Tutti i passi falsi di Amanda
Amanda in aula durante il processo che la vede imputata | |
Il pm la incalza in aula:
sa troppe cose sull'omicidio
sa troppe cose sull'omicidio
ALESSANDRA CRISTOFANI
PERUGIA
Sa troppo, Amanda Knox. Sa anche quello che non dovrebbe sapere. Sa che Meredith ha urlato, la notte in cui è stata uccisa, e che la sua morte è stata lunga e dolorosa. Conosce dettagli e circostanze, tempi e modi. E sono proprio la sua sicurezza, l'ostentata padronanza delle cose, il numero e il genere di informazioni che si è lasciata sfuggire, a non convincere gli inquirenti. Quando, ieri mattina, il pm Giuliano Mignini, nel controinterrogatorio le chiede di spiegare come facesse a sapere della lunga agonia di Mez, l'ingranaggio s’inceppa. E l'esibita tranquillità dei giorni scorsi mostra qualche segno di cedimento. Ma non capitola, Amanda. Ribatte: «Le ragazze speravano che Meredith fosse almeno morta in fretta. Io, ancora sorpresa per la brutalità dell'omicidio e per com’era avvenuto, immaginai l'esatto contrario. E' per questo che dissi che la sua morte era stata lunga. Una cosa terribile». L’incalza, il pm, chiedendole di spiegare ancora, di più e meglio, del modo in cui ha saputo della posizione in cui è stato ritrovato il corpo di Meredith, un particolare che solo chi l’aveva visto poteva conoscere.
Va giù duro, Giuliano Mignini, il sostituto procuratore contro cui si è scagliato il New York Times: «Raffaele Sollecito le disse d'aver visto il corpo nell'armadio, coperto con un lenzuolo, e l'unica cosa che si vedeva era un piede. Ecco, se lei non ha visto la stanza, come faceva a fare questa affermazione?». Amanda nega: «Non ho mai detto che ho visto il corpo di Meredith dentro l'armadio, ho detto che ho sentito in giro che c'era questo corpo dentro l'armadio, che Meredith era coperta, che le usciva un piede».
Parla in italiano
È teatrale, Amanda. Parla in italiano, gesticola, si porta le mani alle tempie, poi le muove davanti a sé, i palmi rivolti verso l'alto. Mentre parla nell’aula la tensione sale. Tanto che il presidente Giancarlo Massei deve più volte richiamare le parti, minacciando di sospendere l'udienza. Quanto alle intimidazioni e alle violenze subite in questura l’americana non fa marcia indietro: «Loro volevano un nome e dicevano che io sapevo ma non volevo parlare». E aggiunge, a mo' di rettifica: «Non è che mi hanno detto che era stato Patrick ma che sapevano che l’avevo incontrato». Della poliziotta che col pugno chiuso l'avrebbe colpita due volte sulla nuca ricorda i capelli scuri e lunghi ma non sa come si chiama. Stavolta il nome non lo fa.
Chiamata a raccontare la mattina del 2 novembre, non cambia una virgola, ripropone il solito canovaccio: «Da casa di Raffaele mi sono recata in via della Pergola per farmi una doccia e ho trovato tracce di sangue in casa e in bagno. Mi sono fatta la doccia e poi a piedi nudi sono tornata in camera mia. Non ho guardato l'orologio». Poi, a colazione, racconta tutto a Raffaele. Insieme vanno in via della Pergola, entrano in casa e si accorgono che c'è una finestra rotta in una delle camere delle coinquiline italiane. Sollecito telefona alla sorella che li esorta a chiamare la polizia. Sull'atteggiamento tenuto in procura, quando fece la ruota sul pavimento, apparso troppo disinvolto, spende l'unico argomento possibile: «Ognuno affronta una tragedia a modo suo». E ancora: «Sono abituata a cercare la normalità, nelle situazioni di difficoltà, un modo per sentirmi sicura». Di Meredith, l'amica, parla poco. Si dice choccata ma all'avvocato di parte civile ribatte: «Ricordo Meredith ma sto anche pensando di andare avanti con la mia vita».
