascinata in camera da letto dal soggiorno, forse per arrivare al telefono. Nessun ipotesi, nessun movente, mai trovato alcun segno di scasso, la sua morte resta un mistero. Lascia un mistero dietro di sè anche l’avvocato, però: in tanti ieri, quanti l’hanno amato e come sempre accade, stavano a chiedersi in lacrime il perché del suo gesto.
di MARCO DE RISI
Un colpo di pistola alla tempia destra. Si è tolto la vita così, seduto nel suo studio in via Poma, un noto avvocato penalista di 50 anni, patrocinante in Cassazione. E’ stato trovato riverso sulla scrivania, la testa immersa nel sangue. A terra la pistola che deteneva regolarmente, una calibro 9. Sulla scrivania un cellulare e una lettera di addio e di scuse. Il legale era tornato nello studio dopo aver assistito ad alcuni interrogatori di suoi clienti.
Il suicidio si è verificato nello stesso condominio dove è stata uccisa Simonetta Cesaroni. A trovare il cadavere dell’avvocato, nel suo studio al piano terreno, sono stati i vigili del fuoco che per entrare hanno dovuto forzare la porta. A chiamare i pompieri, verso le due del pomeriggio, era stata la suocera preoccupata dopo che il legale per ore non aveva risposto al cellulare. Aveva provato a telefonargli anche il figlio, un bambino di 11 anni.
Ai primi soccorritori è apparso subito chiaro che ormai non c’era più nulla da fare. L’avvocato, probabilmente in mattinata, s’era seduto alla scrivania, aveva scritto la lettera di addio. Poi ha impugnato la sua Beretta calibro 9 e dopo avere appoggiato la canna alla tempia ha premuto il grilletto. A via Poma, proprio nello stabile del “giallo” ora tornato alla ribalta con il rinvio a giudizio dell’ex fidanzato di Simonetta, sono nuovamente apparse le “volanti” del 113 e le auto del commissariato “Prati”. E’ iniziato un lungo sopralluogo per verificare che si trattasse effettivamente di suicidio. Dai primi rilievi della polizia scientifica, pare non ci siano dubbi. La posizione del corpo, le tracce di sangue, il punto in cui è stata trovata la pistola non lascerebbero spazio ad altre indagini. L’avvocato lascia il figlio piccolo e la moglie avvocato da cui era separato da un anno. Le cause del gesto sono probabilmente racchiuse nella lettera presa in consegna dalla scientifica insieme alla pistola e al cellulare del professionista. Alcuni parenti accorsi a via Poma hanno raccontato di non aspettarsi un gesto simile. L’avvocato era un professionista serio e stimato, dagli amici descritto come persona piena di umanità e buon padre. Era stato il difensore di uno degli indagati e condannati per la truffa alle “Coop Casa Lazio” e aveva difeso anche i presunti assassini di Rosanna Iannaccone, uccisa a Torpignattara a colpi di pistola in faccia in un regolamento di conti del crimine organizzato.
Il Messaggero 15 novembre 2009
Flavia Amabile: Pedofilia Rignano Flaminio (articoli)
Rignano, l'ora degli sputi
Fuori del tribunale una lite tra due imputati e i genitori dei bambini che hanno denunciato gli abusi
FLAVIA AMABILE
E' andata come in fondo si temeva, questa seconda udienza preliminare per gli abusi denunciati dalle famiglie dei bambini che frequentano la scuola materna Olga Rovere. Due imputati, Gianfranco Scancarello e la moglie, sono entrati dall'ingresso principale del tribunale. I genitori erano lì, poco prima era già passata un'altra delle imputate ma non era accaduto. Gianfranco Scancarello, però, non si limita a passare, quando vede i genitori li apostrofa: 'Bravi, siete stati proprio bravi!' esclama, secondo il racconto dei legali della difesa dei genitori.
