sabato 26 dicembre 2009
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martedì 22 dicembre 2009
Garlasco, Stasi: Altre immagini pedopornografiche nel computer
L'indagine su Stasi va avanti Altre immagini nel computer
Per i periti informatici si tratta di materiale pedopornografico
iVIGEVANO (Pavia) — Dieci nuove immagini pedopornografiche sul computer di Alberto Stasi. Fotografie e filmati che ritraevano bambini in atteggiamenti inequivocabili con adulti. I nuovi file, che si aggiungono alle 13 foto e ai quattro filmati che il 20 dicembre 2007 costarono la doppia accusa di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico all'ex studente bocconiano (all'epoca ancora indagato per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto precedente a Garlasco) sono stati scoperti due giorni fa dai periti informatici nominati dal Tribunale di Vigevano, l'ingegner Roberto Porta e il dottor Daniele Occhetti.
All'indomani della sentenza emessa giovedì pomeriggio dal giudice Stefano Vitelli, mentre nella villa-castelletto degli Stasi a Garlasco Alberto festeggiava la sua assoluzione dall'accusa di omicidio, a Torino gli esperti informatici si riunivano per esaminare il suo computer. E far luce, come da richiesta del gup, sul secondo capo d'imputazione che ancora pende sul biondino di Garlasco: aver detenuto e divulgato immagini choc che, durante le indagini per l'omicidio di Chiara, vennero scoperte dagli esperti del Ris di Parma nella memoria del pc del giovane (oltre che su un hard disk esterno). Quando il 24 febbraio scorso si aprì in Tribunale il processo per il delitto di Garlasco la pm Rosa Muscio, tuttora convinta della colpevolezza di Alberto, cercò di unire i due fascicoli. Il giudice Vitelli rigettò la richiesta e, da allora, i due procedimenti hanno viaggiato su binari diversi.
Come lo scorso agosto furono gli ingegneri Porta e Occhetti a scovare i file temporanei che hanno ridato l'alibi ad Alberto (la prova che lui stava lavorando al pc nel momento in cui, secondo la Procura, Chiara veniva uccisa), sempre loro venerdì hanno scoperto, oltre a un migliaio di file pornografici, le nuove fotografie e i nuovi filmati con protagonisti ragazzini in tenera età che risultavano cancellati dal pc di Alberto. E che, finora, nessuno era riuscito a trovare.
Erika Camasso
20 dicembre 2009(ultima modifica: 21 dicembre 2009)
OMICIDIO MEREDITH. OGGI LA SENTENZA D'APPELLO PER RUDY GUEDE
La difesa chiede l'assoluzione e in alternativa le attenuanti generiche
Oggi la sentenza d'appello per Rudy Guede, l'ivoriano accusato di aver partecipato all'omicidio di Meredith Kercher e di averla violentata. I PM hanno chiesto la conferma della pena inflitta in primo grado, ovvero sia 30 anni di carcere. Stessa richiesta è stata avanzata dai legali di parte civile.
Nella loro arringa i difensori di Guede, Walter Biscotti e Nicodemo Gentile, hanno chiesto, in via preliminare, l'assoluzione per il loro assistito e in subordine la concessione delle attenuanti generiche ( già accordate ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito ). Secondi i difensori Rudy Guede è stato " vittima di un linciaggio mediatico e indicato come il colpevole designato ". Ma non è stato lui ad uccidere Meredith e, quindi " va assolto. Noi vogliamo la sua assoluzione " e , comunque " merita le attenuanti. Il nostro assistito è incensurato, giovane, non è bugiardo, non ha calunniato nessuno ed è l'unico ad aver collaborato ed ha sempre raccontato la stessa versione dei fatti ".
"Chi l'ha visto?": Il Natale di Liam
giovedì 17 dicembre 2009
Garlasco: Il giorno della sentenza.Stasi rischia 30anni
Oggi il verdetto sull'omicidio Poggi.Stasi: "Sereno, senza voglia di riscatto"
Il ragazzo di Chiara rischia trent'anni
Alberto Stasi "finisce questa vicenda senza rancori o voglia di riscatto". A poche ore dalla sentenza per l'omicidio di Chiara Poggi del 13 agosto 2007 a Garlasco, e dopo le polemiche con la parte civile sugli eventuali risarcimenti chiesti e non chiesti, è Giuseppe Colli, uno dei suoi legali, a riassumere così lo stato d'animo dell'ex bocconiano. Una gran voglia di tornare alla normalità dopo oltre due anni trascorsi tra casa propria e lo studio legale dei Colli per studiare le carte del processo insieme ai difensori.
Il 26enne confida che il giudice, Stefano Vitelli, creda a quanto da lui raccontato da sempre: "Non sono stato io, cercate altrove". L'accusa ha invece chiesto una condanna a 30 anni di reclusione, il massimo della pena prevista con il rito abbreviato, per omicidio volontario aggravato da crudeltà e senza attenuanti generiche. Secondo la procura ha solo messo in scena il ritrovamento del cadavere di Chiara dopo averla uccisa. Lo dimostrano le contraddizioni tra il suo racconto con la scena del crimine e soprattutto le sue scarpe immacolate nonostante il passaggio in mezzo a numerose macchie di sangue in gran parte ancora umide.
Contro l'ex bocconiano, sono parole del pm Rosa Muscio, ci sono indizi "chiari e inequivocabili". Le scarpe, ribatte la difesa, potevano anche non sporcarsi e comunque potrebbero essersi ripulite con l'utilizzo nelle ore precedenti il sequestro. C'è poi la questione delle tracce biologiche sui pedali della bicicletta, il portasapone di casa Poggi con l'impronta di Alberto e soprattutto l'alibi rafforzato dall'esito della perizia informatica: Stasi ha lavorato al computer dalle 9.36 alle 12.20. Il giudice entrerà oggi in camera di consiglio, dopo le controrepliche della difesa, e ne uscirà con una sentenza di assoluzione o di condanna.
17 dicembre, 08:41
VIGEVANO (PAVIA) - Conto alla rovescia per il giallo di Garlasco. Dopo le repliche delle difese previste per questa mattina, oggi il gup di Vigevano Stefano Vitelli, che sta celebrando il processo con rito abbreviato nei confronti di Alberto Stasi, imputato per l'omicidio della sua fidanzata Chiara Poggi, si ritirerà in camera di consiglio. Entro sera, salvo imprevisti, è previsto il verdetto.
Cala così il sipario sul primo atto del processo che vede imputato l'ex studente bocconiano, ritenuto dai pm Rosa Muscio e Claudio Michelucci responsabile del delitto, perché nei suoi confronti ci sono indizi "chiari ed inequivocabili": per lui hanno chiesto per la seconda volta 30 anni di carcere. I legali di Stasi, nel ribadire la sua innocenza, hanno chiesto l'assoluzione perché il processo non ha provato la sua responsabilità e non si è superato ogni ragionevole dubbio. La sentenza avrebbe dovuto arrivare lo scorso 30 aprile, ma il giudice dispose quattro perizie, ritenendo "incomplete" le indagini della Procura.
venerdì 11 dicembre 2009
Obama's Nobel Peace Prize speech (full text)
Remarks of the U.S. president in Oslo
msnbc.com
updated 9:15 a.m. ET Dec. 10, 2009
OSLO, Norway -
I receive this honor with deep gratitude and great humility. It is an award that speaks to our highest aspirations - that for all the cruelty and hardship of our world, we are not mere prisoners of fate. Our actions matter, and can bend history in the direction of justice.
And yet I would be remiss if I did not acknowledge the considerable controversy that your generous decision has generated. In part, this is because I am at the beginning, and not the end, of my labors on the world stage. Compared to some of the giants of history who have received this prize - Schweitzer and King; Marshall and Mandela - my accomplishments are slight. And then there are the men and women around the world who have been jailed and beaten in the pursuit of justice; those who toil in humanitarian organizations to relieve suffering; the unrecognized millions whose quiet acts of courage and compassion inspire even the most hardened of cynics. I cannot argue with those who find these men and women - some known, some obscure to all but those they help - to be far more deserving of this honor than I.
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But perhaps the most profound issue surrounding my receipt of this prize is the fact that I am the Commander-in-Chief of a nation in the midst of two wars. One of these wars is winding down. The other is a conflict that America did not seek; one in which we are joined by forty three other countries - including Norway - in an effort to defend ourselves and all nations from further attacks.
Still, we are at war, and I am responsible for the deployment of thousands of young Americans to battle in a distant land. Some will kill. Some will be killed. And so I come here with an acute sense of the cost of armed conflict - filled with difficult questions about the relationship between war and peace, and our effort to replace one with the other.
These questions are not new. War, in one form or another, appeared with the first man. At the dawn of history, its morality was not questioned; it was simply a fact, like drought or disease - the manner in which tribes and then civilizations sought power and settled their differences.
Over time, as codes of law sought to control violence within groups, so did philosophers, clerics, and statesmen seek to regulate the destructive power of war. The concept of a "just war" emerged, suggesting that war is justified only when it meets certain preconditions: if it is waged as a last resort or in self-defense; if the forced used is proportional, and if, whenever possible, civilians are spared from violence.
