Prime ammissioni
dell'ex braccio destro
di Guarguaglini
Procura: è lui che pagava i partiti per conto della sua azienda
di Valentina Errante e Massimo MartinelliROMA - Adesso rischiano di andare in frantumi, le pareti di vetro del palazzone Finmeccanica
di piazza Montegrappa. La prima crepa si è aperta ieri al settimo piano, dove c’è ancora
l’ufficio di Lorenzo Borgogni, supermanager del colosso di Stato, braccio destro di
Pier Francesco Guarguaglini e professionista, magari suo malgrado, del lavoro sporco
dell’azienda.
Quello di pagare i politici. La seconda l’ha scavata Fausto Simoni, un manager integerrimo
di Enav, l’uomo che era diventato il bersaglio di faccendieri e trafficoni del calibro
di Lorenzo Cola e Tommaso Di Lernia che lo consideravano d’ostacolo per gli affari
illegali messi in piedi con il placet dei vertici Finmeccanica. Ma andiamo con ordine.
Borgogni ha cominciato a raccontarlo ieri in procura, quel sistema malato.
Cominciando dai soldi che intascava lui. Per poi arrivare al mercato delle nomine,
degli appalti, dei finanziamenti ai partiti.
Confermando quello che il numero uno di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini,
aveva sempre lasciato intendere senza tuttavia ammetterlo mai. E cioè che quella corazzata di
Stato di piazza Montegrappa che si tiene in pancia altre aziende del calibro di Agusta Westland,
Selex, Ansaldo e Drs, non era esonerata dal pagare dazio alla politica. In termini di poltrone e di
denari. «Il termine spreme non mi sembra appropriato», disse quando gli chiesero se la politica «spremeva» anche Finmeccanica. Aggiunse che «utilizza» era la parola più adatta.
E precisò: «Comunque non sono al corrente del fatto che la politica utilizzi le aziende
di Stato per finanziarsi».
di piazza Montegrappa. La prima crepa si è aperta ieri al settimo piano, dove c’è ancora
l’ufficio di Lorenzo Borgogni, supermanager del colosso di Stato, braccio destro di
Pier Francesco Guarguaglini e professionista, magari suo malgrado, del lavoro sporco
dell’azienda.
Quello di pagare i politici. La seconda l’ha scavata Fausto Simoni, un manager integerrimo
di Enav, l’uomo che era diventato il bersaglio di faccendieri e trafficoni del calibro
di Lorenzo Cola e Tommaso Di Lernia che lo consideravano d’ostacolo per gli affari
illegali messi in piedi con il placet dei vertici Finmeccanica. Ma andiamo con ordine.
Borgogni ha cominciato a raccontarlo ieri in procura, quel sistema malato.
Cominciando dai soldi che intascava lui. Per poi arrivare al mercato delle nomine,
degli appalti, dei finanziamenti ai partiti.
Confermando quello che il numero uno di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini,
aveva sempre lasciato intendere senza tuttavia ammetterlo mai. E cioè che quella corazzata di
Stato di piazza Montegrappa che si tiene in pancia altre aziende del calibro di Agusta Westland,
Selex, Ansaldo e Drs, non era esonerata dal pagare dazio alla politica. In termini di poltrone e di
denari. «Il termine spreme non mi sembra appropriato», disse quando gli chiesero se la politica «spremeva» anche Finmeccanica. Aggiunse che «utilizza» era la parola più adatta.
E precisò: «Comunque non sono al corrente del fatto che la politica utilizzi le aziende
di Stato per finanziarsi».
L’interrogatorio, terminato ieri sera a tarda ora, è stato probabilmente solo il primo
capitolo di una storia che richiederà altri appuntamenti. Sono trapelati pochissimi dettagli,
il verbale è rimasto secretato. Ma che Borgogni abbia deciso di aprire l’album dei ricordi
è confermato. E a questo punto è prevedibile che già nelle prossime settimane la procura
di Roma scelga di incidere chirurgicamente altri bubboni dei quali si sospettava da tempo
l’esistenza. Sono poche le indiscrezioni filtrate ieri sera dall’ufficio giudiziario in cui
Borgogni, accompagnato dal suo avvocato Stefano Bortone, si è trattenuto fino a tardi.
Una di queste riguarda le ammissioni su quelle che aveva chiamato «commissioni»,
e che secondo il pubblico ministero Paolo Ielo erano - più prosaicamente - mazzette.
