martedì 9 marzo 2010

Suicidio Pietrino Vanacore:il giallo di via Poma si riapre


Il suicidio di Pietro Vanacore riapre il mistero sul delitto di via Poma
Si uccide Vanacore, il portiere del delitto Cesaroni. (Foto di archivio Ansa)

9 marzo 2010
Si uccide Vanacore, il portiere del delitto Cesaroni. (Foto di archivio Ansa)
"Dai nostri archivi"
Vent'anni sotto i riflettori, dai sospetti al prosciglimento

Si è suicidato Pietrino Vanacore, l'ex portiere dello stabile di via Poma nel quale fu trovato il corpo di Simonetta Cesaroni. Vanacore si è gettato in acqua in località Torre Ovo, vicino Torricella, in provincia di Taranto, dove risiedeva da anni.

L'addio in due messaggi
Vanacore ha lasciato due messaggi scritti con un pennarello per spiegare con poche parole perché aveva deciso di farla finita: questa mattina è arrivato in auto alla marina di Torricella e prima di lasciarsi annegare ha preso due cartoncini con la stessa scritta «venti anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio» sistemandoli uno sul parabrezza e l'altro sul lunotto posteriore della sua vecchia Citroen. Poi si è tolto il giubbotto e ha fissato il capo di una fune ad un albero vicino al mare e l'altro alla caviglia. Così si è lasciato andare in mare annegando. Nessuno ha assistito alla scena, dicono gli investigatori. Ad accorgersi dell'accaduto sono stati due amici che hanno visto la fune e quindi il cadavere, e hanno avvisato i carabinieri.

Retroscena e tappe di una vicenda ancora da chiarire
Pietrino Vanacore avrebbe dovuto deporre venerdì prossimo al processo sull'omicidio di Simonetta Cesaroni che vede ora imputato l'allora fidanzato, Raniero Busco, e nuovamente i suoi occhi di ghiaccio sarebbero stati al centro di domande, supposizioni o, come per anni hanno sostenuto gli inquirenti dell'epoca, «di verità nascoste». Da vent'anni, infatti, il dubbio dominante, è stato quello che lui sia stato quella sera sulla scena del delitto. Si, perché, nonostante fosse stato scagionato definitivamente dalla Cassazione nel '95 dalle trame dell'inchiesta, un filo invisibile e sottile lo ha sempre tenuto legato alla morte di quella ragazza, massacrata con 30 colpi di tagliacarte in una delle stanze dell'ufficio dove lavorava come segretaria.

Un personaggio controverso, Vanacore. Al centro anche di un'altra vicenda giudiziaria, terribile, che lo vide sospettato di abusi in famiglia. Le due figlie lo accusarono di molestie sessuali ripetute. Ma anche in questo caso la legge lo dichiarò non colpevole. Un uomo di poche parole, sempre freddo e controllato. Un uomo che confidava che «prima o poi Dio lo avrebbe tirato fuori dai guai».

Il 10 agosto del 1990, tre giorni dopo il delitto di Simonetta, il portiere diventò il sospettato numero uno dell'inchiesta: fu arrestato con l'accusa di omicidio, anche se il sospetto concreto era che in realtà conoscesse e coprisse il vero assassino. Ma quella sera di agosto del '90 dopo un lungo interrogatorio negli uffici della squadra mobile della questura di Roma, si aprirono per lui le porte del carcere, dove rimase per 20 giorni. Agli investigatori dell'epoca racconta che all'ora dell'omicidio si trovava in un appartamento ad innaffiare fiori, ma nessuno fu in grado di confermare l'alibi.


Vent'anni fra processi, dubbi, proscioglimenti
Alcune macchie poi, trovate sui suoi pantaloni, e che gli inquirenti sospettarono essere il sangue di Simonetta, aggravarono la sua posizione al punto che si ritenne il caso ormai prossimo alla conclusione, ma il test del Dna rimise tutto in discussione. E il 16 giugno 1993 venne prosciolto dal gip Cappiello perché «il fatto non sussiste». La decisione divenne definitiva nel 1995 dopo il ricorso in Cassazione. Ed è proprio dopo questa decisione e l'uscita di scena dalle indagini che Vanacore decise di lasciare Roma e tornare nella sua terra, la Puglia. Ma non fu esattamente così. Di fatto dalla scena di quel delitto non ne uscì mai. Anzi, ne è uscito solo oggi.

