di G.R.
Niente folla, né numerini artigianali. Non c'è il pubblico dei curiosi a contendersi un posto nella tribunetta quando in una delle maxiaule del palazzo di giustizia di Torino comincia la coda del processo per l'assassinio di Samuele Lorenzi. Questa volta non ci sono le telecamere e giornalisti da tutta Italia. Si svolge tutto nel classico rito "sabaudo" il processo che vede sul banco degli imputati Annamaria Franzoni ed Eric Durst, uno dei tecnici svizzeri che, nel 2004, prese parte al sopralluogo all'interno della casa, in frazione Montroz, dove viveva la famiglia Lorenzi e dove fu ucciso Samuele.
Però questa è un'altra storia: Annamaria Franzoni è accusata di calunnia, mentre il tecnico svizzero deve rispondere dell'accusa frode processuale. Annamaria Franzoni aveva indicato come possibile responsabile dell'omicidio un vicino di casa, Ulisse Guichardaz, poi risultato assolutamente estraneo alla vicenda, mentre Durst è accusato di aver lasciato un'impronta digitale sullo stipite della porta di una delle stanze di casa Lorenzi. Secondo il tecnico si trattò di un fatti accidentale, non di un tentativo di inquinamento delle prove e della scena del crimine.
Certo che è difficile allontanare la suggestione del processo per l'assassinio di Samuele, ma questa è un'altra storia e il pm del processo, Giuseppe Ferrando che, con la collega Anna Maria Loreto, rappresenta la pubblica accusa, ci tiene a chiarirlo fin da subito: «Questo processo non è l'occasione per ripercorrere le indagini sull'omicidio di Samuele Lorenzi». Su quello c'è una sentenza definitiva. Lo ricorda Ferrando che sottolinea: «non è neanche l'occasione per una revisione mascherata del processo che l'ha prodotta».
Ad ascoltarlo non c'è Annamaria Franzoni, che potrebbe essere presente ed essere sentita in una delle prossime udienze. Non c'è nemmeno l'avvocato Carlo Taormina, che a suo tempo aveva lasciato il processo per essere sostituito dalla collega Paola Savio. Semmai tornerà in aula, Taormina lo farà come testimone, insieme agli altri 56 testi chiesti della difesa e 27 chiesti dall'accusa, di cui 11 in comune fra le parti.
Al timone, a difendere Annamaria Franzoni c'è ancora Paola Savio, affiancata dal collega Lorenzo Imperato. È lui a rispondere subito alle parole di Ferrando: «Sappiamo bene che questa non è la sede per introdurre surrettiziamente elementi di prova, ma verificare quali avvenimenti hanno portato alla presentazione della denuncia del 2004». Una frase che spiega quella che sarà la linea della difesa: ossia «entrare nella mente» di Annamaria Franzoni e capire che cosa è successo. «Nella perizia psichiatrica del processo d'appello – spiega Paola Savio – si parla di amnesia, di rimozione e anche di separazione fra la coscienza dell'Io e il fatto rimosso. È per questo che vogliamo introdurre i discorsi su quello che è successo nella mente della signora».
Ecco quello che potrebbe essere la chiave di volta del processo: perché Annamaria Franzoni ha accusato un'altra persona? Ed ecco un'altra frase rivelatrice: «è necessario distinguere – ha detto ancora Paola Savio ai giudici – fra chi firma un atto processuale preparato da altri e chi invece partecipa personalmente alla stesura del documento». Di questo e altro si parlerà dalla prossima udienza fissata per il 1 febbraio.
20 gennaio 2010
Nessun commento:
Posta un commento