For most of history, this concept of just war was rarely observed. The capacity of human beings to think up new ways to kill one another proved inexhaustible, as did our capacity to exempt from mercy those who look different or pray to a different God. Wars between armies gave way to wars between nations - total wars in which the distinction between combatant and civilian became blurred. In the span of thirty years, such carnage would twice engulf this continent. And while it is hard to conceive of a cause more just than the defeat of the Third Reich and the Axis powers, World War II was a conflict in which the total number of civilians who died exceeded the number of soldiers who perished.
In the wake of such destruction, and with the advent of the nuclear age, it became clear to victor and vanquished alike that the world needed institutions to prevent another World War. And so, a quarter century after the United States Senate rejected the League of Nations - an idea for which Woodrow Wilson received this Prize - America led the world in constructing an architecture to keep the peace: a Marshall Plan and a United Nations, mechanisms to govern the waging of war, treaties to protect human rights, prevent genocide, and restrict the most dangerous weapons.
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giovedì 10 dicembre 2009
GARLASCO:SPOSTATA L'ORA DEL DELITTO.PM CHIEDE 30 ANNI PER STASI
Garlasco, il pm sposta l'ora del delitto:«Condannate Stasi a 30 anni»
La nuova ricostruzione dell'accusa: «Chiara è morta nella seconda parte della mattinata»
VIGEVANO (PAVIA) - Alberto Stasi deve essere condannato a 30 anni di carcere: è questa la richiesta del pm Rosa Muscio al gup di Vigevano Stefano Vitelli, chiamato ad emettere il verdetto sul giovane di Garlasco, accusato dell'omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Una condanna, senza attenuanti, che è il massimo della pena prevista in caso di processo con il rito abbreviato. Il pm ha inoltre chiesto al giudice di non concedere le attenuanti generiche e di considerare invece le aggravanti delle sevizie e dei futili motivi. Secondo il pubblico ministero, contro Alberto Stasi c'è un quadro indiziario «grave e preciso» che lo rende l'unico responsabile del delitto del 13 agosto 2007.
ORARIO - L'ultima mossa a sorpresa, da parte dell'accusa, è stata lo spostamento in avanti dell'orario dell'omicidio in base alla nuova perizia informatica firmata dagli ingegneri Roberto Porta e Daniele Occhetti: Chiara, sostiene adesso il pm, non è morta tra le 11 e le 11.30 ma «nella seconda metà della mattinata». Un orario che spiegherebbe l'impossibilità per Alberto di non sporcarsi le scarpe: le macchie di sangue sul pavimento di casa Poggi erano ancora fresche. La 26enne, dunque, è morta dopo le 12,20, quando Alberto smette di lavorare alla sua tesi. Le lancette in avanti lasciano più tempo per compiere e 'spiegare' alcuni dettagli di un delitto ancora irrisolto. Secondo la perizia informatica Alberto lavora al Pc portatile dalle 9,36 alle 12,20, mentre Chiara disattiva l'allarme di casa alle 9,10. Il biondino di Garlasco potrebbe avere ucciso la fidanzata nell'arco di 26 minuti: un tempo limitato ma possibile, come ha sempre sostenuto la parte civile. Altrimenti, è questa la nuova tesi sostenuta dall'accusa, Alberto potrebbe avere agito dopo. Solo alle 13.49 l'allora laureando scopre il corpo senza vita di Chiara.
ARMA E MOVENTE - Per il pm Rosa Muscio il punto cruciale per dimostrare che Alberto mente e non è mai rientrato in casa Poggi, è la consistenza delle macchie di sangue trovate sul pavimento della villetta di via Pascoli e descritte da alcuni investigatori. Le macchie sul pavimento sarebbero state troppo fresche per consentire ad Alberto di non sporcarsi, anche se in alcune perizie si parla di macchie quasi secche nella loro totalità. L'accusa, invece, sostiene che il sangue era liquido considerando anche l'ambiente di casa Poggi: le finestre erano ancora chiuse impedendo di fatto l'ingresso di luce e calore. Il «nuovo orario della morte» consente anche di «cancellare la testimonianza di una vicina di casa Poggi che ha sempre sostenuto di avere visto una bici, mai identificata, davanti alla villetta dell'omicidio alle 9,10 circa. Al momento nella sua ricostruzione il pm non ha ancora parlato né dell'arma, né del movente per cui Chiara è stata uccisa.
corriere della sera 10 dicembre 2009
martedì 8 dicembre 2009
AMANDA KNOX. I GENITORI LA INCONTRANO IN CARCERE
Dopo il caso diplomatico degli ultimi giorni riguardo la condanna di Amanda Knox a 26 anni di reclusione per l'omicidio di Meredith Kercher, il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Ian Kelly ha definito "giusto, aperto e trasparente" il sistema giudiziario italiano. Infatti durante la conferenza stampa di ieri, una giornalista della Fox aveva giudicato il sistema giudiziario italiano sommario tanto da paragonarlo a quello iraniano. La giornalista aveva anche ironizzato sul fatto che i giudici in aula indossino la fascia tricolore, quasi paventando una sorta di monarchia: ignorava forse che in ogni democrazia i giudici indossano la fascia della propria patria.
L'ex-segretario di stato Madeleine Albright ha affermato di non credere che la sentenza di Perugia sia stata dettata da sentimenti anti-americani: "nulla indica che non siano state seguite le regole penali in vigore".
Intanto Amanda ha chiesto di lavorare nella lavanderia del carcere di Perugia e di continuare a studiare a distanza la facoltà di lingue all'Universita' di Washington. Ai genitori che oggi sono andati ad incontrarla ha riferito : "Non voglio perdere la mia vita".
domenica 6 dicembre 2009
MEREDITH, SOLLECITO IN CELLA CON UN PEDOFILO. AMANDA, "PERCHE' NON MI CREDONO"
Amanda e Raffaele guardati a vista
Gli Usa contro la giustizia italiana
La notte in carcere. Lei: «Alla fine vincerò»: Lui: «Perché sono ancora qui?»
(Ansa)
USA CONTRO GIUSTIZIA ITALIANA - Anche in America: le tv hanno dato il verdetto in diretta, scatenato critiche al nostro sistema giudiziario. La senatrice Maria Cantwell, per esempio, sostiene di avere «seri interrogativi sul funzionamento del sistema giudiziario italiano» e sul fatto che «l'antiamericanismo possa avere inquinato il processo». Severi sia i giornali, sia gli avvocati statunitensi che hanno definito «oltraggioso il verdetto». L'attacco della Cantwell è totale: «Non esistevano prove sufficienti per spingere una giuria imparziale a concludere oltre ogni ragionevole dubbio che Amanda fosse colpevole. Il processo ha messo in evidenza una serie di difetti nel sistema di giustizia italiano, compresi il trattamento aggressivo dei poliziotti nei confronti di Amanda, il fatto che la giuria non sia stata tenuta in isolamento — consentendo così ai giurati di leggere gli articoli spesso scandalistici sulla vicenda — e la negligenza mostrata dagli inquirenti nella raccolta delle prove». Sostiene di averne parlato sia con l'ambasciata in Italia sia con il segretario di Stato Hillary Clinton. Non è stata l'unica, in America, a schierarsi apertamente contro la sentenza. I media hanno criticato «il mancato isolamento della giuria», e più di un aspetto dell'impianto accusatorio. Diversi esperti legali statunitensi hanno giudicato «scandaloso» il verdetto.
AMANDA E RAFFAELE SOTTO CHOC - Ma le polemiche arrivate dagli Usa non riescono a portare serenità ad Amanda Knox. Anche lei, così come Raffaele, è parsa sotto choc durante l'incontro coi suoi avvocati. «Non ricordo quasi niente di ieri sera, chi ho abbracciato al momento della sentenza?». Luciano Ghirga le sorride: «Hai stretto me, non ricordi?». Lei cambia discorso: «Io non vi ho mai preso in giro, sono innocente. Ma perché non mi credono? Perché mi hanno condannato? Con quali prove?». Prima della sentenza Raffaele le ha fatto arrivare un messaggio d'affetto. Lei però non ha voglia di parlarne: «Gli voglio bene anch'io, ma oggi sono troppo delusa». Alla stessa ora, a metà mattina, Raffaele Sollecito confessa al suo legale un dettaglio: «Ho capito di essere stato condannato solo quando sono tornato in carcere. L'ho scoperto dalla televisione». Lui è in cella con un anziano condannato per pedofilia. Il padre Francesco dice che non lo abbandonerà «mai». Per i genitori di Meredith Kercher, nessun trionfo: «Giustizia è fatta ma non possiamo dirci felici. Ci sono due ragazzi in carcere e nessuno ci ridarà la nostra Mez». Una posizione ribadita, in conferenza stampa, anche dal fratello Lyle: «È una sofferenza non soltanto per noi e per le persone che conoscevano Meredith. A vivere una profonda sofferenza oggi sono anche i due ragazzi che hanno ricevuto la sentenza di condanna per un lungo periodo di detenzione». «Mez ci manca tanto, anche se è sempre con noi», ha aggiunto la sorella Stephanie. La procura di Perugia, intanto, ha annunciato che non ricorrerà in appello: per il pm Manuela Comodi, la sentenza di venerdì è «un dispositivo già equilibrato».
