venerdì 12 giugno 2009

Il patron del Grinzane scarcerato dopo tre mesi: "Vive nell'ossessione della privacy"

Un altro Soria, libero e sconfitto

Giuliano Soria nella sua casa torinese, visibilmente invecchiato

MASSIMO NUMA, NICCOLÒ ZANCAN

TORINO

Con più capelli bianchi e almeno dieci chili in meno, ieri mattina alle otto il professor Giuliano Soria è tornato a casa. Tre mesi di carcere l’hanno profondamente provato. «Un’esperienza molto dura - dice l’avvocato Roberto Piacentino - specie per una persona abituata a tutt’altro tipo di vita».

Era famoso, riverito, aveva 14 mila numeri di telefono nella rubrica, aveva viaggi, cene di gala e una cantina piena di «Barolo Letterario». Ora il professore ricomincia da uomo libero con obbligo di firma, in attesa del rinvio a giudizio. Ricomincia dalla stesso palazzo di via Montebello, con vista Mole Antonelliana, che intreccia tutti i nodi dello scandalo. Ieri mattina, per pochi secondi, si è affacciato al balcone. Sembrava frastornato.

Al primo piano c’erano gli uffici del Premio Grinzane Cavour, ormai fallito e ripudiato da tutti gli estimatori. Al terzo piano, il grande alloggio comprato attraverso il reato di malversazione, come da sua stessa ammissione. Sempre lì, nelle stanze ristrutturate con fondi pubblici, si sarebbero consumati i reati di cui lo accusa l’ex domestico Nitish, un ragazzo di 23 anni originario di Mauritus: violenza sessuale, maltrattamenti, sfruttamento del lavoro clandestino.

Per cinque giorni alla settima, Giuliano Soria dovrà presentarsi negli uffici del commissariato Centro e firmare il registro, come altri 15 ex detenuti che vivono nella zona. «Non può venire la polizia a casa mia?», ha domandato. «È per ragioni di privacy», ha provato a spiegare. Risposta negativa. Salvo diversa disposizione del giudice.

Giuliano Soria non parla, non si fida più di nessuno, è ossessionato dalla privacy. Al punto che ieri mattina, quando ha saputo che i fotografi lo stavano aspettando davanti al carcere, ha chiesto di cambiare protocollo. È passato dall’aula bunker, verso un’uscita secondaria. Poi l’hanno caricato su un furgone della ditta che si occupa della manutenzione. Una ragazza alla guida e lui dietro, fra gli attrezzi da lavoro.

È stato anche - forse soprattutto - il ritorno dall’anziana madre, a cui Giuliano Soria è legatissimo. «L’ho visto smarrito - spiega il custode - con il terrore di guardarla negli occhi da uomo sconfitto». Perché lo scandalo Grinzane è anche una storia di famiglia. Il fratello Angelo, ex dirigente della Regione Piemonte, sponda decisiva per ottenere fondi pubblici, è ancora in carcere. Accusato di peculato continuato in concorso.

«È successo tutto molto in fretta - spiega l’avvocato Piacentino - Giuliano Soria si è visto travolto in tutti gli aspetti della sua vita». In molti, ieri, gli hanno chiesto di parlare, magari di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Ha ricevuto le telefonate di diversi direttori di giornali. Ma il professore, che aveva fatto delle pubbliche relazioni l’arma principale della sua scalata al successo, per ora preferisce tacere.

Tace da mesi, in verità. L’ultima intervista è del 13 febbraio, ad indagini appena iniziate: «È una trappola, un complotto, non ho mai avuto un maggiordomo in vita mia...». Il giorno dopo, commentando i titoli dei giornali con un collaboratore: «Scrivono di me al passato, mi danno già per morto». Poi, silenzio. Interrotto solo da uno sfogo disperato: «Tutti in città sanno che ho un carattere schifoso, ma non sono il mostro di Düsseldorf. Abbiate pietà...». L’arresto è del 12 marzo. Per gli investigatori Giuliano Soria ha ammesso solo quello che non poteva non ammettere.

la stampa 12 giugno 2009

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