Niente sentenza al processo per il delitto di Garlasco. A sorpresa il giudice Stefano Vitelli, che ha definito «incomplete» le indagini dei carabinieri, ha disposto una superperizia per avere nuovi elementi sull’omicidio di Chiara Poggi commesso il 13 agosto 2007. La perizia riguarderà accertamenti sul pc dell'imputato Alberto Stasi, sul percorso da lui compiuto quando ritrovò il cadavere della fidanzata e sull’orario della morte della vittima. Per Stasi il pm ha chiesto la condanna a 30 anni di reclusione. Quale sentimento ha suscitato in lui la per altro comprensibile indecisione di chi lo stava giudicando. Gratitudine o rancore?
In fondo lui è il solo per cui questa sentenza alla fine avrà un senso. Per lui, e per i signori Poggi naturalmente, i genitori della ragazza di cui Alberto Stasi è stato per molti anno il fidanzato, e del cui omicidio oggi è accusato. E forse anche per un’astratta idea di Giustizia che in fondo non ha tutta questa importanza.
È assurdo ritenere che una sentenza metta le cose apposto. Non è così che funziona. Che senso ha credere ciecamente nelle sentenze? Citarle come il vangelo a ogni piè sospinto? Come quei risentiti individui che stanno sempre lì a menarcela con le sentenze. E che si agitano e si eccitano quando esse sanciscono colpevolezze o assoluzioni. Non c’è qualcosa di mortuario e di indecente in tutto questo? Come leggere con divertimento la pagina dei necrologi o infilare deliberatamente il naso nell’immondizia.
L’idea che tutti più o meno ci siamo fatti del processo Stasi è che di qualsiasi natura sarà il verdetto esso non risulterà in alcun modo un progresso significativo nell’acquisizione della verità. D’altro canto avevamo capito sin dal principio che questo era uno di quei processi in cui la verità non avrebbe trovato asilo. E difatti l’intero procedimento — come molti altri in questi anni — non ha fatto che regalarci caterve di indizi, supposizioni, indiscrezioni, analisi psicologiche, dettagli macabri come pedali di bicicletta insanguinati o suole di scarpe da ginnastica non abbastanza insanguinate, ecc... La sintesi di tutto questa odiosa e ambigua paccottiglia promette una colpevolezza non meno di quanto prometta una assoluzione. Si può condannare qualcuno che potrebbe essere innocente?
Si può assolvere qualcuno che potrebbe essere colpevole?
Perché la sola verità è che, salvo qualche incredibile e inimmaginabile rivelazione, non sapremo mai la verità: non sapremo mai se è stato Alberto Stasi ad ammazzare Chiara Poggi, oppure no. Né sapremo mai, nel caso fosse lui il colpevole, perché lo ha fatto. Né, se non lo fosse, perché non ha protestato la sua innocenza con la disperazione che ci si aspetta da chi viene così odiosamente infamato. Come interpretare tutta questa discrezione?
Tutta questa pudicizia? Come inoppugnabile attestato di colpa, o come l’ennesima prova della sua innocenza? Il guaio è che il comportamento di un colpevole che briga per essere assolto non deve essere poi così dissimile da quello di un innocente che è sicuro di essere condannato.
C’è da credere che se Alberto Stasi verrà condannato ciò potrebbe avvenire per tre ragioni che qualcuno potrebbe ritenere fuorvianti o ininfluenti, ma che altri, invece, potrebbero considerare decisive.
1) Perché se non è stato Alberto Stasi allora chi è stato?
2) Perché ci sono un sacco di cose nella ricostruzione delle ore successive all’omicidio che non tornano, e che Stasi non ha saputo spiegare.
3) Perché Alberto Stasi è l’incarnazione dell’assassino perfetto: c’è qualcosa di emblematico nell’esangue pulizia del faccino, nella sobria montatura degli occhiali o nel modo garbato di vestire, che ti fa pensare ai satanici eroi di Bret Easton Ellis; per non parlare del suo contegno di una freddezza perturbante; del suo essere un bocconiano (che, come è noto, ti aliena ogni umana simpatia); e naturalmente della varietà imbarazzante di perversioni sessuali testimoniate dai suoi hard disk ingolfati di immagini pornografiche (alcune di carattere pedofilo). C’è addirittura chi ha enfatizzato il contegno eccessivamente calmo di Stasi: per esempio il tono della voce per nulla sconvolto con cui ha chiamato i carabinieri per denunciare la morte di Chiara. Così come c’è da pensare che se verrà assolto sarà proprio perché qualcuno avrà valutato la contraddittorietà e la pretestuosità di tutti questi elementi con estrema cautela. Chiedendosi, per esempio, quale tono dovrebbe avere la voce con cui un colpevole comunica ai Carabinieri di aver ammazzato qualcuno. Oppure, che colpa ha un ragazzo ad avere certe fattezze e non altre? Esiste un solo hard disk di un maschio del Ventunesimo Secolo che non abbia mai ospitato anche solo per qualche secondo una foto pornografica (non pedofila certo)?
E in ogni modo, qualora Alberto Stasi venisse assolto, è presumibile che il fantasma del sospetto continuerà a perseguitarlo per il resto della sua vita. Insomma il dato terribile della faccenda è che ci troviamo di fronte a uno di quei casi — su cui avrebbe potuto scrivere Albert Camus —, in cui il verdetto finale — di condanna? di assoluzione? — non potrà che essere ingiusto.
Alessandro Piperno
Corriere della Sera 01 maggio 2009
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