Nel 2008, ancora una volta, gli inquirenti della procura di Roma chiamarono in causa Vanacore con la certezza che sapeva qualcosa e che aveva avuto particolari ragioni per non parlarne, non escludendo l'ipotesi che possa essere stata la persona che pulì il luogo del delitto prima della scoperta del cadavere. E la nuova iniziativa penale, culminata in una nuova iscrizione dell'ex custode dello stabile di via Poma nel registro degli indagati con l'accusa di favoreggiamento, era scaturita dalla necessità di recuperare un'agendina nella quale gli inquirenti speravano di trovare elementi utili. Da qui una perquisizione, il 20 ottobre 2008, nella casa di Vanacore a Monacizzo, dove si era stabilito con la moglie, Giuseppina. Gli accertamenti non diedero gli effetti auspicati ed il nuovo capitolo fu chiuso con la richiesta di archiviazione.

Ma, sussurrano oggi alcuni inquirenti, «bisognerebbe non dimenticare alcune bugie dette da Vanacore e non chiarite completamente come quella del testimone che lo avrebbe visto annaffiare le piante o l'affermazione di aver visto il giorno dell'omicidio di Simonetta, un architetto che in realtà si trovava in vacanza in Tunisia, uscire da via Poma con un fagotto
sotto braccio». Bugie o ricordi confusi che da oggi saranno per sempre sepolte insieme agli enigmatici occhi dell'ex portiere della palazzina B di via Poma.

Il delitto. Simonetta Cesaroni fu trovata morta nel complesso di via Poma di cui Pietrino Vanacore era portiere, il 7 agosto 1990. Il 26 maggio del 2009 la Procura di Roma aveva deciso di archiviare l'ultima indagine su Vanacore rispetto al suo presunto coinvolgimento nella vicenda. Gli accertamenti, aperti nel solco dell'inchiesta per la quale la Procura di Roma ha chiesto poi il rinvio a giudizio di Raniero Busco, che all'epoca dei fatti aveva una relazione sentimentale con la Cesaroni, avevano portato nell'ottobre del 2008 ad una perquisizione nell'abitazione di Vanacore, in Puglia, dove l'anziano risiedeva da tempo con la moglie.
Il 20 aprile del 2009 il legale di Vanacore aveva dichiarato: «Vanacore ha sofferto per la pressione mediatica sfociata nel mancato rispetto della privacy. Ha cercato di dimenticare, ma il periodico aggiornamento della vicenda ha riaperto la ferita. Lui ha sempre detto che il più bel giorno della sua vita sarà quando il caso sarà risolto».

Il processo va avanti, udienza il 12 marzo
Il processo per i fatti del 7 agosto 1990, ovvero per l'omicidio di Simonetta Cesaroni, proseguirà regolarmente il 12 marzo prossimo con le audizioni, tra gli altri, dell'ex datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi, e del figlio Mario. Tra i testi citati per quell'udienza c'è anche il figlio di Pietrino Vanacore, Luca.

Luca Vanacore: «Mio padre è stato condannato senza processo»
«Mio padre è stato condannato senza un processo. Lo hanno distrutto, lo hanno fatto a pezzi». È amareggiato Mario Vanacore, figlio di Pietrino, l'ex portiere dello stabile romano di via Poma - teatro dell'omicidio di Simonetta Cesaroni - che oggi è stato trovato morto suicida in provincia di Taranto. «Sono passati vent'anni, eppure tutte le volte che si è parlato della mia famiglia è stato solo per massacrarci», ha ribadito Mario Vanacore ad alcuni giornalisti che lo hanno interpellato. «Hanno reso la vita di mio padre un inferno», rincara la dose l'uomo, che vive a Torino e fa il portiere in uno stabile dell'elegante quartiere della Crocetta.

L'avvocato della famiglia Cesaroni: «Perché non ha mai dato risposte?»
«Se è vero che Vanacore ha dichiarato insofferenza e dolore significa - ha dichiarato l'avvocato della famiglia di Simonetta Cesaroni, Lucio Molinaro - che è stato lui a chiudersi in se stesso. Se voleva poteva liberarsi da questo tormento invece ha preferito non rispondere. L'esito di questo atto drammatico - ha aggiunto Molinaro - non può essere collegabile a noi e lo stesso vale anche per i Pm che hanno investigato».

il sole 24ore 9 marzo 2010

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