Cogne bis/ Franzoni: Per mio marito ho ricominciato una vita
Il ritorno in aula dopo tre anni, 7 ore tra lacrime e sorrisiTorino, 16 giu.2010 (Apcom) - "Signor giudice, io sarei voluta venire a tutte le udienze. Ma non me la sento. Per quello che è successo, che succede tuttora fuori. Negli anni ne ho subito le conseguenze pesantemente". Così Annamaria Franzoni, dopo oltre sette ore di deposizione, risponde al giudice Roberto Arata che le chiede se sarà presente alla prossima udienza del 31 luglio. Non tornerà più in aula Annamaria, lascia intendere, parlando con la calma che ha mantenuto per tutta l'udienza, nonostante le lacrime versate a tratti e il tono di voce sommesso, come un lamento. Jeans e polo a mezze maniche, frangetta e capelli lunghi, il viso un po' scavato secondo chi la conosce bene, si è presentata oggi in tribunale dopo tre anni, al Cogne bis, dove risponde di calunnia nei confronti del suo ex vicino di casa Ulisse Guichardaz, che denunciò nel luglio 2004 come responsabile dell'omicidio del piccolo Samuele. Uno scambio di sguardi col marito, alla sua prima uscita in pubblico la Franzoni è apparsa sorridente. Una deposizione iniziata da quando tutto ebbe origine, la conoscenza con Stefano Lorenzi. Da lui è partita e a lui è tornata dopo sette ore di parole. "Ci siamo conosciuti a Cogne per caso e conoscerci ci ha dato il senso della vita vero e proprio" è stato l'incipit. Numerosi gli intervalli per spiegare quanto tenesse "alla vita casalinga, quella quotidianità che ho sempre adorato, che è il mio modo di essere, mi rende felice". A quella villetta a Cogne, costruita dalla famiglia, "l'ho imbiancata io" ha precisato, "la arredavo io e gestivo io", spiegando come la vicina Daniela Ferrod, un'altra dei possibili colpevoli secondo lei fino a qualche tempo fa, la invidiasse per questo. Lei e le 18 mamme "che ogni mercoledì a turno" preparavano la merenda per tutti i bambini. Il giorno prima dell'omicidio di Samuele "le pizze e i dolci per la festa del giorno dopo li ho preparati io, non mi piaceva andarle a comprarli ma farli da me". E poi le lacrime nel ripercorrere, con minuzia di particolari ed estrema precisione, "il fatto", la mattina del 30 gennaio 2002, il giorno dell'omicidio di Samuele. Gli ospiti che vennero la sera prima, lei che non si sentiva bene, quel malore "di stomaco" che è tornato all'alba del giorno dopo, e che "sembra che ti blocchi tutto quanto, il blocco allo stomaco". La guardia medica che accorre e dice che non ha niente, lei che chiede al marito di restare. Ma lui va. E poi la frenesia di essere in ritardo per il figlio Davide, che si intratteneva a letto e poteva perdere lo scuolabus, le corse per farlo vestire, la colazione. Samuele che dormiva, e che piange appena escono di casa. "Sono andata da lui - ha detto scoppiando a piangere - stai tranquillo che tua mamma è qua gli ho detto, che Davide è già andato a scuola, ma Davide era sulle scale, allora lo guardo, mi arrabbio e mi dico, accidenti oggi non me ne va bene una". Il resto è cronaca nota. "Io mi sentivo in colpa, ho pensato che aveva pianto talmente tanto che gli era scoppiata la testa" ha ripetuto anche oggi, rimarcando quanto "mi sentissi sola", in quel momento, con il bimbo ammazzato sul lettone. Dal racconto della tragedia si è passati all'argomento di questo processo: la calunnia per cui la Franzoni è accusata nei confronti di Ulisse Guichardaz, il suo ex vicino di casa, scagionato perché che ha dimostrato di avere un alibi di ferro, denunciato dai Lorenzi nel luglio 2004, dopo la condanna di primo grado. "Non ho mai letto la denuncia, mi fidavo di Taromina", spiega la donna, "gli avvocati erano loro, mi avevano detto che la denuncia serviva ad approfondire le indagini". E poi la "rabbia" espressa da lei ma con pacatezza verso l'ex avvocato, quando le hanno riletto cosa aveva spiegato, interrogato anni fa dai magistrati, sui Lorenzi. " "Erano loro -aveva detto Taormina, che non si è mai presentato al processo - ad aver fatto pressioni perchè io scrivessi questa denuncia e se la sono letta e riletta". E ancora, la stessa rabbia che lei ha spiegato per il lavoro degli inquirenti, perché "io continuavo e continuo a dire che sono innocente, non sono stata io". Fino a citare Berlusconi, che, secondo lei, ma il suo avvocato ha spiegato dopo che si trattava del "governo" e non del premier, sollecitò con un fax l'avvocato Taormina a fare il nome del vero assassino. Ma è con parole rivolte alla sua famiglia e al marito, che ha baciato alla fine dell'udienza tre volte, tra gli sguardi di poliziotti, avvocati e giornalisti, che si è chiusa la deposizione. "Una delle cose che mi ha fatto più soffrire - ha detto alla fine - è la freddezza dopo l'omicidio da parte sua e dei suoceri. Sentivo mio padre che continuamente diceva, c'è qualcosa che non va. C'erano equilibri che si stavano rompendo tra me e Stefano, era un'incomprensione di dolore, di vissuto che mi spinse a tornare a vivere dai miei genitori. Poi, è stato per lui che ho ricominciato una vita un posto diverso".
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