la stampa 14 giugno 2009
Sa troppo, Amanda Knox. Sa anche quello che non dovrebbe sapere. Sa che Meredith ha urlato, la notte in cui è stata uccisa, e che la sua morte è stata lunga e dolorosa. Conosce dettagli e circostanze, tempi e modi. E sono proprio la sua sicurezza, l'ostentata padronanza delle cose, il numero e il genere di informazioni che si è lasciata sfuggire, a non convincere gli inquirenti. Quando, ieri mattina, il pm Giuliano Mignini, nel controinterrogatorio le chiede di spiegare come facesse a sapere della lunga agonia di Mez, l'ingranaggio s’inceppa. E l'esibita tranquillità dei giorni scorsi mostra qualche segno di cedimento. Ma non capitola, Amanda. Ribatte: «Le ragazze speravano che Meredith fosse almeno morta in fretta. Io, ancora sorpresa per la brutalità dell'omicidio e per com’era avvenuto, immaginai l'esatto contrario. E' per questo che dissi che la sua morte era stata lunga. Una cosa terribile». L’incalza, il pm, chiedendole di spiegare ancora, di più e meglio, del modo in cui ha saputo della posizione in cui è stato ritrovato il corpo di Meredith, un particolare che solo chi l’aveva visto poteva conoscere.
Va giù duro, Giuliano Mignini, il sostituto procuratore contro cui si è scagliato il New York Times: «Raffaele Sollecito le disse d'aver visto il corpo nell'armadio, coperto con un lenzuolo, e l'unica cosa che si vedeva era un piede. Ecco, se lei non ha visto la stanza, come faceva a fare questa affermazione?». Amanda nega: «Non ho mai detto che ho visto il corpo di Meredith dentro l'armadio, ho detto che ho sentito in giro che c'era questo corpo dentro l'armadio, che Meredith era coperta, che le usciva un piede».
Parla in italiano
È teatrale, Amanda. Parla in italiano, gesticola, si porta le mani alle tempie, poi le muove davanti a sé, i palmi rivolti verso l'alto. Mentre parla nell’aula la tensione sale. Tanto che il presidente Giancarlo Massei deve più volte richiamare le parti, minacciando di sospendere l'udienza. Quanto alle intimidazioni e alle violenze subite in questura l’americana non fa marcia indietro: «Loro volevano un nome e dicevano che io sapevo ma non volevo parlare». E aggiunge, a mo' di rettifica: «Non è che mi hanno detto che era stato Patrick ma che sapevano che l’avevo incontrato». Della poliziotta che col pugno chiuso l'avrebbe colpita due volte sulla nuca ricorda i capelli scuri e lunghi ma non sa come si chiama. Stavolta il nome non lo fa.
Chiamata a raccontare la mattina del 2 novembre, non cambia una virgola, ripropone il solito canovaccio: «Da casa di Raffaele mi sono recata in via della Pergola per farmi una doccia e ho trovato tracce di sangue in casa e in bagno. Mi sono fatta la doccia e poi a piedi nudi sono tornata in camera mia. Non ho guardato l'orologio». Poi, a colazione, racconta tutto a Raffaele. Insieme vanno in via della Pergola, entrano in casa e si accorgono che c'è una finestra rotta in una delle camere delle coinquiline italiane. Sollecito telefona alla sorella che li esorta a chiamare la polizia. Sull'atteggiamento tenuto in procura, quando fece la ruota sul pavimento, apparso troppo disinvolto, spende l'unico argomento possibile: «Ognuno affronta una tragedia a modo suo». E ancora: «Sono abituata a cercare la normalità, nelle situazioni di difficoltà, un modo per sentirmi sicura». Di Meredith, l'amica, parla poco. Si dice choccata ma all'avvocato di parte civile ribatte: «Ricordo Meredith ma sto anche pensando di andare avanti con la mia vita».
la stampa 14 giugno 2009
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