Al. Cap.
corriere della sera 06 dicembre 2009
sabato 5 dicembre 2009
MEREDITH, SENTENZA: 26 ANNI PER AMANDA E 25 PER RAFFAELE
La pubblica accusa aveva chiesto per entrambi l'ergastolo | ||
IL MESSAGGERO 5 DICEMBRE 2009 PERUGIA (5 dicembre) - Dopo quasi 14 ore di camera di consiglio - la Corte di Assise di Perugia, due giudici togati e sei popolari, si era infatti ritirata alle 10,40 - Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati ritenuti colpevoli dell'omicidio di Meredith Kercher. La Knox è stata condannata a 26 anni di reclusione, Sollecito a 25 anni. |
venerdì 4 dicembre 2009
Meredith: Sentenza a mezzanotte
ASILO CIP E CIOP: I VIDEO E LA FURIA DEI GENITORI
Pistoia, mostrati i video dei maltrattamenti. Mamme e papà infuriati: botte. E ancora: "Immagini schifose, i piccoli fatti mangiare a forza e poi pestati"|
PISTOIA, 4 dicembre 2009 - "NON CI POSSO ancora credere. Ceffoni, violenze di ogni genere. Strattonavano mio figlio, che ha dieci mesi appena, per il braccino, e lo portavano via dal seggiolone per rinchiuderlo in una stanza tutto da solo. Lui sorrideva e la maestra giù a tirar botte». L’orrore i genitori l’hanno visto comparire nel pomeriggio di ieri su un piccolo schermo in una stanza della Procura, quando i magistrati hanno mostrato loro le immagini riprese con una telecamera nascosta. Fotogramma per fotogramma, si sono ingoiati tutta la violenza dell’asilo nido «Cip e Ciop» di Pistoia, dove mercoledì sono state arrestate la titolare, Laura Scuderi, 41 anni, e un’operatrice, Elena Pesce, 28, con l’accusa di maltrattamenti.
I PRIMI a salire gli scalini della Procura sono stati due genitori poco più che ventenni. La mamma con in braccio il figlio, che dispensa sorrisi dolci, mentre cerca di toccare microfoni e telecamere puntate sugli adulti. Un’attesa di un’ora, e all’uscita soltanto il padre trova la forza di raccontare la follia di un asilo che fino al giorno della chiusura forzata ha ospitato una trentina di bimbi dai cinque mesi ai quattro anni.
«Ho visto delle immagini schifose — dice rabbioso con le lacrime agli occhi —. Non erano sculaccioni, erano schiaffi forti, e alla testa. La maestra glieli dava per farlo mangiare, poi usciva dalla stanza, rientrava e lo strattonava per un braccio. Il mio bambino era seduto sul seggiolone, tranquillo. Sorrideva. Quella l’ha preso a ceffoni solo perché non voleva mangiare, poi l’ha messo in una stanza da solo». I due genitori hanno iscritto il loro bambino all’asilo tre mesi fa. «E per fortuna che è stato malato per venti giorni: si è risparmiato tante botte», arriva a dire ancora il padre, mentre il suo pensiero torna ai primi sospetti lasciati cadere nel vuoto. «Abbiamo cominciato a pensare ci fosse qualcosa che non andava poco per volta — spiega —. Vedevamo nostro figlio scosso, poi ha cominciato a tirarsi le botte in testa da solo. All’inizio pensavamo gli stessero spuntando i dentini. E invece...». E si dispera mentre la moglie si allontana dalla procura a passo svelto, e il figlio sempre più stretto a sé.
FORSE il racconto rappresenta soltanto una parte degli orrori che accadevano al nido. Gli inquirenti hanno parlato di bimbi piccolissimi costretti a ingurgitare il cibo con il bavaglio schiacciato sulla faccia, con tutti gli altri piccoli costretti a guardare. Altri venivano rinchiusi al buio nel bagno o fuori dalla porta al freddo. «Questa gente la deve pagare — continua concitato il padre —. Meglio per loro che le tengano in galera, perché se le prendo io... E non venitemi a parlare di legge. Qualsiasi babbo direbbe le stesse cose che ho detto io se avesse visto quelle immagini. Nessuna legge può vietarmi di vendicarmi. A me che lo amo più della mia vita».
«ABBIAMO detto alla polizia: o fate giustizia voi o ce la facciamo da soli, perchè quelle due non devono più poter camminare con le loro gambe», dice all’uscita dalla Procura la seconda coppia di genitori. «Le immagini sono nitidissime — raccontano —: abbiamo visto la titolare prendere mia figlia di 14 mesi per i capelli, con una violenza tale da sollevare perfino il seggiolone. Poi, tenendole la testa all’indietro, l’ha ingozzata di cibo e le ha premuto il bavaglino sul viso per non farla sputare. Quella non è una donna, è una bestia. E alle mamme che pensano che la polizia abbia sbagliato ad arrestare le due maestre, dico di guardare quelle immagini. Era un lager, non un asilo».
di SIMONE TRINCI
quotidiano.net 3 dicembre 2009
mercoledì 2 dicembre 2009
MEREDITH, MIGNINI: RAFFAELE ERA AMANDA-DIPENDENTE
E' alle battute finali il processo intentato contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Oggi l'arringa conclusiva di Luciano Ghirga, uno degli avvocati difensori di Amanda Knox. Ghirga ha puntato molto sulle modalità con cui è stato condotto il primo interrogatorio nei confronti della studentessa di Seattle. Amanda " fece tilt, ha sostenuto Ghirga, al termine di quattro giorni di stress ". Anche quando ha accusato del delitto Patrick Lumumba, lo ha fatto in seguito ad una " coartazione morale " non in modo diretto. " Manca la volontà ".
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Ghirga ha poi sferrato un attacco alla Polizia. " Su di lei è stato commesso un fallo da cartellino rosso. Il fatto che che sia stata sottoposta ad un interrogatorio senza la presenza del suo legale non riusciamo a sopportarlo. E' un'omissione gravissima ". Per quel che riguarda gli indizi a carico della Knox, Ghirga ha sostenuto di non credere assolutamente che il coltello indicato dall'accusa come arma del delitto sia stato effettivamente usato per uccidere Meredith. Vi è stata una involontaria contaminazione e comunque le tracce di DNA di Amanda trovate sulla lama sono troppo esigue.
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Infine la richiesta ai giudici. " Ridate la vita ad Amanda Knox assolvendola dai reati che le sono stati contestati, nel ricordo di Meredith . Assolvetela per non aver commesso il fatto. Ve lo chiedono i genitori di Amanda, non il partito di Seattle e non il clan Knox, ma due genitori disperati, Curt Konox ed Edda Mellas".
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La replica del PM, Mignini. " La colpevolezza di Rudy Guede non scagiona affatto Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Loro sostengono di non essere stati in via della Pergola ma sanno tutto: di come Rudy ha sfondato una finestra con un sasso, come si è arrampicato e come ha violentato Meredith. Le loro difese hanno parlato di contaminazioni biologiche che li riguardano ma quelle di Guede sono certe al cento per cento. C'è stata una contaminazione selettiva? ". " Amanda, ha continuato il PM, era una molla compressa che si è scatenata e Raffaele Sollecito la seguiva sempre e cercava di compiacerla. Pieni di droga e di alcol. Raffaele era Amanda dipendente ".
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Domani mattina la replica dell'altro PM, Comodi.
terniinrete 2 dicembre 2009
martedì 1 dicembre 2009
Meredith, avv.Bongiorno: Rudy e Raffaele non si conoscevano
Perugia, 30 nov. - (Adnkronos) - ''In questo processo tra tanti dubbi c'e' una certezza: Rudy Guede e Raffaele Sollecito non si conoscevano affatto. Si sono incontrati per la prima volta in aula durante l'udienza preliminare e l'unico elemento che li unisce e' il capo di imputazione''. Lo ha detto l'avvocato Giulia Bongiorno, difensore di Raffaele Sollecito, imputato con Amanda Knox nel processo per l'omicidio di Meredith Kercher, pronunciando la sua arringa davanti alla Corte d'Assise di Perugia rivolgendosi ai giudici popolari.
Meredith, difesa Sollecito:"Amanda è l'Amelie di Seattle"
Una dei due legali di Raffaele Sollecito, il giovane accusato con l'ex fidanzata americana Amanda Knox dell'omicidio a Perugia della studentessa britannica Meredith Kercher, ha parlato oggi per circa 8 ore per smontare le accuse contro il suo cliente e ha descritto Amanda come "l'Amelie di Seattle". Continua a leggere questa notizia
L'avvocata e parlamentare di centrodestra Giulia Bongiorno - che è anche presidente della Commissione Giustizia della Camera - ha descritto nella sua arringa il processo in corso nel capoluogo umbro come intriso "di dubbi", con un "teorema accusatorio privo di fondamento", poiché privo del movente che incastrerebbe Sollecito.
"E' stato arrestato per una impronta di scarpe che poi è risultata essere di Rudy", ha spiegato la legale, riferendosi a Rudy Guede, il terzo giovane accusato del delitto di Meredith - avvenuto nel novembre 2008 - e che è protagonista di un processo parallelo con rito abbreviato.
Bongiorno ha quindi definito "non credibile l'ipotesi di un omicidio compiuto con il concorso di due persone che neppure si conoscevano", facendo riferimento a Raffaele e a Rudy. Ha descritto il comportamento degli inquirenti come "discutibile, fino al punto di mettere in discussione la loro serenità durante le testimonianze dinnanzi alla corte, visto che nei brogliacci delle intercettazioni alle telefonate dei familiari di Raffaele, avevano già espresso un giudizio di colpevolezza, arricchendolo di particolari offensivi".
