VICENZA - Condanne pesantissime: 25 e 20 anni di carcere da scontare a Cuba. Questo l'esito del processo a tre italiani, processati per la morte di una dodicenne avvenuta a Bayamo il 14 maggio 2010 dopo un festino a base di sesso e droga.
Il reato contestato è corruzione di minorenne: Luigi Sartorio, 44 anni, vicentino, è stato condannato a 20 anni di carcere, mentre Angelo Malavasi, 45enne originario di Mirandola nel Modenese, è stato condannato a 25 anni, come Simone Pini, 43 anni, fiorentino.
A pronunciare la sentenza è stato il giudice del Tribunale provinciale di Granma a Bayamo, che non ha creduto alla proclamazione di innocenza dei tre italiani. Ad essere condannati sono stati anche sei cubani.
Al principale imputato, Vicel Ramos Cedeno, sono stati inflitti 30 anni di pena, agli altri tra i 20 e 25 anni.
Secondo l'accusa, il gruppo di italiani e cubani trascinò Lillian Ramirez Espinosa, ragazzina con gravi problemi asmatici, in un locale di Bayamo.
La 12enne venne poi caricata su un'auto e abbandonata senza vita in un campo.
Sartorio e Malavasi sono stati condotti nel carcere di Este y La Condesa,
Pini in quello di Las Mangas a Bayamo.
Tutti e tre erano stati arrestati nelle settimane successive alla morte della minorenne.
«SONO INNOCENTE» «Io non c'entro nulla con questa storia. Ero a Cuba in quel periodo, ma altrove, e al festino non ho mai partecipato. Dovete fare qualcosa in Italia, dovete toglierci da questa situazione, io, Pini e Sartorio: siamo tutti e tre innocenti e in carcere senza motivo». Parla al 'Resto del Carlinò dal carcere La Condesa, alla periferia della capitale L'Avana, Angelo Malavasi, 46 anni, di Casalgrande (Reggio Emilia), condannato con i connazionali in seguito alla morte di una dodicenne avvenuta a Bayamo, sull'isola caraibica, il 14 maggio 2010 dopo un festino a base di sesso e droga. Malavasi è stato condannato a 25 anni; stessa pena per Simone Pini, 43 anni, fiorentino, mentre Luigi Sartorio, 44, vicentino, è stato condannato a venti anni per corruzione di minore.
Il giudice del Tribunale provinciale di Granma a Bayamo non ha creduto alla versione dei tre italiani che si proclamavano innocenti e ha condannato anche sei cubani per l'omicidio. «Durante il processo - dice Malavasi, orologiaio originario di Mirandola (Modena) - ho presentato diverse prove della mia innocenza, a cominciare dal passaporto: c'era un timbro dell' ingresso a Panama, non potevo aver commesso quello che loro dicevano perchè ero altrove. Non mi hanno creduto. Peggio, mi hanno ridicolizzato e preso in giro. Mi hanno detto che il timbro non si leggeva bene, che i testimoni non erano credibili perchè erano miei amici e dunque inaffidabili. E adesso ci sono 25 anni da scontare in un carcere cubano.
Ho sentito Sartorio: è giù, ha il morale a terra ma ha intenzione di fare qualcosa. Forse un suo parente andrà a incatenarsi a Roma: vuole che i politici e le autorità prendano coscienza del caso e facciano qualcosa. Lo sciopero della fame? Non servirebbe a nulla». Malavasi, che è in cella con un colombiano e un giamaicano condannati al carcere a vita per droga, aggiunge di voler puntare «sull'appello alla Corte Suprema. Se i cubani vogliono davvero fare chiarezza su questo caso, se davvero vogliono fare giustizia, hanno tutti gli elementi per prendere una decisione giusta. Negli atti del processo ci sono tutti gli elementi per raggiungere la verità. Credo che la Corte Suprema saprà fare giustizia. A Bayamo c'era un clima di odio nei nostri confronti e questo può avere fatto prendere decisioni sbagliate, ma all'Avana no, i giudici possono prendere le loro decisioni lontani da quel clima».
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