A quel punto la tensione esplode. Si arriva in un istante agli insulti e agli sputi. I due vengono accompagnati all'esterno del tribunale e pregati di entrare da un ingresso secondario. Ne approfitteranno più tardi per chiedere il trasferimento del processo per inquinamento ambientale. La richiesta verrà rifiutata: all'ambiente dei coniugi Scancarello non interessa nulla, a Tivoli nemmeno sapevano dell'udienza, davanti al tribunale non c'erano assembramenti se non il minimo indispensabile per un processo ad alto impatto mediatico.
Dentro il tribunale l'udienza è stata una sconfitta su tutti i fronti per gli imputati. Il pm Marco Mansi ha ribadito la richiesta di processo per tutti gli indagati per i presunti abusi sessuali. Il gup ha respinto tutte le eccezioni preliminari difensive. «L’udienza ha segnato un ulteriore passo in avanti per accertare la verità», hanno detto i legali di parte civile
Franco Merlino ed Antonio Cardamone. «La richiesta di rinvio a giudizio ha sottolineato la validità delle dichiarazioni di bambini e genitori, dei risultati degli incidenti probatori e dei riscontri oggettivi», ha aggiunto Carlo Taormina.
Per i difensori degli accusati, «nulla di sorprendente; tenuto conto di quanto evidenziato dal pm, un rinvio a giudizio sarebbe assolutamente assurdo», ha detto l’avvocato Borgogno. A lui si è aggiunto l’avvocato Giosuè Naso: «Do per scontato il rinvio a giudizio. Sarà un processo scandaloso, devastante, ma lì cominceremo a fare sul serio». Prossima udienza, il 15 gennaio 2010 per un «esame incrociato» chiesto da Scancarello
e Del Meglio per rispondere alle contestazioni.
(la stampa 15 novembre 2009) Leggi i commenti
Le maestre in tribunale per difendersi dalle accuse di pedofilia sui loro alunni | |||||||||||||||||||
FLAVIA AMABILE | |||||||||||||||||||
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lunedì 9 novembre 2009
Via Poma: Raniero Busco, fidanzato di Simonetta, rinviato a giudizio
ROMA (9 novembre) - Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, è stato rinviato a giudizio dal gup Maddalena Cipriani per il delitto di via Poma. Il gup ha accolto le richieste del pubblico ministero Ilaria Calò, dopo averne ascoltato l'intervento, che è stato seguito da quelli dell'avvocato di parte civile Lucio Molinaro e del difensore Paolo Loria. Il processo comincerà il 3 febbraio prossimo davanti ai giudici della Terza corte d'Assise. Busco, che oggi è sposato e ha due figlie, lavora come meccanico presso l'aeroporto di Fiumicino.
Simonetta Cesaroni venne uccisa con 29 colpi di tagliacarte il 7 agosto del 1990, nella sede dell'Associazione italiana alberghi della gioventù in via Carlo Poma. Per anni le indagini non avevano portato ad alcun esito. Ma nel 2007 il pubblico ministero Roberto Cavallone soffermò la sua attenzione su Raniero Busco esaminando una sua intervista alla Rai mai trasmessa. Nel corso delle indagini del pubblico ministero vennero svolte indagini genetiche affidate al maggiore Marco Pizzamiglio, al tenente colonnello Luciano Garofano e al professor Vincenzo Pascali. Gli accertamenti sulla macchia di sangue rilevata su una porta dell'ufficio di via Poma non permisero di confermare o escludere la presenza di materiale genetico di Busco in questa traccia di sangue. Ulteriori elementi d'accusa sono sorti dall'esame del reggiseno che la Cesaroni indossava al momento del fatto, reggiseno sul quale sono state trovate tracce di saliva corrispondente al dna di Busco. Ma un elemento decisivo per convincere che Busco poteva essere l'assassino della Cesaroni è venuto dalla comparazione di un morso rilevato sul seno sinistro della vittima con la fotografia dell'arco dentale superiore dell'ex fidanzato.