Bongiorno ha detto anche che "il coltello rinvenuto a casa di Sollecito non è l'arma del delitto". Lo proverebbero i periti quando hanno definito questo "coltellaccio incompatibile con l'atto omicida, ma non incompatibile, con la volontà di minacciare, mettendo così in discussione il capo d'accusa".
Quanto alle tracce di Dna di Meredith rinvenute sulla punta del coltello, Bongiorno ha spiegato che, stando alle perizie, la "traccia presentava una quantità di materiale genetico 'too low', insufficiente per essere analizzata.
La legale ha poi messo in discussione la "genuinità del reperto del gancetto del reggiseno di Meredith" (su cui ci sono le tracce di Sollecito) "repertato dopo 46 giorni dal rinvenimento del cadavere, quindi non puro e non utilizzabile come prova".
AMANDA-AMELIE E LA "SCATOLA NERA" DEL CELLULARE
Bongiorno ha descritto Amanda Knox come "l'Amelie di Seattle, una ragazza che osserva il mondo con gli occhi fantastici e che utilizza questo comportamento anche per sfuggire dalla realtà spesso dura".
"Quello che ha raccontato agli inquirenti è anche il risultato di questa personalità, ma l'ha fatto pensando di aiutarli a scoprire la verità, stimolata dagli agenti che le chiedevano di provare a ricordare e ad immaginare quanto fosse successo".
Bongiorno ha poi denunciato il comportamento degli inquirenti perché "agli accusati non è stata offerta la possibilità di essere assistiti da un legale durante gli interrogatori in questura".
Quindi ha parlato di una "scatola nera" in grado di dire molto sul delitto. Si tratta del "cellulare di Meredith Kercher" che, secondo il difensore di Sollecito, indicherebbe "l'ora dell'aggressione". L'avvocato colloca l'orario dell'aggressione "subito dopo le 21.56 del primo novembre del 2007, appena dopo la telefonata senza risposta che Meredith fa ai suoi familiari", appunto quella delle 21.56. "Dallo stesso cellulare sono partite due altre telefonate prontamente interrotte, una alla segreteria telefonica, l'altra al numero di una banca, in memoria nel cellulare di Meredith", ha detto l'avvocato.
Queste due telefonate "indicano chiaramente un'attività frenetica compiuta dall'assassino, appena dopo il delitto, che così ha provato a decifrare il funzionamento del telefono della vittima. Poi è scappato portandoli (questo e un secondo cellulare, ndr) con sé ma, all'arrivo di un segnale mms, alle 22.13, interpretato dall'assassino come pericolo di potere essere intercettato, ha buttato i due cellulari sottratti a Meredith nel giardino dove poi sono stati ritrovati dagli inquirenti".
Bongiorno ha detto che di "Raffaele ed Amanda non vi è traccia sul luogo del delitto, contrariamente a quanto si possa dire di Rudy" e che "è incredibile immaginare che i due fidanzatini abbiano ripulito le loro tracce, lasciando sul posto, isolandole, soltanto quelle di Rudy".
Il processo continuerà domani con le arringhe dei difensori di Amanda Knox, poi toccherà all'accusa fare le repliche e infine i giudici di corte d'Assise di Perugia si chiuderanno in camera di consiglio per la sentenza di primo grado.
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domenica 29 novembre 2009
MEREDITH, LEGALE SOLLECITO: RAFFAELE NON COLPEVOLE. VERITA' MOLTO LONTANA
Si avvia a conclusione il processo per l'omicidio di Meredith Kercher. Dopo gli interventi dei PM Mignini e Comodi e le arringhe delle parti civili tocca alle difese. Oggi è stata la volta della difesa di Raffaele Sollecito. " Raffaele Sollecito è la seconda vittima di questa vicenda , ha detto Luca Maori uno degli avvocati della famiglia Sollecito ". Ha descritto Raffaele come " un ragazzo mite, tranquillo e riservato con un approccio romantico verso l'altro sesso. Gli si è voluto cucire addosso un abito che non gli appartiene ". Per ciò che riguarda l'omicidio di Meredith, l'avvocato Maori non ha dubbi " in questo processo esiste già un colpevole ed è Rudy Guede, già condannato a 30 anni di reclusione ".
La lunga analisi difensiva si è conclusa a metà pomeriggio. Il legale si è soffermato su un particolare. Una traccia di sperma che è stata rinvenuta sotto il corpo di Meredith e che non è stata mai analizzata. " Per quale motivo due tracce di natura biologica trovate sulla federa del cuscino sotto il corpo di Meredith, visibili ad occhio nudo, non sono state mai analizzate? Non è stato fatto mai veramente nulla ed è veramente strano. Si sapeva, infatti, che quello della studentessa, era un delitto a sfondo sessuale ma non è stato accertato in alcun modo di che natura fossero quelle tracce che riteniamo di sperma e , soprattutto , a chi possano essere attribuite.Se fosse stato fatto il 2 o il 3 novembre del 2007, probabilmente la verità sarebbe stata, leggermente, diversa. Comunque, tutto il materiale acquisito è sufficiente per arrivare ad un verdetto di assoluta non colpevolezza del nostro assistito. La verità è ancora molto lontana dall'essere accertata ". Secondo uno degli avvocati della famiglia Kercher quelle tracce sul cuscino " hanno ben poco valore " . Per questo motivo la Corte ha deciso di non approfondire. Lunedi mattina alla ripresa del processo sarà l'onorevole Giulia Bongiorno a proseguire l'arringa difensiva di Sollecito.
A margine del processo si è saputo che i genitori di Amanda Knox, Kurt e ed Edda Mellas, sono stati denunciati dalla Polizia per diffamazione a mezzo stampa. Il fatto risale al giugno dello scorso e fa riferimento ad una intervista rilasciata dalla coppia al Sunday Times in cui si affermava che su Amanda erano stati compiuti abusi durante gli interrogatori in questura, a Perugia. Oggi è stata comunicata la conclusione delle indagini che prelude ad un loro rinvio a giudizio.
venerdì 27 novembre 2009
Omicidio Meredith, in aula il video sull'omicidio:tutti i movimenti dei presenti
PERUGIA - E' stato proiettato nell'aula del tribunale di Perugia, il video - una sorta di cartone animato - della ricostruzione dei pm sull'omicidio di Meredith Kercher. Nessuna telecamera ha potuto filmarlo, ma su decisione della Corte d'assise la proiezione è stata resa pubblica. Sia le immagini sia i personaggi erano a grandezza naturale. Il pm Manuela Comodi ha svolto il ruolo di voce narrante sulle singole proiezioni dell'omicidio.
Ore 15.48 del 1 novembre 2007. Meredith invia sms con cui avverte le sue amiche inglesi del ritardo all'appuntamento con loro.
Ore 16. Meredith lascia l'abitazione di via della Pergola per recarsi a casa delle amiche. Alcuni minuti dopo Raffaele e Amanda lasciano l'abitazione dei via della Pergola per andare a casa di Sollecito.
Ore 18. Amanda Knox esce da casa di Raffaele Sollecito. Questo stando alle cellule telefoniche.
Ore 18.27. Raffaele Sollecito interagisce con il suo pc portatile per vedere il film Il magico mondo di Amelie.
Ore 20.18. Amanda Knox in via Ulisse Rocchi riceve un sms da Lumumba nel quale invita la ragazza a non presentarsi al locale dato che non avrebbe lavorato.
Ore 20.30. Amanda Knox torna in via Garibaldi a casa di Raffaele Sollecito.
Ore 20.38. Amanda invia un sms di risposta a Patrick Lumumba.
Ore 20.46. Sollecito spegne il cellulare. Si trova ancora nell'abitazione di via Garibaldi.
Ore 20.45. Si è conclusa la frugale cena di Meredith con le amiche inglesi. Metz parte in direzione di via della Pergola con una sua amica che la lascerà a metà del tragitto per recarsi nella sua abitazione.
Ore 21. Meredith è a casa, mangia un fungo, si sdraia sul letto legge alcune dispense dell'università.
Ore 21.10. Non c'è più interazione umana con il pc di Raffaele Sollecito.
Ore 21.45. Amanda e Raffaele escono di casa e si recano in piazza Grimana. A poche decine di metri da via della Pergola i due giovani discutono, osservano dalla staccionata la casa e decidono sul da farsi. Un atteggiamento sospetto che sarà riportato in aula dal testimone Curatolo.
Ore 23.20. Amanda apre la porta di via della Pergola.
Ore 23.20. Amanda, Raffaele e Rudy entrano nella casa di via della Pergola dove era già presente Meredith. Nel video, come spiegato dal pm, non ci sono immagini che riguardano l'incontro tra Amanda e Rudy. Il motivo è che la ricostruzione si basa su testimonianze e riscontri autoptici e reperti.
Ore 23.21. Amanda e Raffaele vanno in camera loro mentre Rudy si reca in bagno.
Ore 23.25. Inizia la colluttazione tra Amanda aiutata da Raffaele, e Meredith. La ragazza inglese viene presa per il collo, poi sbattuta contro un armadio (lo dimostrerebbero le ferite al cranio). Tutto questo mentre si ribella. Entra Rudy Guede.
