l’esito degli esami tossicologici rimettono in gioco tutto
si infittisce il giallo della morte
Corpo senza vita fu trovato il 9 marzo a Torre Ovo mentre galleggiava a due palmi dalla riva| Foto
Il corpo del portiere dei via Poma ripescato
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TARANTO — Pietrino Vanacore è morto per annegamento (e questo si sapeva), ma prima di morire non ha ingerito nessun veleno o assunto farmaci. E’ questa la novità che riapre il giallo sulla morte dell’ex portiere di Via Poma, a Roma, il cui corpo senza vita fu trovato lo scorso 9 marzo a Torre Ovo mentre galleggiava a due palmi dalla riva in uno specchio d’acqua profondo novanta centimetri. Pochi per permettere ad un adulto di suicidarsi affogando. Si era pensato all’effetto di un farmaco o di un veleno bevuto precedentemente con la capacità di deprimere il livello di coscienza così da farlo annegare in un secchio d’acqua. Per questo si attendeva l’esito degli esami tossicologici che rimettono in gioco tutto: i campioni organici, prelevati in sede autoptica dal medico legale Massimo Sarcinella, non hanno evidenziato tracce di sostanze farmacologiche o tossiche né nocive.
Caffé e zeppola - Insomma, lo stomaco di Pietrino era pulito ad eccezione di un residuo di caffè e della zeppola che aveva consumato poco prima di recarsi sulla spiaggia dove è stato trovato morto. La perizia del dottor Sarcinella non è ancora giunta sulla scrivania del pubblico ministero, Remo Epifani (titolare del fascicolo con l’ipotesi di reato d’istigazione al suicidio contro ignoti), perché il perito non l’ha ancora completata. Il professionista, alla luce dei nuovi risultati, elaborerà le sue determinazioni che non potranno non confermare il suo primo giudizio espresso al termine dell’esame autoptico quando dichiarò: «Pietrino Vanacore è morto per annegamento. I suoi polmoni erano completamente intrisi d’acqua mentre nello stomaco non erano visibili tracce di veleno o altro liquido sospetto. Sul corpo - dichiarò sempre in quell’occasione - non erano presenti traumi o altri segni di violenza». A questo punto, a consegna della relazione avvenuta, la patata bollente passerà nelle mani degli inquirenti che dovranno trarre le loro conclusioni e decidere se accontentarsi degli elementi raccolti, che portano tutti verso l’ipotesi del suicidio, o se prendere in considerazione nuovi approfondimenti, difficili anche questi da immaginare stante la completezza delle attività investigative sin qui svolte dai carabinieri del nucleo investigativo della compagnia dei carabinieri di Manduria. Dove, per la verità, non si è ancora conclusa la ricerca sui tabulati telefonici delle utenze riconducibili a Vanacore il cui traffico in entrata e in uscita, questa almeno è la speranza di chi investiga, potrebbe rendere più chiaro il quadro. Così non è stato con le risposte istologiche dei laboratori che hanno selezionato e catalogato le sostanze presenti nell’organismo di Vanacore, non trovando niente e riaccendendo così i dubbi su un suicidio apparso subito anomalo. Per la poca profondità dell’acqua, appunto, ma anche per l’ambientazione del delitto: il corpo del portiere galleggiava in un’ansa della scogliera di Torre Ovo, la località marina della piccola frazione di Monacizzo dove abitava, con la caviglia destra legata ad una lunga corda di nylon ancorata ad un albero distante 15 metri sopra la scogliera stessa.
Il messaggio - Qualche metro più in alto c’era la sua auto parcheggiata con in bella evidenza due cartelli (un terzo sarà trovato sui sedili), riportanti scritte in stampatello che non lasciavano dubbi sulle intenzioni autolesionistiche del loro autore: «20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano ad ucciderti, lasciate almeno in pace i miei familiari». Invece i dubbi furono poi tanti, tant’è che i carabinieri del nucleo operativo, guidati dal maresciallo Francesco Reccia, chiesero subito i tabulati telefonici focalizzando l’attenzione sulle chiamate ricevute nei giorni immediatamente prima del gesto. Pietrino Vanacore, due giorni dopo la sua morte, era atteso a Roma dove avrebbe dovuto partecipare in qualità di teste all’udienza sul delitto di Simonetta Cesaroni, in Via Poma, suo incubo per venti anni, per il quale era stato già indagato, arrestato e prosciolto prima della riapertura del processo.
Nazareno Dinoi
20 maggio 2010
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