21/11/2007 (7:59)
Amanda Knox, il giallo di Peurgia ruota attorno a lei
Intervista a Gianfranco Origlio
"Io, la giustizia e l'arte perduta della confessione"
FULVIA CAPRARA-BARI
Nei vicoli della città vecchia il cinema diventa cavi che si intrecciano, attori rubati alle riprese nella pausa pranzo, operatori che piazzano luci. C’è la normale confusione di un set, un caos vitale che somiglia poco a Gianrico Carofiglio, il magistrato barese diventato scrittore di successo che oggi vede diventare film uno fra i suoi romanzi più amati, «Il passato è una terra straniera», regia di Daniele Vicari, protagonisti Elio Germano, Michele Riondino, Chiara Caselli, Valentina Lodovini, Marco Baliani, Romina jr Carrisi. Al trambusto delle riprese Carofiglio oppone un’aria quieta e controllata, non si può fare a meno di immaginarlo nell’esercizio delle sue funzioni di consulente antimafia, soprattutto nella pratica dell’interrogatorio, mestiere di cui è superesperto e a cui ha dedicato l’ultimo libro «L’arte del dubbio» (pubblicato da Sellerio).L’Italia sembra diventata un Paese dove non esistono più i rei confessi, i sospettati resistono al torchio delle domande. Secondo lei perché?«Dipende da come sono svolti gli interrogatori, sicuramente esistono passaggi necessari per renderli utili».Quali?«Prima di tutto la razionalizzazione dell’evento, che vuol dire collocarlo in un quadro di motivazioni razionali, comportarsi come se si pensasse "beh, in molti avrebbero fatto così". Poi la minimizzazione, quindi rivolgersi al soggetto evitando di usare parole che enfatizzano la gravità dell’accaduto, per esempio invece di omicidio e stupro dire fatto o incidente, questo per evitare che l’interrogato sia travolto dal senso di enfasi negativa. E’ importante anche la proiezione, ovvero cogliere le responsabilità di chi sta intorno al fatto, come dire "la colpa non è solo tua". Infine bisogna fornire elementi che sottolineino l’interesse del confessare, parlare delle attenuanti».Quante probabilità ci sono che, seguendo questa ricetta, l’interrogatorio dia i frutti sperati?«Questo tipo di procedura può funzionare solo se viene applicata al momento del primo interrogatorio, subito, in caso diverso è più facile che l’interrogato tenda ad aggrapparsi al feticcio difensivo».C’è stata una fase in cui si è parlato molto delle indagini dei Ris, sembrava che potessero essere risolutive di ogni tipo di caso, adesso questa infallibilità appare ridimensionata, perché?«Sì, forse c’è stata una sovraesposizione mediatica, i Ris non sono maghi che risolvono tutto. Le prove scientifiche non sono come il giudizio di Dio, né possono diventare un alibi per gli investigatori, sono però indispensabili per salvare un innocente».Quali sono gli ostacoli più difficili da superare nel corso di un interrogatorio?«La particolare stupidità dell’interlocutore, l’eccezionale determinazione di alcuni individui, ci sono stati episodi gravissimi in cui si è arrivati a un millimetro dalla confessione per poi vederla sfumare, mi è capitato, e me lo ricordo bene».Negli ultimi mesi in Italia, davanti alla lunga serie di delitti che vanno dalla ragazza di Garlasco ai coniugi di Erba fino ad arrivare all’assassinio di Meredith, senza dimenticare la madre di Cogne, c’è una specie di impazzimento del pubblico, l’interesse è diventato spasmodico, in certi casi, come quello di Amanda, si scatenano addirittura fenomeni divistici. Che cosa ne pensa?«Questo genere di passione c’è sempre stata, la gente è attratta morbosamente dal delitto per ragioni profonde che riguardano la coesistenza in ognuno di noi del bene e del male, e poi ci sono alcuni crimini che inevitabilmente colpiscono maggiormente la fantasia».Lei ha detto che, durante l’interrogatorio, il linguaggio corporeo ha un peso notevole, in che senso?«Sì, bisogna essere capaci di entrare in sintonia con le persone, senza mai ricorrere alla manipolazione, creare dei rapporti, e questo dipende anche dallo spazio che si occupa in una stanza, dal modo con cui ci si pone nel fare le domande. Tutto tenendo sempre saldo l’atteggiamento del rispetto e la cognizione dell’etica, perché si ha a che fare comunque con esseri umani».Quando è in assoluto più arduo ottenere una confessione?«Se una persona fa qualcosa di orribile è più difficile che tenda a confessare, a meno che non abbia creato una sorta di paracadute per giustificare se stessa. In quei casi è particolarmente importante contribuire al processo di rielaborazione, cioè collocare l’accaduto in una dimensione di accettabilità».
La Stampa
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