Ore 23.30. Meredith cade a terra. In tre cercano di spogliarla per sottometterla; riescono soltanto a toglierle i pantaloni. La ragazza riesce ad alzarsi, si dimena. Escono a questo punto dalle tasche di Amanda e Raffaele due coltelli: uno con la lama di quattro-cinque centimetri, l'altro invece un coltellaccio da cucina. Meredith con la mano destra cerca di parare le lame. Viene ferita.
Ore 23.35. Continua l'aggressione. Sollecito cerca di strappare il reggiseno alla ragazza inglese.
Ore 23.40. Meredith è in ginocchio, viene minacciata da Amanda con il coltello mentre Rudy la tiene con una mano e con l'altra effettua una violenza sulla vagina della ragazza inglese. Parte un primo colpo di lama sul viso, subito dopo un altro. Sono colpi però inoffensivi. Aumenta la violenza da parte dei tre.
Sollecito con il coltellino più piccolo sferra un colpo: la lama penetra nel collo per quattro centimetri. Da qui l'urlo straziante della ragazza inglese di cui parleranno alcuni testimoni. Amanda decide di zittirla, sempre secondo il video proposto in aula dai pm, e colpisce con il coltello da cucina alla gola: sarà la ferita mortale. Meredith si accascia a terra.
Ore 23.45. Metz viene aiutata ad alzarsi da Rudy e tossisce sangue. La ragazza inglese, morente, viene trascinata per continuare a spogliarla.
Ore 23.50. Amanda e Raffaele prendono i telefoni ed escono dall'appartamento. Rimangono in casa soltanto Meredith, morta, e Rudy. L'ivoriano si reca in bagno per prendere alcuni asciugamani al fine di tamponare il sangue che esce dal corpo della ragazza inglese poi, come dimostrano le impronte secondo l'accusa, mette un cuscino sotto la testa di Meredith.
Ore 00.10. I cellulari di Meredith vengono gettati in un giardino in via Sperandio.
Ore 00.15. Da questo momento in poi non ci sono più certezze, secondo il video, sui tempi per il depistaggio che sarà messo in atto da Amanda e Raffaele. Secondo l'accusa, però, a notte fonda i due ex fidanzati torneranno nel luogo del delitto, per cercare di pulire alcune impronte e rompere il vetro della finestra di una camera di via della Pergola al fine di simulare un furto finito con omicidio.
Amanda e Raffaele poi spoglieranno la vittima ormai deceduta - il reggiseno sarà lasciato a pochi centimetri dal corpo - e la copriranno con un piumone.
(21 novembre 2009) La Repubblica
domenica 22 novembre 2009
Meredith:chiesto l'ergastolo per Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Amanda Knox
Perugia, 21-11-2009
I pubblici ministeri Manuela Comodi e Giuliano Mignini hanno chiesto la condanna all'ergastolo per Raffaele Sollecito e Amanda Knox al termine della loro requisitoria nel processo per l'omicidio di Meredith Kercher davanti alla Corte d'assise di Perugia.
Per Amanda, inoltre, l'accusa ha chiesto 9 mesi di isolamento diurno, due mesi, invece per Sollecito. Le richieste sono arrivate al termine di una lunga requisitoria iniziata ieri mattina con il pm Mignini e proseguita oggi dalla collega Comodi.
L'udienza e' stata quindi rinviata a venerdi' prossimo.
Anche oggi i due imputati, che si proclamano innocenti, erano in aula.
Il pm ha parlato di "Prove scientifiche inconfutabili e sovrapponibili" emerse dalle indagini. Al termine della requisitoria la pubblica accusa fara' le sue richieste di condanna alla Corte. La sentenza per i due e' attesa per i primi di dicembre.
Ha definito "nulla" la possibilita' di contaminazione del Dna rilevato sulla scena dell'omicidio il pm Manuela Comodi nella sua requisitoria davanti alla Corte d'assise di Perugia. Riguardo alle critiche delle difese il magistrato ha detto che queste "hanno mancato il bersaglio e non sono mai andate oltre l'insinuazione".
"In ogni analisi biologica - ha aggiunto - e' insito il rischio di deperimento e di contaminazione. La biologa della polizia scientifica Patrizia Stefanoni ha pero' messo in atto tutte le procedure previste per evitare questi fenomeni e nessuno puo' affermare il contrario. I consulenti di parte hanno poi partecipato a sopralluoghi e analisi".
Riguardo al gancetto del reggiseno della vittima sul quale sono state trovate tracce del Dna di Raffaele Sollecito e della vittima, il pm ha spiegato che il reperto "non si e' mai spostato dalla stanza del crimine occupata solo da Meredith". "Sollecito - ha proseguito - non viveva in quella casa e non era stato in quella stanza"
MEREDITH: SOLLECITO, QUELLA SERA ERO A CASA MIA
(21 novembre 2009)
sabato 21 novembre 2009
Meredith, Requisitoria: Amanda ha covato odio per Meredith e voleva vendicarsi
Il pubblico ministero Mignini davanti alla Corte d'Assise: «La Knox ha covato odio per Meredith». E lei piange
PERUGIA - Amanda Knox «ha covato odio per Meredith» e la sera del 2 novembre del 2007 per la giovane americana «era venuto il momento di vendicarsi di quella smorfiosa». A parlare è il pm Giuliano Mignini nella sua requisitoria davanti alla Corte d'Assise a Perugia. Secondo il pubblico ministero, la sera del delitto la Knox doveva incontrare Rudy Guede, inizialmente da sola, forse per questioni legate alla droga di cui entrambi - ha spiegato - facevano uso. Poi però a loro si unì anche Raffaele Sollecito e tutti e tre insieme andarono nella casa di via della Pergola dove già si trovava Meredith. «A quel punto - ha detto Mignini - c' è stata una discussione per soldi o forse perché Meredith era contrariata dalla presenza di Rudy. A quel punto c' è stato il tentativo di coinvolgere Meredith in un pesante gioco sessuale, quella sera che era la prima in cui la giovane inglese era sola in casa. Amanda aveva il modo di vendicarsi di quella ragazza che stava solo con le amiche inglesi e la rimproverava per la sua mancanza di pulizia. È cominciato allora - ha sottolineato Mignini - il calvario di Meredith».
Amanda e Raffaele in aula
Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula Amanda e Raffaele in aula
«ACCUSE CONSAPEVOLI A UN INNOCENTE» - Il pm accusa la studentessa di Seattle anche di aver «consapevolmente accusato un innocente». Il riferimento è a Patrick Lumumba, che però non ha nominato espressamente, coinvolto nell'indagine sull'omicidio di Meredith Kercher dalle dichiarazioni alla polizia della giovane americana e poi prosciolto da ogni addebito (è infatti ora costituito parte civile nei confronti dell'americana accusata di calunnia nei suoi confronti). «Amanda - ha sottolineato il magistrato - non ha mosso un dito mentre languiva in carcere. Né lei né la madre che aveva raccolto le sue confidenze. E guarda caso - ha proseguito Mignini - si trattava di una persona di colore come Rudy Guede».
«DEMONIZZAZIONE DEI TESTIMONI» - Durante la requisitoria, Mignini si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa, parlando di una «continua operazione di demonizzazione» di alcuni testimoni facendo riferimento all'operato delle difese degli imputati. «Diversi testi - ha detto il pubblico ministero - hanno esitato a presentarsi agli inquirenti, ma poi lo hanno fatto in maniera assolutamente precisa. Le difese hanno invece insinuato il sospetto che lo hanno fatto per chissà quali manovre». Mignini ha poi evidenziato il «lavoro enorme» fatto dalla polizia «per accertare la verità sull'omicidio della ragazza inglese, della quale - ha detto - troppo spesso ci si dimentica». Ha ricordato l'impegno della squadra mobile di Perugia, dello Sco e della scientifica del capoluogo umbro e nazionale.
LE LACRIME DI AMANDA - Non è riuscita a trattenere le lacrime, Amanda Knox, dopo aver ascoltato in aula la lunga ricostruzione del pubblico ministero. Amanda, apparsa tesa e nervosa per gran parte dell'udienza, quando la Corte ha disposto una pausa di qualche minuto non è riuscita a trattenere le lacrime ed è stata accompagnata fuori dall'aula dagli agenti della polizia penitenziaria. Quando è rientrata è apparsa molto scossa e provata e, dopo essersi seduta, ha continuato a fare lunghi sospiri. Poi si è voltata verso Raffaele che la stava guardando e gli ha fatto un cenno con la testa come a voler rassicurare il ragazzo.
20 novembre 2009
venerdì 20 novembre 2009
Casalvelino, rinvenuto scheletro.E' il secondo in un mese
Nel settembre scorso la zona colpita da un violento incendio aveva fatto venire alla luce il primo scheletro
SALERNO - Uno scheletro umano è stato scoperto da un cacciatore a Casalvelino. Si tratta del secondo scheletro trovato in un mese. Lo scheletro, è stato ritrovato, nascosto dalla vegetazione in una boscaglia in località Carullo, lo stesso luogo dove un mese fa era stato rinvenuto un altro scheletro umano. Sul posto sono intervenuti i carabinieri per il recupero dei resti. Nel settembre scorso la zona era stata colpita da un violento incendio che aveva distrutto la fitta vegetazione, facendo venire alla luce il primo scheletro. Sul ritrovamento indaga la Procura della Repubblica di Vallo della Lucania.
