Pesaro, 24 ottobre 2011 - DICONO che Valentino stia accarezzando l’idea di smettere. Di piantarla lì, travolto da un dolore che non ha bisogno di spiegazioni. La Ducati giustamente ha smentito, ma ci sono cose che non appartengono ad un team, ad una scuderia, ad una azienda.
Il mondo ha visto, in una crudele diretta, le immagini sconvolgenti di un Rossi devastato dalla tristezza, seduto incredulo in un garage di Sepang. ‘Oddio oddio’,gli hanno sentito dire, gli occhi pieni di lacrime, di fianco a un altro simbolo dell’Italia che ama le due ruote, Loris Capirossi. Il silenzio sgomento di entrambi valeva più di qualunque dichiarazione, di qualsiasi esternazione.
L’EREDE. Per Valentino, quel Simoncelli fiammeggiante e aggressivo, mai cattivo ma nemmeno mai ruffiano, era una sorta di clone. Un erede, ecco. Rossi non l’ha detto perché non ce n’era bisogno, andando lui stesso ancora in pista a gareggiare. Ma si vedeva, si capiva, si intuiva che l’ex ragazzo di Tavullia aveva individuato in Super Sic il continuatore di una dinastia. A Valentino non servivano le parole: semplicemente, in Marco riconosceva il se stesso di una generazione fa, roba della seconda metà anni Novanta. E quando c’erano state polemiche, a proposito degli atteggiamenti in pista del ragazzo, Vale non aveva risparmiato le critiche, ma sempre privilegiando l’affetto nel giudizio. Il Maestro sapeva essere indulgente, nei confronti dell’Allievo.