Strage di Erba, la difesa: «Qualcun altro quella sera aspettava Raffaella in casa»
COMO (26 febbraio) - C'era qualcuno, e non erano Olindo Romano e Rosa Bazzi, ad aspettare Raffaella Castagna e suo figlio nel suo appartamento della corte di via Diaz a Erba (Como) il giorno della strage. Lo sostengono i difensori dei coniugi Romano - accusati di aver ucciso quattro vicini di casa - tre donne e un bambino - l'11 dicembre del 2006 - basandosi anche sulla testimonianza di un vicino di casa siriano e di sua moglie. L'uomo citato dalla difesa aveva detto nel gennaio di un anno fa che quei rumori «leggeri» sentiti intorno alle 18.30 (Raffaella rientrò intorno alle 19.45) provenivano dall'appartamento a fianco di Piero Ramon, pensionato. Oggi è tornato a parlare di rumori «più pesanti», come mobili spostati e altro, sul pavimento vicino all'ingresso di casa Marzouk-Castagna, dopo le 19.30, ma non è riuscito a dire se quei primi rumori «leggeri» provenissero dall'appartamento di Ramon o da quello delle vittime. Un'incongruenza considerata un punto a favore dagli avvocati Luisa Bordeaux, Fabio Schembri e Enzo Pacia, che difendono i Romano. Pacia non ha mancato di farlo notare: «Avete capito che carte abbiamo in mano?». Parole che non scalfiscono però la tranquillità del legale di parte civile di Azouz Marzouk, che nella strage ha perso la moglie, il figlio e la suocera, Roberto Tropenscovino. «Attaccare questo testimone è pretestuoso. Ci dicano dove vogliono arrivare. Se questi sono gli argomenti si stanno attaccando ai vetri». Il pm Massimo Astori intanto ha chiesto l'acquisizione di uno dei "pizzini" sequestrati in carcere a Olindo, probabilmente per documentare una scarsa genuinità della ritrattazione della confessione dei coniugi. Si legge: «Quella sera, né io né mia moglie stando alle loro ricostruzioni non avevamo il tempo materiale per uccidere i coniugi Frigerio... la nostra auto era posteggiata fuori casa». L'auto non era nella corte, secondo svariati testimoni e quando i vicini si accorsero dell'incendio, i due non erano in casa. Il viaggio a Como per mangiare da McDonald's, che la procura ritiene un espediente per crearsi un alibi, inoltre oggi è stato oggetto della deposizione di un carabiniere che li accompagnò in una simulazione per calcolarne i tempi. La corte dell'odio. Nel processo oggi è entrata anche la corte della casa di via Diaz a Erba che stando alle parole di chi ci vive e ha deposto oggi in aula era una polveriera di odio pronta a esplodere. Luigi Lazzarini, 48 anni, interrogato dal pm Astori, non si è fatto remore nel puntare il dito contro la coppia in gabbia: «Erano dei prepotenti, mia moglie non poteva fare nulla. Loro tutto, senza chiedere niente a nessuno». Tutto era cominciato alcuni anni prima per un vaso di fiori, messo troppo vicino alla porta dei Romano, secondo loro. «Da quel momento, di fronte a quella prepotenza, decisi di non rivolgere più loro la parola». Una volta Rosa («quella signorina li», l'ha indicata) giunse anche alle minacce: «Se non sposti la macchina le do fuoco!». In aula, a quelle parole Rosa Bazzi ha fatto "no" con la testa, e Lazzarini l'ha ripresa: «È inutile che fai così, è tutto vero».
Il Messaggero 6 febbraio 2008
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