L'arnese da cucina è stato al centro dell'udienza di oggi. Il tecnico, in aula, parla
di lama "non incompatibile". Poi aggiunge: "Come milioni di altre al mondo"
Il dottor Cingolani spiega: "Al giudice l'ho fatto capire. Non ho le prove
tecniche per affermarlo, ma sono convinto che non lo sia"
dall'inviato MEO PONTE
PERUGIA - Lo proteggono come se fosse una santa reliquia. Custodito in una busta di plastica e poi chiuso in una scatola di cartone con tanto di scritta "evidence", ("prova"), è sorvegliato da due poliziotte. Durante l'inchiesta, quando era analizzato nei laboratori della Polizia Scientifica, era impossibile osservarlo da vicino, non solo per i consulenti di parte ma anche per i periti del gip. E anche oggi, nell'aula della Corte d'Assise testimoni e avvocati devono sottostare al rigido protocollo previsto per l'esame delle prove di più delicate per poterlo guardare: mascherina e guanti in lattice ed estrema attenzione a non contaminarlo.
LE IMMAGINI DEL COLTELLO
Precauzioni che appaiono ridicole, dato che ormai è certo che quel coltello sequestrato a casa di Raffaele Sollecito e su cui la polizia scientifica ha rilevato tracce biologiche di Meredith Kercher e di Amanda Knox non è l'arma usata per uccidere la studentessa inglese ammazzata la sera del 1 novembre 2007 in via della Pergola 7 a Perugia. Per rendersene contro basta ascoltare le deposizioni dei tre periti sentiti nell'udienza di oggi dai giudici della Corte d'Assise perugina. In aula sono infatti comparsi i professori Giancarlo Umani Ronchi, Mariano Cingolani e Anna Aprile, gli unici a ricoprire il ruolo di "periti" nell'inchiesta di Perugia. I tre erano stati infatti nominati a suo tempo dal gip Claudia Matteini (autrice dell'ordinanza con cui indicava Patrick Lumumba, ora parte lesa, come autore materiale del delitto) e avevano esposto le conclusioni delle loro analisi in un incidente probatorio. La loro deposizione che è stata richiesta dall'avvocato Giulia Bongiorno, il legale di Raffaele Sollecito rilancia i dubbi sulla fondatezza delle accuse contro lo studente di Giovinazzo e la sua ex fidanzata americana, Amanda Knox, in carcere dal novembre 2007.
Mariano Cingolani, parlando del coltello, ripete quello che ha già detto durante l'incidente probatorio. Ovvero che quel coltello è "non incompatibile" con le ferite. Una doppia negazione inesistente non solo nella letteratura di medicina legale ma anche nella lingua italiana che sinora ha permesso di poter ancora indicare quel coltello da cucina come l'arma usata per uccidere Meredith. Però ora aggiunge: "Come non sono incompatibili tutti gli altri coltelli monofilari". Come a dire tutti i coltelli del mondo che abbiamo una lama ad un solo filo. In più, fuori dall'aula, lo stesso Cingolani, dice: "Vuol sapere se è l'arma del delitto? No, e l'ho detto anche ai giudici in qualche modo. Non avendo però i dati tecnici per poterlo affermare in aula abbiamo dovuto ricorrere a questa formula della "non incompatibilità". Ecco tutto".
Il professor Giancarlo Umani Ronchi è ancora più critico su come è stata condotta l'inchiesta. "Ci hanno chiesto di stabilire l'ora della morte - spiega - ma sono stati commessi inizialmente errori clamorosi. A partire dalla mancata analisi thanatologica del cadavere da parte del primo medico legale intervenuto sulla scena del delitto. Il dottor Luca Lalli è arrivato in via della Pergola 7 alle 14 ma ha dovuto aspettare che fossero effettuati i rilievi della Polizia Scientifica prima di poter esaminare il cadavere. Cosa che ha fatto il giorno dopo, alle 13. Dodici ore dopo quindi con un ritardo le cui conseguenze sono facili da intuire. Ora si cerca di datare la morte di quella povera studentessa attraverso l'analisi dello svuotamento dello stomaco. Un dato che in medicina legale è l'ultimo da esaminare perché soggetto a troppe variabili. E, ritornando al coltello, è impossibile stabilire se quello indicato sia o meno l'arma del delitto dato che non si conosce la dinamica dell'aggressione".
L'unica ad avallare in parte la tesi dell'accusa è la dottoressa Anna Aprile che pur non riuscendo ad affermare senza ombra di dubbio che Meredith sia stata oggetto di violenza carnale spiega: "Ci sono tracce di un rapporto sessuale consumato poco prima della morte. Se consenziente o meno non è possibile dirlo attraverso i dati tecnici". La dottoressa però specifica che comunque una violenza carnale non lascerebbe segni evidenti negli organi genitali di una vittima. Dando di fatto ragione al pm Manuela Comodi (bravissima nel mettere in difficoltà i consulenti delle difese) che sotto una diretta minaccia qualsiasi volontà viene annullata.
Ciò che però è evidente è che il processo di Perugia si sta avvitando sulle indagini scientifiche. Come già successo per il caso di Cogne, si spera in questo modo di dribblare le lacune dell'inchiesta tradizionale. Venerdì però il consulente della difesa di Sollecito, il professor Francesco Vinci, ha dimostrato che le orme di scarpe rilevate sulla scena del crimine e attribuite dalla Scientifica allo studente di Giovinazzo appartengono in realtà a Rudy Guede, già condannato a 30 anni con il rito abbreviato.
Nonostante i dubbi e l'assenza di prove certe (non c'è traccia di rapporti tra Rudy, Amanda e Raffaele, movente e dinamica sono tutt'ora avvolti nel mistero) l'esito del processo appare scontato e la condanna all'ergastolo di Amanda e Raffaele sembra essere inevitabile. E' probabile che per dissipare i dubbi il presidente della Corte d'Assise Giancarlo Massei sia costretto a commissionare una perizia (almeno sul coltello e sul dna trovato sul gancetto del reggiseno di Meredith repetertato con quaranta giorni di ritardi rispetto alla scoperta del cadavere) come d'altronde aveva suggerito il gup Paolo Micheli quando aveva rinviato a giudizio Amanda e Raffaele. Perizia che comunque sarà chiesta dalle difese degli imputati.
(la repubblica 19 settembre 2009)
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