Tre capsule sul lato sinistro della mandibola. Questo, l’unico indizio dello scheletro rinvenuto questa mattina nei boschi di Casalvelino, Comune del Cilento. Lo scheletro, rinvenuto da un cacciatore che ha dato l’allarme, non reca alcun segno di violenza ed è stato scoperto in località Carullo, a circa un chilometro dal luogo nel quale, esattamente un mese, fa, è stato ritrovato un altro scheletro umano, ancora senza nome. Lo scheletro, di sesso maschile, reca alcuni segni di combustione legati ad un incendio che ha coinvolto l’area durante il mese di settembre, ma per gli inquirenti i resti umani erano già sul luogo al momento dell’incendio. Dopo il recupero dello scheletro, sono già state avviate le indagini per risalire alla sua identità. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania, non escludono alcuna pista.
Corriere della Sera 20 novembre 2009
Emanuela Orlandi: Una sola chiamata registrata, la "voce" della banda della Magliana
Nell'organizzazione criminale che controllava Roma era una figura di terza fila
Caso Orlandi, da Mario l'ultima verità.Una sola chiamata registrata, ma decisiva
IL caso Orlandi riparte tirando un sottile filo sopravvissuto a un tempo ormai lunghissimo, un quarto di secolo. Da una telefonata, l'unica di cui si è conservata la registrazione, ricevuta dalla famiglia di Emanuela il 28 giugno 1983, sei giorni dopo la scomparsa.
Dall'uomo che, in quella circostanza, disse di chiamarsi "Mario", che offrì dettagli tutt'altro che eccentrici sul conto di quella ragazza, e che oggi, la Procura ne è convinta, si può concludere fosse "la voce della Banda della Magliana".
A "Mario", mercoledì notte, Sabrina Minardi, la donna che tra l'82 e l'84 fu l'amante di Enrico De Pedis ("Renatino", il capo della Banda), ha dato un nome e un cognome. Che per altro ai due pubblici ministeri che la ascoltavano non era del tutto sconosciuto. Perché già indicato nell'ultima delle informative della Squadra Mobile sulla "compatibilità" tra la voce di quella telefonata del giugno '83 e le identità di alcuni uomini della Banda oggetto di indagine in questo ultimo anno e mezzo. Chi è dunque "Mario"? E perché quella telefonata diventa oggi la chiave per venire a capo di uno dei più resistenti misteri italiani?
"Tutto quello che si può dire in questo momento, dice una fonte inquirente - è che "Mario" era una figura di terza fila della Banda, un ragazzino, un gregario. Che "Mario" è vivo. Che il suo nome non è stato sin qui "bruciato" dalla cronaca. E che porta a De Pedis". Quando si fa vivo con gli Orlandi il 28 giugno 1983, dice di avere 35 anni e di chiamare da un bar all'altezza di ponte Vittorio, tra il Vaticano e la scuola di musica dove Emanuela era stata vista per l'ultima volta. Parla con un forte accento romano e spiega di aver visto nel suo locale un tipo con due ragazze che vendono cosmetici "Avon", una delle quali dice di chiamarsi "Barbara" e di essere scappata di casa, dove pure ha deciso di tornare per il matrimonio della sorella. Ma alla domanda sull'altezza di quella "Barbara" incespica, chiede consiglio a un secondo uomo, la cui voce si sente in sottofondo.
Sembrano informazioni confuse e depistanti (o almeno tali verranno ritenute per 25 anni), ma che si incastrano con quelle che, nei tre giorni precedenti, sempre al telefono, sempre con gli Orlandi, ha fornito un'altra voce (di cui non esiste alcuna registrazione). Quella di un tale "Pierluigi". Il 25 giugno chiama due volte. Il 26, una terza e ultima volta. A differenza di "Mario" non ha un intercalare dialettale. Sostiene di avere 16 anni e che la sua fidanzata ha conosciuto a Campo dè Fiori due ragazze che vendono cosmetici. Una di loro ? dice - "si chiama Barbara", ha con sé il flauto, ma si rifiuta di suonarlo perché dovrebbe indossare gli occhiali, e se ne vergogna. Quindi aggiunge: "Occhiali a goccia e per astigmatici". E ancora: "Barbara tornerà a casa per suonare il flauto al matrimonio della sorella".
"Barbara", gli occhiali per astigmatici, la vendita di cosmetici, il flauto, il matrimonio della sorella. Questi dettagli cruciali che "Pierluigi" e "Mario" spendono con la famiglia Orlandi nell'arco dei primi sette giorni dalla scomparsa hanno una loro concretezza, ma dove e a chi portino è domanda che chi allora indaga decide di non coltivare. Né l'uno né l'altro hanno fatto cenno a una richiesta di riscatto, dunque ? è la conclusione ? quelle due voci maschili fanno perdere solo del tempo.
Del resto, lo scenario iperbolico che l'indagine sulla Orlandi comincerà a disegnare già nell'estate dell'83, contribuirà per almeno vent'anni a dimenticare sia "Pierluigi" che "Mario". Almeno fino a quando, nel 2006, Antonio Mancini, pentito della Banda della Magliana, non indica nella voce di "Mario" dopo che la trasmissione "Chi lo ha visto" ha reso pubblica la registrazione della telefonata del 28 giugno 1983 - "un killer di De Pedis". Mancini crede di riconoscere nell'uomo che parla un tale "Rufetto", che pure esce rapidamente di scena, perché escluso dalle prime perizie foniche disposte allora dalla squadra Mobile.
È un fatto però che proprio a partire da quel momento, il proscenio del caso Orlandi cominci ad essere occupato stabilmente dalla Banda della Magliana. Che in quella direzione indichi l'anonimo che invita a scoprire chi è sepolto nella cappella di Sant'Apollinare (Enrico De Pedis) e "per quale motivo". Detto altrimenti, quale sia "il favore" che la Banda ha reso al Vaticano per meritare che le spoglie del suo Capo riposino nel territorio della Santa Sede.
Comincia insomma un'altra storia, che nel giugno del 2008, come è noto, trova in Sabrina Minardi, ex moglie di Bruno Giordano e amante di De Pedis, la sua problematica testimone. Capace con il suo racconto (indica la prigione di Emanuela in una casa di Monteverde e nelle fondamenta di un cantiere di Torvaianica la sua tomba) non solo di stabilire un nesso tra De Pedis e monsignor Marcinkus, ex direttore dello Ior. Ma anche di svelarne la sostanza, indicando proprio in De Pedis l'uomo che del potente monsignore conosceva le debolezze sessuali e dunque l'unico in grado di risolvere il "problema Emanuela Orlandi", che di quelle "debolezze" sarebbe stato parte.
In cambio di cosa Emanuela sarebbe stata eliminata dalla Banda per conto di Marcinkus, la Procura, oggi, non è ancora in grado di dirlo. Forte però di una certezza. La fine di Emanuela Orlandi è cosa di "Renatino" e di quelli della Magliana. E "Mario" ne è la chiave.
(La Repubblica 20 novembre 2009)
MINORI: MUSSOLINI, BANNER DELLA POLIZIA DI STATO SU FACEBOOK CONTRO PEDOFILIA
Napoli, 18 nov. (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Un banner della polizia postale sui siti e su facebook contro la pedofilia per informarsi e chiedere aiuto, se necessario. E' la proposta di Alessandra Mussolini, presidente della commissione parlamentare per l'Infanzia e l'adolescenza, lanciata alla Conferenza nazionale sul tema in corso a Napoli, insieme all'invito a procedere piu' rapidamente possibile su due leggi fondamentali contro l'adescamento in rete e contro la pedofilia culturale.
"I social network -ha ricordato Mussolini- non sono ambienti chiusi. E' possibile violarli, con gravi pericoli per bambini e ragazzi. I dati, infatti, parlano di 30 mila minori adescati ogni anno in rete". Mussolini spiega l'importanza di utilizzare un indirizzo di riferimento come il banner della polizia postale per aiutare ad evitare pericoli. "Mi impegnero' personalmente -ha detto- perche' i vari siti e i social network collaborino pubblicando il banner". Mussolini, inoltre, ha ricordato che in commissione Giustizia della Camera sono allo studio due proposte di legge fondamentali contro la pedofilia, uno contro l'adescamento l'altro contro la pedofilia culturale. "Dobbiamo stroncare -ha detto- il fenomeno di questi siti che cercano di ammantare di argomentazioni culturali il rapporto con bambini e giovanissimi".
19 novembre 2009
giovedì 19 novembre 2009
Emanuela Orlandi è morta: lo conferma la supertestimone
19 NOVEMBRE 2009
Emanuela Orlandi è morta. Lo afferma, a 26 anni dalla scomparsa della ragazza, la supertestimone Sabrina Minardi in una dichiarazione resa al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al pm Simona Maisto. Secondo il pm la supertestimone «è credibile». Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, scomparve in circostanze misteriose il 22 giugno 1983 all'età di 15 anni. Quella che all'inizio poteva sembrare la sparizione di un'adolescente, si è trasformata in uno dei casi più oscuri della storia italiana che coinvolse Vaticano, Istituto per le Opere di Religione (Ior), banda della Magliana, Banco Ambrosiano e servizi segreti di diversi Stati, in un intreccio che non è ancora stato completamente districato.