Che incassava lo stesso Borgogni, convinto probabilmente che gli fosse dovuto un piccolo arrotondamento del suo già alto stipendio da manager, che superava il milione di euro l’anno.
Borgogni se n’era messi da parte altri sette, di milioni di euro. Incassando «stecche»
(come sono chiamate negli atti che lo riguardano) da imprenditori privati che lui introduceva
nella galassia di appalti Finmeccanica. O ai quali faceva concludere importanti operazioni
immobiliari. Di quei soldi Paolo Ielo aveva trovato traccia all’estero, nel corso delle ripetute
rogatorie in Svizzera e in altri paradisi fiscali che aveva portato a termine la scorsa estate.
E il fatto che fossero depositati in banche straniere era la dimostrazione che probabilmente
quei pagamenti avvenivano estero su estero, dunque eludendo anche il fisco. Borgogni
aveva anche approfittato dello scudo fiscale, qualche tempo fa, per riportarne una fetta in Italia.
Borgogni se n’era messi da parte altri sette, di milioni di euro. Incassando «stecche»
(come sono chiamate negli atti che lo riguardano) da imprenditori privati che lui introduceva
nella galassia di appalti Finmeccanica. O ai quali faceva concludere importanti operazioni
immobiliari. Di quei soldi Paolo Ielo aveva trovato traccia all’estero, nel corso delle ripetute
rogatorie in Svizzera e in altri paradisi fiscali che aveva portato a termine la scorsa estate.
E il fatto che fossero depositati in banche straniere era la dimostrazione che probabilmente
quei pagamenti avvenivano estero su estero, dunque eludendo anche il fisco. Borgogni
aveva anche approfittato dello scudo fiscale, qualche tempo fa, per riportarne una fetta in Italia.
E aveva chiesto alla moglie di attivare la procedura amministrativa per «scudare» cinque
milioni, come si dice in gergo. Ma il capitolo più importante per le indagini ha riguardato
i rapporti con la politica. Borgogni avrebbe cominciato a disegnare la geografia di un
sistema di finanziamento illecito fatto di dazioni milionarie, di prebende e di nomine.
A conferma del ruolo che la procura di Roma gli aveva attribuito nella richiesta con
la quale era stato sollecitato il suo arresto: «Borgogni è inserito nella struttura
apicale di Finmeccanica e, come evidenziato dalle intercettazioni telefoniche,
ha il ruolo di gestire gli illeciti
finanziamenti per conto della società».
Più o meno le stesse verità sono state consegnate agli investigatori da Fausto Simoni,
uno dei manager di Enav che si rifiutarono di avallare le operazioni sporche della sua azienda.
Ieri Simoni è stato interrogato e avrebbe fornito nuovi dettagli importanti per le indagini.
Che potrebbero aprire un nuovo fronte investigativo sulla signora Guarguaglini: quella
Marina Grossi che pochi giorni fa, in piena bufera giudiziaria, era stata confermata al
vertice di Enav per poi essere sostituita da un amministratore unico, Massimo Garbini.
milioni, come si dice in gergo. Ma il capitolo più importante per le indagini ha riguardato
i rapporti con la politica. Borgogni avrebbe cominciato a disegnare la geografia di un
sistema di finanziamento illecito fatto di dazioni milionarie, di prebende e di nomine.
A conferma del ruolo che la procura di Roma gli aveva attribuito nella richiesta con
la quale era stato sollecitato il suo arresto: «Borgogni è inserito nella struttura
apicale di Finmeccanica e, come evidenziato dalle intercettazioni telefoniche,
ha il ruolo di gestire gli illeciti
finanziamenti per conto della società».
Più o meno le stesse verità sono state consegnate agli investigatori da Fausto Simoni,
uno dei manager di Enav che si rifiutarono di avallare le operazioni sporche della sua azienda.
Ieri Simoni è stato interrogato e avrebbe fornito nuovi dettagli importanti per le indagini.
Che potrebbero aprire un nuovo fronte investigativo sulla signora Guarguaglini: quella
Marina Grossi che pochi giorni fa, in piena bufera giudiziaria, era stata confermata al
vertice di Enav per poi essere sostituita da un amministratore unico, Massimo Garbini.
Domenica 27 Novembre 2011 - 12:38 Ultimo aggiornamento: 12:57
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=171282&sez=ITALIA
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