«Busco è stato incastrato», afferma l'avvocato Paolo Loria, esprimendo «estrema delusione. Il rinvio a giudizio di oggi - aggiunge il penalista - è dovuto a quella traccia di saliva che è stata trovata sul corpetto della Cesaroni. In aula dimostreremo che non ci sono prove a carico di Busco, ma solo quella traccia che potrebbe essere frutto di una contaminazione fra reperti. Faremo emergere le contraddizioni di cui è piena questa vicenda. Il pm ha sostenuto la sua tesi accusatoria, ma ha presentato solo delle mezze prove. Pensavamo non ci fossero elementi evidenti per arrivare al rinvio a giudizio. Le argomentazioni del pm non sono convincenti: c'è stata una interpretazione possibilista sul sangue commisto e sul morso».
L'avvocato Lucio Molinaro, legale di parte civile della famiglia Cesaroni ha mostrato soddisfazione, sottolineando che «la parte civile non può non essere appagata da questa conclusione. Il rapporto dei due era ormai esasperato dalle troppe liti e uno dei due alla fine ha ceduto. È un fatto noto che i rapporti tra i due non fossero idilliaci. Da parte di Simonetta c'erano lamentele e risentimento per essere trascurata, da parte di lui una indifferenza giovanile». Secondo il penalista «risulta anche dai diari della Cesaroni». La morte è stata una conclusione inaspettata dopo un tentativo di chiarimento, avvenuto il giorno della morte.
Busco non era presente in aula. Hanno invece presenziato all'udienza, stando però fuori dall'aula, un gruppo di abitanti di Morena, dove abita l'imputato, sostenitori dell'innocenza di Busco, che hanno espresso in maniera composta il loro malcontento per la decisione del gup.
Il Messaggero 9 novembre 2009
Via Poma, i 19 anni di caccia al colpevole
7 agosto 1990
In via Poma, nell'ufficio dell'Associazione alberghi della gioventù, viene uccisa Simonetta Cesaroni. Il cadavere viene trovato grazie all'insistenza della sorella Paola, preoccupata per il suo ritardo. Simonetta è nuda, ma non ha subito violenza carnale. Il cadavere è stato trafitto con 29 colpi di tagliacarte, vibrati su quasi tutte le parti del corpo.
10 agosto 1990
Fermato Pietrino Vanacore, uno dei portieri dello stabile di via Poma, che sarà scarcerato il 30 agosto.
8 ottobre 1990
Consegnati i risultati dell'autopsia. Il corpo ha una lesione ad un'arcata sopracciliare e diverse ecchimosi. La morte, avvenuta tra le 18 e le 18,30, è dovuta alle coltellate, vibrate sul corpo senza vestiti.
16 novembre 1990
Il pm Catalani chiede l'archiviazione della posizione di Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta.
26 aprile 1991
Il gip Giuseppe Pizzuti accoglie la richiesta di Catalani e archivia gli atti riguardanti Pietrino Vanacore e altre cinque persone. Il fascicolo resta aperto contro ignoti.
3 aprile 1992
Avviso di garanzia a Federico Valle, nipote dell'architetto Cesare Valle, che abita nel palazzo di via Poma e che la notte del delitto ha ospitato Vanacore. Valle è coinvolto dalle dichiarazioni dell'austriaco Roland Voller.
16 giugno 1993
Il gip Antonio Cappiello proscioglie Valle per non aver commesso il fatto e Vanacore perchè il fatto non sussiste.
30 gennaio 1995
Escono di scena definitivamente Valle e Vanacore: la Cassazione conferma la decisione della Corte d'appello di non rinviare a giudizio i due indiziati.
12 gennaio 2007
La trasmissione Matrix rivela che dalle analisi del Ris di Parma sarebbe emerso che il dna trovato sugli indumenti di Simonetta è dell'ex fidanzato Raniero Busco. Simonetta inoltre non sarebbe morta alle 18, ma alle 16. Il pm Cavallone decide di querelare Mentana per le rivelazioni.
6 settembre 2007
Busco è iscritto dalla procura di Roma sul registro degli indagati per omicidio volontario.