Secondo la Minardi, Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa qualche mese dopo il sequestro e il cadavere, messo in un sacco, fu gettato assieme a un altro in una betoniera. La Minardi non vide il corpo della Orlandi, ma seppe che si trattava della ragazza 15enne da Enrico De Pedis, detto Renatino, che accompagnò l'amante appositamente in un cantiere a Torvajanica. Con De Pedis c'era un altro uomo che - è stato specificato in procura - non è il telefonista Mario.
Aggiustando il tiro rispetto a precedenti dichiarazioni, la Minardi ha spiegato che non era di Domenico Nicitra il cadavere gettato nella betoniera assieme a quello della Orlandi. «Di Nicitra l'ho saputo anni dopo da altre persone in circostanze simili», ha ammesso la teste. Domenico Nicitra, il bambino di 11 anni, figlio di Salvatore, imputato al processo per i delitti commessi dalla banda della Magliana, scomparve in effetti dieci anni dopo il rapimento di Emanuela, e cioè il 21 giugno 1993 assieme allo zio Francesco, fratello del padre. E De Pedis in quell'epoca era già morto: venne ammazzato il 2 febbraio del '90.
Già il 20 febbraio 2006, in una puntata della trasmissione «Chi l'ha visto ?», Antonio Mancini,
un pentito della banda della Magliana, disse di aver riconosciuto in uno dei killer di fiducia di Enrico De Pedis quel «Mario» che telefonò alla famiglia di Emanuela Orlandi per depistare le indagini. Mancini fece i nomi di Mario e di un'altra persona a conoscenza della circostanza. Dalle dichiarazioni di Mancini nacque un'inchiesta nel corso della quale una consulenza fonetica escluse che il killer della Banda della Magliana indicato dal pentito Mancini potesse essere stato il «telefonista».
Gli inquirenti ritengono che quanto raccontato da Sabrina Minardi, specialmente alla
luce della deposizione, corrisponda al vero. Il fascicolo, gestito dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Simona Maisto, contempla i reati di sequestro di persona a scopo di estorsione e omicidio volontario aggravato dalle sevizie e dalla minore età della vittima.
19 NOVEMBRE 2009 IL SOLE 24 ORE
mercoledì 18 novembre 2009
Polonia, il ministro della Sanità: no ai vaccini sono una truffa
ROMA (18 novembre) - Difende a spada tratta la scelta del Governo polacco di non prender parte alla corsa contro il tempo per acquistare vaccini anti-A/H1N1. Il ministro della Salute polacco Ewa Kopacz, in un appassionato intervento in Parlamento, ha puntato il dito sulla scelta fatta dai Paesi più ricchi del pianeta per contrastare l'avanzare della pandemia.
E ha messo sotto accusa, senza usare mezzi termini, gli accordi stretti dalle Istituzioni con le case farmaceutiche: «Lo Stato polacco è molto saggio - ha tuonato vestita con una fiammante giacca rossa, in un video visibile sul web - i polacchi sanno distinguere la verità dalle balle con molta precisione. Sono anche in grado di distinguere una situazione oggettiva da una truffa». Secondo Kopacz, che ha ricordato di essere un medico con 20 anni di esperienza alle spalle, il contratto segreto che il Governo polacco avrebbe dovuto firmare con le aziende farmaceutiche aveva oltre 20 clausole che sovvertivano la legge. «Qual è - ha chiesto dunque Kopacz guardando i parlamentari da un estremo all'altro dell'Aula - il dovere di un ministero della Salute? Concludere accordi che facciano il bene dei cittadini oppure siglare accordi che facciano l'interesse delle case farmaceutiche?».
«So che attualmente ci sono tre vaccini disponibili sul mercato - ha fatto notare - realizzati da tre produttori diversi. Ognuno di loro ha una differente quantità di sostanze attive: non è strano che siano trattati tutti alla stessa stregua? Non è dunque ragionevole che il ministero della Salute e i suoi esperti nutrano alcuni dubbi in proposito?».
Meredith, Appello Guede:"Non sono io l'assassino"
mercoledì 18 novembre 2009 14:12 Stampa quest’articolo [-] Testo [+]
PERUGIA (Reuters) - A Perugia, al processo di secondo grado a suo carico, l'ivoriano Rudy Herman Guede, già condannato a 30 anni con rito abbreviato per l'omicidio di Meredith Kercher, ha preso la parola oggi dicendo di non avere ucciso la studentessa americana.
"Non sono io l'assassino", ha detto davanti alla Corte d'Assise d'Appello l'ivoriano, unico tra gli imputati ad aver chiesto il rito abbreviato. "Chiedo scusa per non aver fatto quello che avrebbe fatto chiunque per cercare di salvarla, se questo era possibile".
Per l'omicidio della studentessa americana sono a processo anche Raffaele Sollecito e Amanda Knox, studenti e fidanzati all'epoca della morte di Meredith, avvenuta a Perugia la notte tra l'1 e il 2 novembre del 2007.
Nell'udienza di oggi, il giudice ha respinto tutte le richieste dei difensori di Guede, Walter Biscotti e Nicodemo Gentile, che avrebbero voluto far riaprire la parte dibattimentale del procedimento.
Guede, che ha chiesto che il processo sia celebrato a porte aperte, ha poi ricostruito la sua versione dei fatti. Lui e Meredith -- ha spiegato -- si conoscevano, e si erano visti la notte di Halloween in un locale fermandosi a chiacchierare, per poi incontrarsi anche la sera successiva.
"La sera del giorno dopo l'ho raggiunta a casa sua", ha detto l'ivoriano, spiegando che l'americana si lamentava della sparizione di un po' di denaro, di cui accusava Amanda Knox. "Io ho cercato di tranquillizzarla, poi ci siamo intrattenuti e abbiamo avuto una relazione", ha ricostruito Guede, precisando di non aver avuto con la studentessa un rapporto sessuale completo.
"Dopo circa dieci minuti sono andato in bagno, ho messo le cuffie dell'iPod e a metà della terza canzone ho sentito un urlo straziante", ha raccontato ancora l'ivoriano. "Mi sono precipitato verso la camera di Meredith, l'ho vista stesa a terra e ho visto la sagoma di un uomo che mi ha spinto per terra ed è andato verso l'uscita... Poi ho visto dalla finestra Amanda che scappava".
-- Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia 18 novembre 2009
martedì 17 novembre 2009
Sonia Marra, scomparsa a Perugia tre anni fa: la rabbia del fratello
Una foto di Sonia Marra dal sito di "Chi l'ha visto?"
La famiglia chiede che si faccia luce sulla vicenda. Il ragazzo ha parlato in consiglio comunale
"Basta con l'omertà, trovate mia sorella"
Sonia è scomparsa nel nulla. L'urlo del fratello
"Chi sa qualcosa esca allo scoperto". La ragazza lavorava come volontaria in una scuola di Teologia
Nel giallo anche la figura di un prete arrestato per spaccio di droga
"Basta con l'omertà, trovate mia sorella" Sonia è scomparsa nel nulla. L'urlo del fratello
Una foto di Sonia Marra dal sito di "Chi l'ha visto?"
PERUGIA - Scomparsa nel nulla tre anni fa. Erano le 15.30 del 16 novembre 2006 quando Sonia Marra, 25 anni, fece la sua ultima telefonata alla madre a Specchia, il suo paese d'origine in provincia di Lecce. Tutto sembrava normale. La sera la madre cercò di chiamarla al cellulare, ma era spento. Da quel momento non si è saputo più nulla di Sonia, studentessa universitaria pugliese iscritta alla facoltà di Medicina a Perugia. Tre anni di mistero e doloroso silenzio da parte della famiglia, che oggi è tornata a chiedere con forza che le qualcuno faccia qualcosa per ritrovarla.
"È ora di squarciare il silenzio, basta con questa omertà" ha gridato il fratello Piermassimo nella sala del consiglio comunale di Perugia, dove ha partecipato alla conferenza allargata dei capigruppo organizzata proprio per riproporre l'inquietante vicenda. Le indagini della magistratura perugina, attualmente coordinate dal pm Giuseppe Petrazzini, negli ultimi tempi avrebbero subito una accelerazione, tanto che oggi anche il legale della famiglia, Alessandro Vesi, ha invitato "chi sa qualcosa" a uscire allo scoperto "nel suo interesse".
La scomparsa di Sonia, studentessa di Medicina e segretaria volontaria alla scuola di Teologia di Montemorcino, è un vero giallo, con testimoni che avrebbero parlato di una buca scavata a mano nel parco di Montemorcino, di un uomo vestito di nero che usciva dalla sua abitazione, e di test di gravidanza cui si sarebbe sottoposta la studentessa nel timore di essere incinta alla vigilia della scomparsa.
Del caso si è occupato anche il programma Chi l'ha visto?, che ha pubblicato una scheda su Sonia Marra in cui ripercorre le diverse fasi della vicenda. La sorella Anna si è trasferita a Perugia per seguire il caso da vicino, ma non è riuscita a parlare con le persone che Sonia frequentava, tra cui uno studente o un parroco con cui la ragazza si confidava. Il programma di RaiTre è tornato più volte a parlare della scomparsa di Sonia, aggiungendo inquietanti dettagli rivelati da un supertestimone che avrebbe parlato di don Francesco Ciacca, 43 anni, un sacerdote arrestato nel settembre 2006 con l'accusa di spaccio di droga, di cui Sonia sarebbe stata innamorata.
La guardia di finanza è arrivata a don Ciacca seguendo un pacco con mezzo chilo di cocaina pura e qualche etto di marijuana spedito dal Sudamerica e diretto al sacerdote. Il destinatario aveva un nome fittizio, un sacerdote della curia arcivescovile di Perugia che non esiste, però don Francesco aveva avvertito: "Se arriva un pacco indirizzato a questa persona, mettetelo da parte che è per me". Poi l'arresto del prete e la richiesta di quest'ultimo di tornare allo stato laicale. L'estate scorsa l'ultimo aggiornamento della redazione di Chi l'ha visto?: un detenuto, Michele Mariucci, "racconta dal carcere di Perugia i suoi rapporti con Sonia: l'uomo, che lavorava come inserviente a Montemorcino, è stato arrestato per spaccio di droga insieme a Don Ciacca".
"Sono tre anni - ha detto oggi Piermassimo, il fratello di Sonia - che viviamo come sospesi, cercando di capire cosa è accaduto e perché. Sarebbe una grande ingiustizia che ci si dimenticasse di lei in quanto si tratta di una ragazza di famiglia umile. E' ora di squarciare il silenzio. Basta con questa omertà. Fateci sapere che fine ha fatto Sonia".
All'iniziativa di oggi a Palazzo dei Priori (nella sala era esposta una grande fotografia di Sonia Marra) hanno partecipato i capigruppo del Consiglio comunale, i familiari di Sonia, alcuni rappresentanti dell'amministrazione comunale di Specchia e dell'associazione Penelope composta da parenti di persone scomparse. C'erano anche il viceprefetto Agata Iadicicco dello speciale ufficio che si occupa a livello nazionale dei casi di sparizione e il vicesindaco di Perugia, Nilo Arcudi. Il presidente nazionale dell'associazione Penelope, Elisa Pozza Tasca, ha ricordato che dal 1974 sono scomparse in Italia 24.804 persone (sono 117 in Umbria e di questi 57 a Perugia) e che negli istituti di Medicina legale ci sono 700 cadaveri "senza un nome".
In apertura il presidente del consiglio comunale Alessandro Mariucci ha detto che "è assolutamente inaccettabile che in una città civile, nota in tutto il mondo come a Perugia, una ragazza possa scomparire nel nulla. Per questo siamo qui, per riportare l'attenzione sull'inquietante e triste vicenda, per chiedere con forza che le ricerche continuino". Gli assessori comunali di Specchia, Sara Marciano e Isabella De Nicola, hanno ricordato che la loro amministrazione ha dato vita a varie iniziative, tra cui una fiaccolata e due consigli comunali dedicati alla scomparsa della giovane, per tenere alta l'attenzione sulla vicenda. "Siamo qui - hanno sottolineato - affinché si rompa il silenzio e si riaccendano i riflettori sulla scomparsa di Sonia. Chiediamo che se a Perugia qualcuno sa qualcosa, finalmente parli".
Il viceprefetto vicario Agata Iadicicco ha sottolineato che l'ufficio "Persone scomparse" è stato costituito recentemente per "una forte spinta dal basso, proprio da parte dei cittadini, in particolare di coloro che vivono queste tremende vicende in famiglia". "In questa fase - ha detto - stiamo dando grande impulso al varo di una legge ad hoc sulle persone scomparse. Un altro importante passo avanti - ha spiegato - è stato, di recente, la creazione di un sistema integrato che permetterà di confrontare i dati sulle persone scomparse con quelli dei cadaveri ancora non identificati presso gli istituti di medicina legale. Con l'esame del Dna - ha detto - si potranno dare molte risposte".
(la repubblica 16 novembre 2009)
domenica 15 novembre 2009
Avvocato si uccide a via Poma,un palazzo di delitti e misteri
Arriva la polizia e i condomini pensano che sia ancora per Simonetta | |
Quel palazzo Anni Trenta tra delitti e misteri |
Di nuovo le volanti a via Poma 4, parcheggiate di corsa, vicino all’entrata. E gente che grida o piange in silenzio, portoni sbarrati, ambulanze, vigili del fuoco, sirene. «E ora, che altro è successo?», esclamano i condomini. C’è un uomo, un noto avvocato, che si è ucciso nel suo studio, ma la gente pensa ancora a lei, a Simonetta Cesaroni, al processo riaperto in questi giorni, «forse sono qui per cercare nuovi indizi e testimoni». Quasi vent’anni dopo, poco probabile. Invece un altro fattaccio è appena avvenuto tra le mura dell’ormai noto stabile Anni Trenta con il cortile al centro e la fontana circondata da sei palazzine. Quartiere Delle Vittorie, a pochi metri da piazza Mazzini.
Se nel ’90 - era il 7 agosto, Roma era calda e deserta - Simonetta tentò di difendersi come potè, perché era giovane, bella e voleva vivere, ieri l’affermato avvocato cinquantenne non è riuscito a fuggire dal suo personale momento di disperazione. Se allora, sempre nel ’90, Simonetta scappò impaurita in un’altra stanza dell’appartamento, ma venne immobilizzata, sbattuta a terra e colpita 29 volte con un tagliacarte, ieri il noto penalista si è seduto lentamente al suo posto, ha scritto una lettera e scelto di morire perché a volte la vita appare peggio della morte.
Di nuovo in via Poma, stavolta nella palazzina di fronte a quella dove dal primo luglio del ’90 Simonetta lavorava, due pomeriggi a settimana, nella sede dell’Aiag, III piano, interno 7, scala B. Ma al piano terra, in uno dei tanti studi legali del complesso e del quartiere. «Non è un palazzo maledetto, è che siamo tanti, ci sono settantadue uffici», dice un’elegante signora. E una giovane donna, che rientra col suo cane: «Non se ne può più, in questo condominio...», sussurra angustiata.
Non è un mistero, non è un giallo, stavolta. Nessuna similitudine, nessun parallelo, se non che siamo di nuovo in via Poma non in una via qualunque e la gente si ferma più incuriosita del solito pensando a un ennesimo sopralluogo. Risale all’84 il primo delitto: scala E, I piano, via Poma 4. Renata Moscatelli, 68 anni, nubile, figlia di un ex generale dei carabinieri viene trucidata. E’ il 24 ottobre, a trovarla cadavere nel suo appartamento è la sorella. Ha il pomo d’Adamo rotto, la fronte lacerata. Si è trascinata in camera da letto dal soggiorno, forse per arrivare al telefono. Nessun ipotesi, nessun movente, mai trovato alcun segno di scasso, la sua morte resta un mistero. Lascia un mistero dietro di sè anche l’avvocato, però: in tanti ieri, quanti l’hanno amato e come sempre accade, stavano a chiedersi in lacrime il perché del suo gesto.
di MARCO DE RISI
Un colpo di pistola alla tempia destra. Si è tolto la vita così, seduto nel suo studio in via Poma, un noto avvocato penalista di 50 anni, patrocinante in Cassazione. E’ stato trovato riverso sulla scrivania, la testa immersa nel sangue. A terra la pistola che deteneva regolarmente, una calibro 9. Sulla scrivania un cellulare e una lettera di addio e di scuse. Il legale era tornato nello studio dopo aver assistito ad alcuni interrogatori di suoi clienti.
Il suicidio si è verificato nello stesso condominio dove è stata uccisa Simonetta Cesaroni. A trovare il cadavere dell’avvocato, nel suo studio al piano terreno, sono stati i vigili del fuoco che per entrare hanno dovuto forzare la porta. A chiamare i pompieri, verso le due del pomeriggio, era stata la suocera preoccupata dopo che il legale per ore non aveva risposto al cellulare. Aveva provato a telefonargli anche il figlio, un bambino di 11 anni.
Ai primi soccorritori è apparso subito chiaro che ormai non c’era più nulla da fare. L’avvocato, probabilmente in mattinata, s’era seduto alla scrivania, aveva scritto la lettera di addio. Poi ha impugnato la sua Beretta calibro 9 e dopo avere appoggiato la canna alla tempia ha premuto il grilletto. A via Poma, proprio nello stabile del “giallo” ora tornato alla ribalta con il rinvio a giudizio dell’ex fidanzato di Simonetta, sono nuovamente apparse le “volanti” del 113 e le auto del commissariato “Prati”. E’ iniziato un lungo sopralluogo per verificare che si trattasse effettivamente di suicidio. Dai primi rilievi della polizia scientifica, pare non ci siano dubbi. La posizione del corpo, le tracce di sangue, il punto in cui è stata trovata la pistola non lascerebbero spazio ad altre indagini. L’avvocato lascia il figlio piccolo e la moglie avvocato da cui era separato da un anno. Le cause del gesto sono probabilmente racchiuse nella lettera presa in consegna dalla scientifica insieme alla pistola e al cellulare del professionista. Alcuni parenti accorsi a via Poma hanno raccontato di non aspettarsi un gesto simile. L’avvocato era un professionista serio e stimato, dagli amici descritto come persona piena di umanità e buon padre. Era stato il difensore di uno degli indagati e condannati per la truffa alle “Coop Casa Lazio” e aveva difeso anche i presunti assassini di Rosanna Iannaccone, uccisa a Torpignattara a colpi di pistola in faccia in un regolamento di conti del crimine organizzato.
Il Messaggero 15 novembre 2009