28 maggio 2009
La procura di Roma chiede il rinvio a giudizio di Raniero Busco.
giovedì 5 novembre 2009
Garlasco:Nuova ipotesi su arma, "forbici da sarto"
Durata aggressione a Chiara circoscritta a circa venti minuti
Vigevano (Pavia), 4 nov. (Apcom) - Una piccola piccozza, un oggetto da giardinaggio, uno scioglinodi da marinaio, molto più probabilmente un martello, ma forse anche un paio di grosse forbici da sarto. È questa l'ultima delle tante ipotesi sull'arma usata dal killer di Chiara Poggi il 13 agosto 2007 a Garlasco. A farla emergere, per la prima volta, è una relazione depositata a settembre dai consulenti della Procura Marco Ballardini e Giovanni Pierucci, in replica alla perizia medico-legale. Per gli esperti super partes, sentiti oggi in aula nel processo con rito abbreviato a carico di Alberto Stasi, sono però maggiori le possibilità che Chiara sia stata uccisa con "un martello da muratore". Resta il fatto che, a oltre due anni dall'omicidio, il ventaglio delle ipotesi sull'arma del delitto, mai trovata, invece di ridursi si allarga.
Subito dopo l'omicidio Ballardini, autore dell'autopsia, aveva fatto riferimento a "un oggetto contundente con una stretta superfice battente con uno spigolo molto netto e una punta". Dopo il 30 aprile 2009, quando il gup Stefano Vitelli ha chiesto un supplemento di indagini e incaricato i propri periti, al medico legale della prima ora la Procura ha affiancato un consulente di primo piano, Pierucci, già direttore dell'Istituto di medicina legale dell'università di Pavia. È dunque anche sua la firma sotto la relazione che aggiunge le forbici alla lista delle possibili armi del delitto. Una novità che però oggi non ha convinto i periti dell'università di Torino, Lorenzo Varetto, Fabio Robino e Fabrizio Bisson, più propensi a sostenere l'ipotesi del martello e fermi nel dilatare l'ora del delitto tra le 7 e le 12.30. L'udienza di oggi, dedicata alla perizia medico-legale, in realtà è iniziata con un approfondimento ancora relativo a quella informatica. È stato stabilito infatti che sei delle sette telefonate a vuoto dal cellulare di Stasi su quello di Chiara la mattina del delitto sono frutto della mancanza di copertura di rete in quel minuto. Subito dopo si è passati alla discussione dei tempi e sulla dinamica dell'omicidio. "Un'aggressione in due fasi" durata "anche decine di minuti" era scritto nella perizia.
La finestra temporale è stata però oggi circoscritta a una ventina di minuti. Quanto infine alla traccia di dna di Chiara sul pedale della bicicletta di Stasi, i periti hanno risposto che si tratta, più probabilmente, di quanto lasciato da tessuto biologico più che da materiale fluido come il muco nasale. Da qui si ripartirà nella prossima udienza, fissata per martedì 10 novembre.
lunedì 2 novembre 2009
Perugia, Meredith: 'Una telefonata scagiona Amanda'
La telefonata, registrata dalla polizia negli uffici della Questura, venne fatta da un amico a Guede, quando questi era in fuga, in Germania, pochi giorni dopo il delitto. "In quella conversazione - dice Mellas - Guede pronuncia le uniche parole di verità che abbia mai detto. E cioè che Amanda non c'entra nulla". Il padre acquisito della ragazza commenta poi la decisione dei giudici di respingere la richiesta, da parte della difesa di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, di fare svolgere nuove perizie. "Si vede - afferma - che hanno ormai chiaro il quadro della situazione; quel che è certo è che Amanda è stata contenta di questa decisione. Le nuove perizie avrebbero significato allungare il processo di altri mesi", conclude Mellas, ricordando che Amanda e Raffaele sono in carcere preventivo da due anni. "Amanda - dice - vuole che al più presto vengano pronunciate le parole che aspetta da tempo di sentire: 'non colpevole"'.
La Nuova Sardegna Lunedì 02 novembre 2009 09.13